IMPERIALISMO E MIGRAZIONE

L’Eni in Africa ha rapinato ogni risorsa energetica, in cambio ha rovinato l’economia locale, tutto l’ambiente, spinto i popoli all’emigrazione. L’attuale ondata migratoria è un prodotto dei gruppi imperialisti.  I governi di tutti i paesi sono contro i migranti, ma difendono i loro imperialisti. In particolare è utile esaminare l’azione dell’ENI il più importante gruppo imperialista Italiano in Nigeria. Proprio perchè dalla Nigeria proviene gran parte dei migranti “neri”. Lasciamo perdere l’attività di corruzione di politici e amministratori. L’ENI paga tutti pur di fare profitti e svolge la sua attività in quasi tutti i paesi dell’africa. Le attività dell’ENI […]
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L’Eni in Africa ha rapinato ogni risorsa energetica, in cambio ha rovinato l’economia locale, tutto l’ambiente, spinto i popoli all’emigrazione.

L’attuale ondata migratoria è un prodotto dei gruppi imperialisti.  I governi di tutti i paesi sono contro i migranti, ma difendono i loro imperialisti. In particolare è utile esaminare l’azione dell’ENI il più importante gruppo imperialista Italiano in Nigeria. Proprio perchè dalla Nigeria proviene gran parte dei migranti “neri”. Lasciamo perdere l’attività di corruzione di politici e amministratori. L’ENI paga tutti pur di fare profitti e svolge la sua attività in quasi tutti i paesi dell’africa. Le attività dell’ENI in Algeria, Nigeria, Sud Africa, Marocco, Tunisia, Gabon, Monzambico, Libia, Liberia,Eguitto, Ghana, costa d’avorio, Kenya, Repubblica del Congo, Angola.

Riportiamo da un articolo di popoli: «Se si guarda all’attività dell’azienda da una prospettiva di giustizia ambientale, sociale e di miglioramento delle condizioni di vita delle comunità locali, il bilancio delle attività dell’Eni in Africa non si può dire positivo». Elena Gerebizza, ricercatrice della Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, da anni analizza le strategie del Cane a sei zampe e ne verifica sul terreno le conseguenze. E il suo giudizio sull’operato della società petrolifera di San Donato in Africa è negativo.

L’impatto ambientale dell’estrazione è fortissimo. In Paesi come la Nigeria, nel quale l’azienda opera dagli anni Settanta, si è arrivati a un degrado assoluto. Le comunità che in passato vivevano in situazioni di sussistenza, ma in un ambiente sano, oggi non possono più coltivare la terra né bere l’acqua delle sorgenti perché terreno, acqua e atmosfera sono inquinati. Nei giacimenti su terraferma, l’imbatto ambientale è evidente e va al di là di ciò che possono essere i danni che normalmente produce un’attività come quella dell’estrazione di idrocarburi. Secondo le valutazioni di Environmental rights action, un’organizzazione locale nigeriana, gli impianti dell’Eni non solo sono quelli che hanno maggiori perdite, ma sono quelli in cui le perdite vengono riparate con maggiore ritardo. Quando c’è uno sversamento, i tecnici intervengono dopo giorni, se non settimane, riparano la falla, ma non bonificano la zona.

Attraverso il fenomeno del cosiddetto gas flaring cioè l’emissione di gas che fuoriescono con l’estrazione del petrolio. In America, Asia ed Europa questi gas vengono recuperati e utilizzati per produrre energia elettrica. In Africa invece vengono bruciati nell’atmosfera rilasciando sostanze fortemente inquinanti. In passato l’Eni aveva annunciato di voler creare impianti per il riutilizzo del gas flaring, ma non sono stati mai realizzati

Alcune Ong nigeriane hanno denunciato la presenza di contractors in difesa degli impianti.

Tutte le società petrolifere utilizzano contractors, lo fa anche l’Eni. La cosa più grave però è che nel Delta del Niger c’è una forte presenza armata di militari nigeriani che proteggono gli impianti petroliferi. Questi militari pagati dall’ENI sono contro le comunità locali  per difendere gli interessi della azienda.

Non c’è ricaduta positiva sulle comunità locali dell’attività di estrazione L’ENI spesso si impegna a realizzare piccoli investimenti (ambulatori, scuole, pozzi, ecc.), ma queste opere non compensano in alcun modo i danni causati alle comunità. Nei casi peggiori, come quello della Nigeria, le opere non vengono neppure costruite perché i soldi si perdono nei vari passaggi di mano.

Lettera dall’Africa

(Fonte: Raiawadunia.com)

Lettera a Salvini di un’immigrata Africana: “La faccia cattiva la dedichi ai potenti che occupano casa mia”.

È diretta e senza mediazioni la lettera aperta di una donna africana al ministro dell’Interno. “Se avessi potuto scegliere, avrei fatto volentieri a meno della sua ospitalità”.

