Licenziamenti e contratti precari

Caro Operai Contro, fabbriche e attività ogni giorno chiudono o falliscono, altre dichiarano lo stato di crisi. Grandi, piccole e medie imprese, spesso la notizia di un’altra fabbrica che chiude, non va oltre i notiziari locali, ancora meno ai regionali, di rado sui nazionali. Eccezioni a parte, dopo lo sciopero e lo scalpore dei primi giorni, poi la cassa integrazione mette il silenziatore, il problema è “risolto”: l’azienda chiude, o subito o lentamente, per “crisi” o cessata attività, oppure perché viene trasferita. Le crisi per “riorganizzazione” e “ristrutturazione”, servono invece ai padroni per ridurre personale o sostituirlo con altro […]
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Caro Operai Contro,

fabbriche e attività ogni giorno chiudono o falliscono, altre dichiarano lo stato di crisi. Grandi, piccole e medie imprese, spesso la notizia di un’altra fabbrica che chiude, non va oltre i notiziari locali, ancora meno ai regionali, di rado sui nazionali.

Eccezioni a parte, dopo lo sciopero e lo scalpore dei primi giorni, poi la cassa integrazione mette il silenziatore, il problema è “risolto”: l’azienda chiude, o subito o lentamente, per “crisi” o cessata attività, oppure perché viene trasferita. Le crisi per “riorganizzazione” e “ristrutturazione”, servono invece ai padroni per ridurre personale o sostituirlo con altro più “conveniente”.

La penalizzazione per le aziende che delocalizzano, voluta da Di Maio nel decreto Dignità, è il classico pannicello caldo, perché queste aziende nel trasferirsi potrebbero fare come già fanno tante, che proseguono l’attività dopo un periodo di crisi, semplicemente cambiando ragione sociale o il nome del titolare.

Chiudono le fabbriche fioccano i licenziamenti, aumentano i contratti precari. Nel 2017 solo 1 assunto su 4 era cosidetto “stabile”, (quelle assunzioni che impropriamente vengono definite “nuovi contratti a tempo indeterminato”). A giugno 2018 le assunzioni cosidette stabili, sono state 6.790 in meno dei licenziamenti.

I dati di Unioncamere, l’ente governativo delle Camere di Commercio, dicono che, nel 1° trimestre del 2018, il numero delle nuove imprese nate, non raggiunge il numero di quelle chiuse, ne mancano 15.401. Anche un anno prima, il 1° trimestre del 2017 le imprese chiuse superano le nuove nate di 15.905. Analogo l’andazzo negli anni precedenti.

Il 18 luglio 2018 il ministro del Lavoro Di Maio, intervenendo alla camera dei Deputati, “per rispondere all’informativa urgente del governo sullo stato dei tavoli di crisi aperti al Mise”, sembrava avesse in mano la soluzione ai licenziamenti causati dalle chiusure, dalle riorganizzazioni e ristrutturazioni delle aziende. Invece Di Maio non è andato oltre le lamentele che i padroni, prendono i soldi dallo Stato e poi continuano a fare ciò che vogliono, licenziando operai e lavoratori. In quell’occasione Di Maio ha comunicato che “i tavoli di crisi aperti sono ben 144 e coinvolgono 189 mila famiglie”. Come Salvini anche Di Maio espone una lettura capovolta della realtà e quindi del processo in corso, affermando che: “le ragioni di questa crisi sono indissolubilmente legate all’impoverimento che il nostro paese ha subito nel corso degli ultimi anni, ecc. ecc.”.

Per Di Maio non è quindi la crisi che, mentre da una parte crea più ricchezza per pochi, dall’altra, produce nuovo disagio sociale, nuovi poveri ed una povertà più profonda. Per il ministro del Lavoro non è la crisi stessa un prodotto del sistema capitalista, che ha bisogno di un maggior sfruttamento operaio per sopravvivere, generando quell’ “impoverimento del Paese” che Di Maio vede ma non ci dice da dove arriva. Come se gli sfruttati, i poveri, i meno abbienti, fossero per Di Maio semplicemente “sfigati”. Forse per questo lui ha progettato il “reddito di cittadinanza”, una pomposa definizione dell’assegno di povertà, la cui entità reale ed il numero dei destinatari, sono ancora un mistero.

Inserito nel decreto Genova e con validità fino al 2020 compreso, il ripristino della cassa integrazione per 12 mesi, per le aziende che cessano l’attività, è una possibilità per gli operai e i lavoratori, un’occasione da sfruttare per organizzarsi e resistere contro il licenziamento e i piani dei padroni, i quali al contrario, sperano che questo ammortizzatore ripristinato per 12 mesi dal giorno della cessata attività, funzioni come quasi sempre grazie alla complicità del sindacato, come addomesticatore delle lotte e silenziatore del fatto che, una dopo l’altra le aziende chiudono in silenzio.

Senza un organizzazione operaia nelle fabbriche e sui posti di lavoro, non è possibile una coerente lotta ai padroni ed ai loro governi.

Saluti Oxervator

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