PALESTINA: UNA VITA NEI LAGER

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Il 20% della popolazione palestinese ha trascorso parte della sua
vita nelle prigioni di Israele

di Isabel Vega * – 04/02/2008

Fonte: uruknet

Il venti per cento della popolazione palestinese ha trascorso parte
della sua vita nelle prigioni di Israele

Studio dell’organizzazione di sostegno ai prigionieri ADDAMEER

Isabel Vega – Europa Press

Il venti per cento della popolazione palestinese e’ passato in
qualche momento della sua vita per le prigioni israeliani, una
percentuale che arriva al 40% se si analizzano a parte le detenzioni
maschili, secondo uno studio realizzato dalla ONG dei Diritti Umani
ADDAMEER. In totale, piu’ di 650.000 palestinesi hanno fatto
l’esperienza della prigione dal 1967.

L’organizzazione ha calcolato che nel 2007 erano in carcere circa
11.300 palestinesi detenuti, 3.800 dei quali si trovano in prigioni
civili di Israele, un paese la cui legislazione contempla le
cosiddette “detenzioni amministrative”, per cui si puo’ incarcerare
una persona all’infinito, rinnovando il fermo ogni sei mesi, fino a
quando non venga formulata un’accusa formale e un processo
preliminare. Nel caso delle donne, la situazione “e’ peggiore” perche’
in molti casi “sono detenute per potere esercitare pressione sui
mariti, sospettati di qualcosa”.

La situazione delle prigioniere palestinesi in carceri israeliane

In questa situazione si trovano 84 donne, alcune delle quali vivono
con i propri figli piccoli in prigione (due vi hanno visto la luce)
e la cui liberazione e’ stata sollecitata dall’organizzazione
spagnola Piattaforma delle Donne Artiste contro la Violenza di
Genere al Primo Ministro di Israele Ehud Olmert, attraverso una
missiva in cui, inoltre, sollecitano un’udienza. L’organizzazione,
sebbene non abbia ricevuto conferma formale dell’incontro con il
premier, avra’ comunque un colloquio con il viceministro degli Affari
Esteri del paese e con il massimo responsabile dell’Autorita’
Nazionale Palestinese, Mahmud Abbas.

Secondo quanto ha denunciato a Ramallah un gruppo di ex detenute
palestinesi e di familiari delle 84 recluse, la situazione nelle
prigioni israeliane e’ caratterizzata dalla “flagrante violazione dei
diritti umani” e “dall’omissione completa della legislazione
internazionale” in materia. La portavoce del gruppo, che ha scontato
nel corso della sua vita sette condanne in distinti centri
penitenziari, ha spiegato alla delegazione spagnola quanto le
torture e i maltrattamenti siano frequenti in questi centri e ha
descritto la condotta del personale carcerario come simile a quella
registrata nel carcere iracheno di Abu Ghraib nel 2005 e le cui
immagini vennero diffuse.

Cosi, ha riferito quanto sia abituale il fatto che soldati e
funzionari denudino le donne e le mettano di fronte a uomini arabi
facendo loro credere che saranno violentate. “Utilizzano borse della
medesima tela delle loro uniformi, ma piu’ ruvida, per coprire la
testa delle detenute”; in alcuni casi, costringono le donne “a stare
due giorni in piedi sotto la pioggia senza potersi muovere”, “le
minacciano di portare via i figli per consegnarli a famiglie ebree”,
le “rinchiudono in celle di un metro quadrato con un water
traboccante di liquami e le obbligano a vivere in questa situazione
per piu’ di un mese” e “alla fine consegnano loro un documento
scritto in ebraico e, sapendo che non lo sanno leggere, fanno
pressione perche’ lo firmino. Molte lo fanno”, ha spiegato.

Tanto le detenute come le loro famiglie chiedono che le donne
vengano considerate prigioniere politiche, mentre ora sono trattate
come prigioniere comuni e convivono con recluse israeliane
condannate per delitti di sangue. Allo stesso tempo, chiedono che
una delle internate, che tra due settimane partorira’, possa farlo
senza tenere esposti mani e piedi durante il parto, perche’ “e’
naturale che una donna possa averli liberi in questa situazione”.

Sciopero della fame e affari di Israele

Tanto per le ex detenute come per le famiglie delle recluse, e’
chiaro che l’incarceramento dei palestinesi e’ “un affare” per
Israele, che impone sanzioni economiche ai reclusi come punizione,
obbligando cosi i loro parenti a consegnare quantita’ elevate di
denaro. Con questi “introiti”, lo Stato di Israele “non spende
nulla” per il mantenimento degli internati, che soffrono in
continuazione di anemia per denutrizione e non dispongono delle
condizioni minime di salubrita’ e igiene.

Per le denuncianti, una prova di questa brama di incassi sta nel
fatto che, mentre prima era permesso ai familiari di portare cibo
tipico ai reclusi in ricorrenze come il Ramadan, ora “con il
pretesto di proteggere la salute dei prigionieri” e’ vietato
introdurre alimenti nelle prigioni. Quando gli stessi prodotti sono
in vendita negli spacci delle prigioni.

In questo momento, una delle recluse, di nome Amu Nahrum, che si e’
trasformata in un simbolo della lotta di tutte loro, ha ripreso uno
sciopero della fame che le ha gia’ procurato il ricovero in ospedale
dopo 33 giorni nel 2007. Ora sono quattro settimane che non
ingerisce alimenti, rinchiusa in una cella di totale isolamento.
Secondo i familiari, l’avvocata di Nahrum ha cercato di visitarla in
prigione, ricevendo la risposta che era entrata in ospedale. La sua
richiesta e’ quella di essere trattata come una prigioniera politica,
poiche’ il suo delitto e’ quello di “opporsi all’occupazione”.

Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro
di Cultura e Documentazione Popolare

Studio dell’organizzazione di sostegno ai prigionieri ADDAMEER
Isabel Vega *, traduzione di www.resistenze.org

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