«Ho visto la sua faccia ieri al telegiornale. Dipinta dei colori della rabbia. La sua voce ,poi, aveva il sapore amarissimo del fiele. Ha detto che per noi che siamo qui nella vostra terra è finita la pacchia. Ci ha accusati di vivere nel lusso, rubando il pane alla gente del suo paese. Ancora una volta ho provato i morsi atroci della paura…
Chi sono? Non le dirò il mio nome. I nomi, per lei, contano poco. Niente. Sono una di quelli che lei chiama con disprezzo “clandestini”.
Vengo da un paese, la Nigeria, dove ben pochi fanno la pacchia e sono tutti amici vostri. Lo dico subito. Non sono una vittima del terrorismo di Boko Haram. Nella mia regione, il Delta del Niger non sono arrivati. Sono una profuga economica, come dite voi, una di quelle persone che non hanno alcun diritto di venire in Italia e in Europa.
Lo conosce il Delta del Niger? Non credo. Eppure ogni volta che lei sale in macchina può farlo grazie a noi. Una parte della benzina che usa viene da lì.
Io vivevo alla periferia di Port Harkourt, la capitale dello Stato del Delta del Niger. Una delle capitali petrolifere del mondo. Vivevo con mia madre e i miei fratelli in una baracca e alla sera per avere un po’ di luce usavamo le candele. Noi come la grande maggioranza di chi vive lì.

È dura vivere dalle mie parti. Molto dura. Un inferno se sei una ragazza. Ed io ero una ragazza. Tutto è a pagamento. Tutto. Se non hai soldi non vai a scuola e non puoi curarti. Gli ospedali e le scuole pubbliche non funzionano. E persino lì, comunque, se vuoi far finta di studiare o di curarti, devi pagare. E come fai a pagare se di lavoro non ce ne è? La fame, la miseria, la disperazione e l’ assenza di futuro, sono nostre compagne quotidiane.
La vedo già storcere il muso. È pronto a dire che non sono fatti suoi, vero?
Sono fatti suoi, invece.
Il mio paese, la regione in cui vivo, dovrebbe essere ricchissima visto che siamo tra i maggiori produttori di petrolio al mondo. E invece no. Quel petrolio arricchisce poche famiglie di politici corrotti, riempie le vostre banche del frutto delle loro ruberie, mantiene in vita le vostre economie e le vostre aziende.
Il mio paese è stato preda di più colpi di stato. Al potere sono sempre andati, caso strano, personaggi obbedienti ai voleri delle grandi compagnie petrolifere del suo mondo, anche del suo paese. Avete potuto, così, pagare un prezzo bassissimo per il tanto che portavate via. E quello che portavate via era la nostra vita.
Lo avete fatto con protervia e ferocia. La vostra civiltà e i vostri diritti umani hanno inquinato e distrutto la vita nel Delta del Niger e impiccato i nostri uomini migliori. Si ricorda Ken Saro Wiwa? Era un giovane poeta che chiedeva giustizia per noi. Lo avete fatto penzolare da una forca…
Le vostre aziende, in lotta tra loro, hanno alimentato la corruzione più estrema. Avete comprato ministri e funzionari pubblici pur di prendervi una fetta della nostra ricchezza.
L’ Eni, l’ Agip, quelle di certo le conosce. Sono accusate di aver versato cifre da paura in questo sporco gioco. Con quei soldi noi avremmo potuto avere scuole e ospedali. A casa, la sera, non avrei avuto bisogno di una candela…
Sarei rimasta lì, a casa mia, nella mia terra.
Avrei fatto a meno della pacchia di attraversare un deserto. Di essere derubata dai soldati di ogni frontiera e dai trafficanti. Di essere violentata tante volte durante il viaggio. Avrei volentieri fatto a meno delle prigioni libiche, delle notti passate in piedi perché non c’ era posto per dormire, dell’ acqua sporca e del pane secco che ti davano, degli stupri continui cui mi hanno costretta, delle urla strazianti di chi veniva torturato.
Avrei fatto a meno della vostra ospitalità. Nel suo paese tante ragazze come me hanno come solo destino la prostituzione. Lo sapete. E non fate niente contro la nostra schiavitù anzi la usate per placare la vostra bestialità. Io sono riuscita a sfuggire a questo orrore, ma sono stata schiava nei vostri campi. Ho raccolto i vostri pomodori, le vostre mele, i vostri aranci in cambio di pochi spiccioli e tante umiliazioni.
Ancora una volta, la pacchia l’ avete fatta voi. Sulla nostra pelle. Sulle nostre vite. Sui nostri poveri sogni di una vita appena migliore.
Vedo che non ho mai pronunciato il suo nome. Me ne scuso, ma mi mette paura. Quella per l’ ingiustizia di chi sa far la faccia dura contro i deboli, ma sa sorridere sempre ai potenti.
Vuole che torniamo a casa? Parli ai suoi potenti, a quelli degli altri paesi che occupano di fatto casa mia in una guerra velenosa e mai dichiarata. Se ha un po’ di dignità e di coraggio, la faccia brutta la faccia a loro».

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