BERTINOTTI TORNA

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“Le ragioni di una sconfitta”. Bertinotti lancia la sua riflessione
Al convegno organizzato da “Alternative” l’analisi dell’ex presidente e gli interventi di Vendola, Giordano, Fava e Latorre.

di Anubi D’Avossa Lussurgiu

Il ritorno di Fausto Bertinotti, certo, l’uscita dal silenzio post-elettorale di chi aveva “messo la faccia” sul cartello de “la Sinistra l’Arcobaleno e dunque sullo stigma d’una sconfitta senza precedenti storici, con la scomparsa della sinistra politica dal Parlamento. Ma la [k]giornata di studio[k] organizzata ieri dalla rivista Alternative per il socialismo al centro congressi di Via dei Frentani a Roma, quartiere di San Lorenzo, tra caserme e universita’ e piu’ o meno antiche memorie del movimento operaio e del comunismo italiani, e’ stata soprattutto questo, appunto: il primo appuntamento di riflessione “organica” su questa disfatta. Come da titolo del seminario, il primo avvio di riflessione pubblica e aperta, fuori dal recinto d’un distinto soggetto partitico, sulle [k]ragioni di una sconfitta[k]. Ed e’ questo carattere oggettivo della discussione di ieri che da’ conto anche della natura di quel “ritorno” bertinottiano: consacrato alla riflessione, anzi ancor di piu’ all’auto-riflessione teorica, prima che politica. Persino con una nemmeno troppo implicita inibizione ad assumere alcun ruolo di “indicazione” di prospettiva politica. Tentativo di illuminare il quadro presente, questo si, come corollario d’una presa di responsabilita’ nell’indagine d’una sconfitta di grande latitudine, della quale si assume il peso anche soggettivo.

Un’ora e mezza di relazione, questo il contributo di Bertinotti: che non fa, invece, alcuna conclusione della giornata. Mentre e’ Aldo Garzia a chiuderla con un rapido lancio d’una sfida rivolta dalla rivista a se’ stessa e alla relazione con le interlocuzioni intessute sinora: [k]provare a consolidare[k] la scelta di ricerca, organizzare [k]stabilmente[k] il confronto e un campo di cooperazione di saperi e punti di vista, fino alla messa a disposizione di un'[k]ipotesi[k] di fondazione a questi scopi. Ma Bertinotti, precisamente, precisamente, si astiene da ogni “dispositivo” di proposta che non sia traccia di ricerca.

Il discorso bertinottiano ieri al convegno di Alternative per il socialismo , dopo un breve presentazione di Aldo Garzia ma specialmente dopo un minuto di silenzio con tutta la sala in piedi immediatamente dedicato ai 6 operai uccisi dal lavoro nel catanese mercoledi, si e’ svolto proprio sul filo dell’editoriale gia’ scritto per il numero prossimo della rivista, in uscita entro la meta’ di luglio e dedicato interamente a quelle [k]ragioni di una sconfitta[k], con l’impegno di tutta le redazione e contributi di rilievo anche per la loro diversita’ – fra gli altri Rossana Rossanda e Marco Revelli. Un terreno che, evidentemente, interessa: lo palesa la partecipazione alla giornata di ieri, nell’auditorium dei Frentani nelle prime ore gremito fino alla galleria, con la presenza di tante e tanti di Rifondazione comunista, in testa Nichi Vendola e Franco Giordano – intervenuti entrambi in fine mattinata, il primo per tornare sul tema della [k]tradizione abbandonata[k] (nella definizione di Bertinotti) del ’68 quale chiave di lettura del divorzio della sinistra dall'[k]efficacia[k] come dai [k]desideri[k] nel passaggio dalle pulsioni d'[k]egoismo maturo[k] e [k]critica d’ogni “naturalita’”[k] di allora alla [k]solitudine sociale[k] e alla [k]dispersione di senso[k] d’oggi e il secondo per sottolineare quello del [k]mancato appuntamento[k] con [k]l’autoriforma[k] dell'[k]organizzazione politica[k]. Come pure Graziella Mascia, Gennaro Migliore, Sergio Bellucci e Rosi Rinaldi (sia Mascia che Rinaldi con molta attenzione al [k]paradigma[k] della discriminazione sociale dei migranti, Migliore sulla [k]demistificazione del ritorno al territorio, che e’ produzione politica[k] e Bellucci sulla [k]mutazione del capitalismo digitale[k]). Ma anche, ad ascoltare attentamente, chi si sta battendo su altre sponde del confronto congressuale in corso come Claudio Grassi o, giunto nel pomeriggio, Maurizio Acerbo. Cosi pure Franco Russo, intervenuto i forte polemica sulla [k]rammemorazione mancata[k], secondo Bertinotti, della [k]tradizione del movimento operaio[k] come riduzione del [k]movimento storico[k] al [k]Pci[k]. E ben oltre i confini del Prc, sempre nel campo politico “organizzato”, Claudio Fava e l’iper-presente Achille Occhetto e Alfiero Grandi di Sd – tutti intervenuti – cosi come Grazia Francescato e Paolo Cento dei Verdi. E poi dirigenti e intellettuali dello stesso Pd, non proprio “veltroniani”, come Alfredo Reichlin, Nicola Latorre (che prendera’ la parola a sua volta, con intessanti aperture di dialogo: come le affermazioni che [k]sicurezza e lavoro non sono temi neutri, “ne’ di destra ne’ di sinistra”[k] e che [k]la transizione italiana non puo’ darsi per conclusa con lo schema bipartitico affermatosi nelle elezioni[k]) e Pierluigi Bersani, arrivato anche lui al pomeriggio. E persino, vicinissimo invece a Veltroni, un pur fugace – nel senso che presenzia alla sola relazione di Bertinotti – Goffredo Bettini. Ma poi, soprattutto, tante figure di “sinistra reale”: da “mostri sacri” della teoria politica e dell’impegno nella comunita’ dei saperi, come Mario Tronti presidente del Crs, al fisico Marcello Cini (altro autore d’un ammirato intervento che rilancia la [k]costituente d’una sinistra[k] e simultaneamente indica i terreni del conflitto con il capitalismo nel suo nuovo carattere [k]cognitivo[k] e nella [k]minaccia di questo sviluppo all’umanita’ e al pianeta[k], come certificato dal fallito vertice Fao), Arcangelo Leone de Castris (appassionato oratore critico della [k]separatezza[k] degli intellettuali dal [k]legame sociale[k]) e Isidoro Mortellaro. Fino a personaggi come Franca Valeri, in prima fila. E da esponenti del femminismo interne ed esterne all’esperienza di Sinistra europea quali Maria Luisa Boccia e Bianca Pomeranzi, fino al consigliere comunale primo eletto dell’Arcobaleno a Roma e “figura” dei movimenti metropolitani, Andrea Alzetta, e ad altri volti di Action come Fabrizio Nizzi.

