Da capacità lavorativa a mera forza-lavoro

Evoluzione della condizione produttiva degli operai nella grande industria meccanica Nel Capitale di Marx troviamo la descrizione: “la macchina utensile è un meccanismo che, ricevuto l’opportuno movimento, esegue con i suoi strumenti le medesime operazioni che prima effettuava l’operaio con strumenti analoghi.” Questo potrebbe far gridare ad un borghese che la macchina ha alleviato le fatiche degli operai, che l’automazione ha liberato dallo sforzo fisico il lavoro degli operai. Marx però, prendendo spunto da un altro economista del suo tempo, che scriveva: “Ci si deve chiedere se tutte le invenzioni meccaniche fatte fino ad oggi abbiamo alleviato le quotidiane […]
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Evoluzione della condizione produttiva degli operai nella grande industria meccanica

Nel Capitale di Marx troviamo la descrizione: “la macchina utensile è un meccanismo che, ricevuto l’opportuno movimento, esegue con i suoi strumenti le medesime operazioni che prima effettuava l’operaio con strumenti analoghi.”

Questo potrebbe far gridare ad un borghese che la macchina ha alleviato le fatiche degli operai, che l’automazione ha liberato dallo sforzo fisico il lavoro degli operai.

Marx però, prendendo spunto da un altro economista del suo tempo, che scriveva: “Ci si deve chiedere se tutte le invenzioni meccaniche fatte fino ad oggi abbiamo alleviato le quotidiane fatiche d’un qualunque essere umano”, chiude il concetto affermando che “non è a questo scopo che il capitale utilizza le macchine”. “Il macchinismo mira qui a ridurre il prezzo delle merci e ad abbreviare la parte della giornata lavorativa che l’operaio impiega per sé, al fine di prolungare l’altra parte di essa che l’operaio cede gratuitamente al capitalista: è un mezzo per incrementare la produzione di plusvalore

Poi aggiunge:quando s’impedì definitivamente un aumento della produzione di plusvalore tramite il prolungamento della giornata lavorativa, il capitale si dedicò con tutta la sua anima e con chiara coscienza alla produzione di plusvalore relativo tramite un più rapido sviluppo del sistema meccanico”.

Ecco come Marx aveva smontato l’illusione che l’automazione, o più semplicemente la macchina, fosse una innovazione per migliorare la qualità della vita degli operai.

Prendiamo ad esempio una fresatrice, seguiamo il suo sviluppo negli ultimi 60 anni.

Negli anni 60/70 del 900 la fresatrice, una macchina utensile che si trovava nella maggior parte delle officine era pressoché un trapano più o meno grande con una tavola dove si appoggiava il pezzo da lavorare. La tavola poteva essere spostata orizzontalmente e trasversalmente, mentre la punta del mandrino si spostava dall’alto al basso. I movimenti erano gestiti interamente dall’operaio, che con le sue mani girava i volantini e spostava così gli assi della macchina. Le misure erano rilevate da un nonio, un “righello” circolare dove l’operatore poteva controllare la misura dello spostamento.

L’operaio doveva leggere su un disegno la lavorazione, doveva fare conti matematici e applicare la geometria e la trigonometria per risolvere le eventuali misure mancanti. In tutte le officine giravano i manuali di geometria e trigonometria.

Negli anni 70, l’elettronica entra in officina con il visualizzatore di quote che legge il segnale proveniente dalle righe ottiche, in questo modo l’operatore può controllare direttamente su un display la misura corretta al centesimo di millimetro.

La macchina però presentava un problema meccanico, i movimenti della tavola erano gestiti dalle viti che avevano un gioco sempre più grande col passare del tempo. L’operaio era costretto a correggere questi giochi con vari espedienti che solo l’esperienza poteva insegnargli.

Questo però comportava una perdita di tempo, per il padrone una minore appropriazione di pluslavoro. Ecco che allora, gli inventori al servizio del capitale si danno da fare per ridurre quella perdita di tempo di lavorazione. Nascono i primi visualizzatori che correggono il gioco della vite, togliendo all’operatore quel lavoro di controllo che gli era costato anni di esperienza e che aveva elevato la sua professionalità. Doveva affilare gli utensili nel modo giusto, correggere il movimento della tavola per compensare i giochi meccanici.

