DA NORD A SUD GLI SCHIAVI IN AGRICOLTURA

Il luogo comune che emigranti, braccianti e caporali si trovino solo in meridione è smentito. Nel veneto degli amici della lega e in tutto il Nord Italia questa è la norma del lavoro in agricoltura. La moderna “fabbrica agricola” garantisce che sulle tavole degli italiani tutti i giorni arrivi un’enorme quantità di prodotti agricoli; ortaggi, frutta,verdura e latticini, prodotti che operai migranti, provenienti da ogni angolo del pianeta, producono per conto di padroni, di società e di cooperative italiani e italiane. Il lavoro nella potente fabbrica agricola italiana, applicato in imprese ortofrutticole, oleicole, zootecniche, vitivinicole, cerealicole, vivaistiche e casearie, […]
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Il luogo comune che emigranti, braccianti e caporali si trovino solo in meridione è smentito. Nel veneto degli amici della lega e in tutto il Nord Italia questa è la norma del lavoro in agricoltura.

La moderna “fabbrica agricola” garantisce che sulle tavole degli italiani tutti i giorni arrivi un’enorme quantità di prodotti agricoli; ortaggi, frutta,verdura e latticini, prodotti che operai migranti, provenienti da ogni angolo del pianeta, producono per conto di padroni, di società e di cooperative italiani e italiane.

Il lavoro nella potente fabbrica agricola italiana, applicato in imprese ortofrutticole, oleicole, zootecniche, vitivinicole, cerealicole, vivaistiche e casearie, dà un valore della produzione che, nel 2017, ha superato i 55 miliardi di euro.

Questo settore dà lavoro a circa 1,5 milioni di braccianti e di operai della zootecnica (pastori e mungitori ecc..).

Di questo milione e mezzo, circa 400 mila sono operai migranti che, con pari condizioni contrattuali degli altri, possono vantare di avere un contratto di lavoro più o meno regolare, e ne fa degli operai al minimo del salario di sopravvivenza.

A questi operai “regolari” va aggiunto un altro esercito di braccianti, fatto di altri 430mila operai migranti.

Questi disperati sono figli di nessuno, senza nessuna tutela, nessun contratto di lavoro, nemmeno quello stagionale. Lavorano per 10-12 ore al giorno per un salario che non arriva ai 30 euro al giorno, e di questi 30 euro almeno 5 devono andare al caporale per le spese di trasporto o per il misero panino che gli viene fornito come pasto quotidiano.

Non hanno una casa dove poter vivere, se non una baracca fatta di cartone. Sono sottoposti alle bizze ed ai ricatti dei caporali che pianificano e organizzano la produzione per conto dei padroni agrari trattandoli come degli oggetti.

Dal Nord al Sud, dal Nord Est al Nord Ovest della penisola, dov’è richiesta una forza lavoro da poter impiegare immediatamente nella raccolta delle mele, piuttosto che in quella dell’uva, ecco che si ricorre alla manodopera di questi figli di nessuno.

Uomini che, dopo una giornata di 10-12 ore passate nei campi spaccandosi la schiena, le mani, le gambe, finito il lavoro, devono necessariamente diventare invisibili per tutta la società, senza fiatare ne lamentarsi.

Devono rintanarsi come dei topi nelle loro “cittadelle” fatiscenti fatte di cartone e lamiera, tenute assieme con il nastro isolante, come a Rosarno. Oppure sparire in qualche tugurio di una ex fabbrica abbandonata o costruirsi una baracca di cellophane in un ex Foro Boario, com’è successo ai 5000 braccianti stagionali accorsi per la raccolta frutticola a Saluzzo.

Il “fenomeno” del caporalato viene rappresentato da giornali, riviste, radio e televisione come un fenomeno odierno governato dalle mafie o gestito direttamente dalla camorra, ma nella realtà è un fenomeno antico e ben radicato nella gestione della manodopera agricola.

Una volta il bracciantato agricolo si metteva davanti alla chiesa del paese aspettando che il fattore del padrone organizzasse la chiamata per il lavoro nei campi.

Oggi le cose sono cambiate, mentre utilizzare ancora il fattore per l’intermediazione della manodopera sarebbe ridicolo e pericoloso, perché sarebbe immediatamente riconducibile al padrone agrario, in quanto stipendiato da lui, nel “moderno” utilizzo della manodopera si ricorre ad un più “evoluto espediente”.

I padroni preferiscono appaltare il servizio del reclutamento della manodopera a piccoli delinquenti senza scrupoli, così, se le cose dovessero andare male, risulterebbe la loro completa estraneità ai fatti, prendendo le distanze dal caporale di turno.

Ma pensare che il caporalato sia un fatto solamente legato alla produzione agricola nel Meridione è una bufala grande come una casa. Una menzogna, propagandata ad arte da certa stampa, che qualche produttore del Nord, amico della Lega del sig. Salvini, nel tentativo di costruirsi una facciata rispettabile, cerca di mettere in scena. Una ipocrisia bella e buona.

Questo modello organizzativo del lavoro, in ogni angolo della penisola dove si producono merci agricole, si sta dimostrando la nuova più efficace regola per lo sfruttamento dei nuovi schiavi del lavoro agricolo.

Nella raccolta dei meloni e delle angurie nel mantovano, nella raccolta delle pesche nel veronese, nella vendemmia delle pregiate uve della Franciacorta, nella raccolta delle mele in Valtellina, in quella dei carciofi nell’agro romano, nella cura del bestiame da pascolo sulle montagne abruzzesi o sarde, i caporali procacciano e organizzano la manodopera per conto dei padroni.

Questi moderni negrieri agli ordini degli agrari stanno dettando le condizioni di utilizzo dell’esercito del bracciantato agricolo migrante, i nuovi moderni schiavi dell’industria agroalimentare.

D.C.

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