E’ la messa a fuoco della sconfitta come tema “aperto” che, chiaramente, interessa, sotto molti e differenti punti di vista. E nell’editoriale, largamente anticipato ieri stesso su la Repubblica , il ruolo decisivo dell’analisi della sconfitta – un'[k]operazione politica di prima grandezza[k], una [k]necessita’ inderogabile[k] – per le stesse prospettive di ri-costruzione d’una politica e’ consacrato sin nella cadenza finale. Che suona cosi: [k]Se e’ vero che la Gerusalemme (metafora presa dal sacro delgli orizzonti laici di “liberazione” o di un “altro mondo possibile”, ndr ) puo’ anche essere non solo rimandata (ossia puo’ anche escludersi dall’orizzonte storico, non arrivare mai piu’, ndr ), c’e’ in primo luogo da fare un esercizio di verita’: siamo ad uno dei punti piu’ difficili della nostra storia[k]. Insomma: non e’ un “messianesimo negativo” frutto di enfasi retorica, ma una drammatizzazione mirata a sottolineare la portata della sconfitta, cio’ che il fenomeno elettorale nasconde e deve rivelare in termini di processi profondi e [k]lunghi[k]. E anche a dar conto fino in fondo degli [k]errori[k] soggettivi che l’hanno preceduta.

Non e’ un caso che l’altro editoriale richiamato in questo, come pure nella relazione pronunciata ieri da Bertinotti, sia quello del secondo numero della rivista, dove si delineava come attuale il tema del rischio di [k]scomparsa[k] della sinistra. Per l’esattezza, era scritto allora, nel luglio 2007: [k]La sinistra in Europa si trova oggi di fronte alla sfida forse piu’ difficile della sua storia: quella dell’esistenza politica[k]. E sulla “risposta” possibile: [k]E’ un po’ come quando tocca insieme correre e cercare la strada, ed e’ anche possibile che non si riesca a trovarla. Ma se finisse cosi l’esito sarebbe drammatico: l’eredita’ del movimento operaio del ‘900 ne sarebbe, semplicemente, cancellata[k]. E’ questo rischio che, ora, viene messo a fuoco come piu’ attuale. Nella lente d’una sconfitta, quale quella italiana, specifica ma che si presenta, dice adesso Bertinotti, come [k]caso limite[k] d’un problema di dimensione (almeno) europea. O, nelle parole di breve premessa dello stesso Garzia, come [k]rovesciamento del caso italiano[k]. E cioe’, di nuovo secondo Bertinotti: [k]La destra esce dalla minorita’ e la sinistra invece esce dalla scena parlamentare e a diventare minoritaria e’ la sua cultura[k].