Negli anni 80 arriva il controllo numerico, l’elettronica entra in pieno nelle officine ed inizia ad avere un ruolo fondamentale. La macchina non ha più solo componenti meccaniche, ma, man mano che passano gli anni aumentano schede elettroniche, sensori, PLC (controllore logico programmabile).

Adesso il vecchio operatore di macchine utensili, inizia a prendere un posto più marginale nell’officina. Di colpo le sue capacità e conoscenze acquisite negli anni non servono più.

Pochi di loro riescono ad usare le macchine a controllo numerico, il progresso li ha relegati in un angolo dell’officina, vicino alle loro macchine manuali. Le nuove generazioni di operai iniziano a prendere confidenza con i computer, a loro è richiesta una formazione scolastica specifica.

Nelle officine, uno per macchina, i nuovi operai, “felici” delle loro conoscenze al servizio delle nuove macchine moderne iniziano la loro vita lavorativa in fabbrica. All’inizio i programmi vengono compilati direttamente nel controllo numerico, l’operatore deve leggere il disegno e trasformare in programma le coordinate. Deve controllare in grafica se è tutto giusto, deve predisporre gli utensili, azzerarli e sostituirli ogni volta che ognuno ha terminato il suo lavoro. Nei giro di pochi anni questa attività viene assunta dal vero e proprio programmatore, staccato dalla macchina e relegato negli uffici.

Aumentano a dismisura le macchine utensili a controllo numerico. Passano dieci anni e già la tecnologia ha rivoluzionato la produzione. Mandrini sempre più veloci permettono una riduzione dei tempi di lavoro del singolo pezzo. Se l’operatore inizialmente aveva qualche momento di pausa, le nuove tecnologie lo riportano ai tempi di saturazione del padrone.

Negli anni 90 però una crisi nel settore metalmeccanico ci mette lo zampino.

Nelle fabbriche intanto si iniziano a vedere le macchine utensili che lavorano da sole, capannoni pieni di fresatrici, torni, elettroerosioni e pochi operai.

Ormai un operaio è in grado di controllare due, tre, quattro o più macchine diverse.

Il suo intervento sul controllo numerico si riduce sempre più, si ripete ciò che era successo alla generazione operaia precedente, appena vent’anni prima. Tutta l’esperienza acquisita diventa inutile. Al padrone non serve più l’operaio con conoscenze meccaniche e di geometria.

Ecco che anche il suo salario diminuisce e sulle macchine utensili vengono messi operai senza alcuna esperienza e preparazione nella meccanica.

Il programma per fresare il pezzo arriva dall’ufficio, compreso le tecnologie di lavoro. La macchina ha nel 2000 ormai anche il cambio utensile automatico.

L’operaio quindi deve montare gli utensili nella macchina, azzerare il pezzo e premere il tasto di avviamento. Ha il tempo di andare su altre macchine a ripetere le stesse operazioni.

Nel 2010 si diffondono dopo un abbassamento del prezzo, i tastatori che misurano gli utensili e i tastatori che misurano il pezzo dopo la lavorazione. Anche questa componente, che consentiva all’operaio di usare il cervello e di mettere in campo un po’ della sua capacità intellettiva viene meno.

La tecnologia ha permesso al padrone di ridurre drasticamente i tempi di produzione.

Adesso la singola macchina utensile richiede meno lavoro vivo, costituito da operazioni più elementari.

Alcuni passi presi dal Capitale sono una netta fotografia della condizione attuale in cui versano gli operai che lavorano sulle moderne macchine “automatiche”. Una fotografia così precisa, attuale, chiara, che ci risparmia qualsiasi commento.

rendendoli «semplice accessorio della macchina, un accessorio a cui non si chiede che un’operazione estremamente semplice, monotona, facilissima ad imparare»

L’operaio, … diviene nel sistema industriale un mero accessorio della macchina.”

tutti i mezzi per lo sviluppo della produzione si convertono in mezzi di dominio e di sfruttamento del produttore, mutilano l’operaio in un uomo incompleto, lo degradano a trascurabile accessorio della macchina,”

Per il capitalista, che mira esclusivamente all’accrescimento del proprio capitale, non esiste alcuna differenza da questo punto di vista tra l’elemento inanimato e quello vivo, umano, del processo di produzione. L’operaio diviene per lui un semplice accessorio della macchina.”

Le citazioni di Marx sono presi dalle edizioni del Capitale I Mammut, a cura di Eugenio Sbardella, ed Utet a cura di Bruno Maffi.

S.D.

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