LA CRISI MAI SUPERATA. DOPO LA STAGNAZIONE DI NUOVO LA CADUTA

Il Pil italiano fermo da anni. Il tentativo di riprendersi dopo il 2008 forzando sul consumo più intensivo della forza-lavoro e ristrutturazione del macchinario, non è servito a niente. Devono distruggere molto più forze produttive, conquistare nuovi mercati, solo così il profitto può ricominciare a crescere a ritmi elevati. Bisogna vedere se la società ed in particolare gli operai sono disposti a subire i brutali sacrifici che ciò comporta. Alla fine hanno dovuto rivedere tutto. Dopo i dati sulla caduta della produzione industriale di dicembre, dei fatturati nell’ultimo trimestre 2018 e gli indicatori per il 2019 fatti dall’Istat, le […]
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Il Pil italiano fermo da anni. Il tentativo di riprendersi dopo il 2008 forzando sul consumo più intensivo della forza-lavoro e ristrutturazione del macchinario, non è servito a niente. Devono distruggere molto più forze produttive, conquistare nuovi mercati, solo così il profitto può ricominciare a crescere a ritmi elevati. Bisogna vedere se la società ed in particolare gli operai sono disposti a subire i brutali sacrifici che ciò comporta.

Alla fine hanno dovuto rivedere tutto. Dopo i dati sulla caduta della produzione industriale di dicembre, dei fatturati nell’ultimo trimestre 2018 e gli indicatori per il 2019 fatti dall’Istat, le previsioni per il Pil nel 2019 sono state tutte riviste. Il più pesante aggiornamento è stato quello fatto dall’Ocse, l’organizzazione internazionale dei 35 paesi industrializzati, che per l’Italia è passata dal prevedere (pubblicazione di novembre) una crescita del pil di +1,1% a una decrescita di -0,2% per l’anno in corso. In un commento a caldo il primo ministro Conte così se ne è uscito: «Siamo perfettamente consapevoli che stiamo vivendo una congiuntura economica sfavorevole che

nasce e si sviluppa a livello internazionale. La guerra dei dazi non ci aiuta».

In queste misere considerazioni, tutte improntate a difendersi dagli attacchi alle scelte economiche del suo governo, della misera italietta, ci svela un paio di cose interessanti.

Primo, che la tanto annunciata ripresa si è già arrestata, “ne sono consapevoli”. In realtà, tanto la produzione era crollata tra il 2008 e il 2009 che i segni positivi degli anni successivi ne sono stati il naturale rimbalzo. Ma il livello pre-crisi non è mai stato raggiunto, anzi. Il che si è tradotto, per il pil, in quelle piccole percentuali a cui tutti si attaccavano per augurarsi la fine della crisi e la ripresa della produzione per tornare a fare profitti come prima del 2008.

Secondo, che se la “congiuntura è sfavorevole a livello internazionale”, e ciò potrà sembrare all’avvocato di governo una scusa, questo vuol semplicemente significare che la stessa distruzione di capitali e il successivo tentativo di rilanciare la produzione è avvenuta in Italia come negli altri paesi, ma non è stata sufficiente. E se tutti pensavano di utilizzare i mercati esteri dopo avere immiserito ulteriormente quello interno, ora si ritrovano tutti al punto di partenza, nuovamente con lo stesso problema della sovrapproduzione. «Quello che dobbiamo fare è sostenere il nostro export», aveva poi aggiunto il primo ministro a commento di quel -0,2% che segnala nuovamente la recessione per il 2019. Ancora più produzione, con un numero di operai relativamente diminuito rispetto all’apparato produttivo cresciuto, un mercato interno di consumatori nella crisi sempre più impoveriti, ed ecco la grande pensata per garantirsi la crescita dei profitti: la conquista dei mercati esteri.

Ma qui si scopre che «la guerra dei dazi non ci aiuta»- dice sempre l’avv. Conte-, ovvero che anche gli altri grandi paesi capitalisti hanno avuto la grande pensata, anzi han già messo in campo tutta la loro politica economica nella guerra commerciale, per la conquista di altri mercati su cui riversare la sovrapproduzione.

Ulteriori sacrifici, nuove distruzioni di capitale e un nuovo livello di utilizzo della forza lavoro verranno a imporre agli operai per la continua crescita dei profitti, una spirale apparentemente senza fine. Fino a quando, in questa spirale, gli operai, ma anche gli strati immiseriti della società, non saranno più disposti ad accettare che a così tanta produzione e accumulazione di ricchezza corrisponda la loro relativa miseria e rovina.

R.P.

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