E’ in effetti a partire dall'[k]analisi dei vincitori[k], della [k]destra italiana[k], che prende piede la riflessione bertinottiana. Per dire che a definirla, oggi, non e’ [k]l’eredita’ del fascismo[k] ne’ [k]l’assolutizzazione dello stato nazione[k] e [k]neppure il liberismo[k]. Piuttosto, appare una destra [k]deideologizzata[k] in grazia del suo [k]ingresso[k] nella [k]modernizzazione[k] su cui anzi esercita [k]una presa dura e originale[k]. Dunque [k]non fascista[k] ma [k]in grado di usare elementi di quella cultura e dei suoi depositi[k] nel rappresentare [k]l’avversione dura e propotente ad ogni diversita’ specie quando l’insicurezza si tramuta in paura[k]. E dunque [k]non l’assolutizzazione della patria-nazione[k] bensi [k]un pragmatico e cinico uso del suolo nativo[k], sino alla [k]piccola patria delle leghe, per esorcizzare lo storico problema delle migrazioni di massa nel mondo globalizzato delle diseguaglianze mortali[k]. E [k]neppure pienamente liberista[k], tanto da [k]smarcarsi rispetto al neolibersmo impotente[k] del [k]partito di Maastricht[k]; e [k]contemporaneamente aderirvi in pieno sul tema crucuale del rapporto lavoro-impresa-mercato[k]. In sintesi: [k]Un potente arlecchino che rispecia la scomposizione della societa’ (…) confezionando un’idea generale di restaurazione[k].

Di qui, in rapida concatenazione, l’affondo sulla magnitudine della [k]disfatta[k] della sinistra. Perche’ su di essa, come [k]sulla cocente sconfitta del Pd e sulla vittoria della Nuova destra[k], cio’ che [k]prende corpo[k] e’ un quadro di [k]regime leggero[k]. Definizione impropria per il “vecchio” Berlusconi, adatta invece ad una riorganizzazione del sistema politico in cui la destra primeggia in un [k]governo allargato[k], con un’opposizione attirata [k]verso il governo[k] come [k]da una gigantesca calamita[k], quella [k]del mercato[k]: che nell'[k]allargamento del governo[k] attira anche [k]le parti sociali[k], [k]vanificando ogni autonomia del sindacato[k]. E che esercita la privazione [k]della stessa politica se intesa in senso forte come, cioe’, idea di societa’[k]. Cosi che la Repubblica stessa si presenta come [k]a-fascista[k] e percio’ [k]a-antifascista[k], cioe’ [k]senza radici e senza storia[k], quale l’ha rivendicata,[k]seconda o terza che sia[k], il neopresidente della Camera, Gianfranco Fini.

E’ una [k]privazione[k] che [k]arriva direttamente al cuore della democrazia[k], cioe’ al [k]conflitto[k]. E qui, [k]nella lunga e strisciante crisi della democrazia[k] come [k]progressiva sostituzione della rappresentanza col governo[k], che Bertinotti vede [k]consumata la crisi della sinistra[k]. La sua scomparsa o la sua [k]possibile ricostruzione[k] si presentano cosi come [k]un destino che condivide, di fatto, con le forze sociali e culturali che nella societa’ si trovano ad affrontare il tema del loro riconoscimento[k]. Ed e’ sotto questa luce che, retrospettivamente, si scandisce l’elenco degli errori e degli abbagli venuti a saldo attraverso [k]il fallimento dell’esperienza[k] del governo Prodi o dell’Unione e ratificati quindi nel voto. Anzitutto la [k]falsificazione[k] pratica dell'[k]ipotesi piu’ ambiziosa[k], quella fondata sulla [k]permeabilita’ del governo da parte dei movimenti[k] e sull'[k]autonomia[k] del Prc [k]dal governo di cui entrava a far parte[k]. Laddove all’opposta permeabilita’ del governo esclusivamente ai [k]poteri forti[k] ha corrisposto un [k]limite interno[k] dei movimenti in termini di mancata [k]soggettivita’ politico-culturale condivisa[k], che pero’ richiama [k]il limite della rifondazione del Prc[k] stesso. Consistente nella [k]mancata innovazione del modello di organizzazione[k]. In continuita’, dunque, il limite evidente dell’esperienza [k]in stato di necessita’[k] della Sinistra Arcobaleno: anche qui, [k]quel che veniva negato nell’affermazione “non siamo un cartello elettorale”, risultava essere la pratica concreta[k]. Anche qui, [k]un errore di volontarismo e soggettivismo[k].

In mezzo, appunto, il bilancio della partecipazione al governo. Finita nella [k]trappola mortale[k] di un processo complessivo che [k]ha concentrato nel governo la contesa politica[k]. Trappola che [k]va spezzata[k], in ipotesi [k]da due lati[k]: ossia con la messa [k]in discussione dal basso, dalla societa’[k] del paradigma della “governamentalita’”, e [k]lavorando sull’opposizione dell’ipotesi, oggi lontana, del governo riformatore al governo allargato[k]. Mentre e’ aperta la possibilita’ che si verifichi l'[k]immaturita’[k] in Europa, [k]in questo ciclo[k], della [k]questione del governo per la sinistra radicale[k]: ma, in tal caso, [k]sarebbe un bel problema, non una liberazione[k].

Roma, 13 Giugno 2008

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