Esportazioni e importazioni saheliane. Il caso del Niger

Mai siamo stati importanti come adesso. Siamo corteggiati dai Paesi e dalle agenzie umanitarie. Non ci fossimo bisognerebbe inventarci di sana sabbia. Siamo diventati esportatori unici di frontiere, oro, uranio, cocaina e gruppi armati. Ce l’abbiamo fatta. Abbiamo potuto ritagliarci un posto nell’economia globale. Chi parla di sicurezza, terrorismo e controllo di nefasti flussi migratori trova in noi un terreno propizio per accordi ‘vincenti’ di partenariato. Esportiamo crisi umanitarie permanenti, carestie irregolari, desertificazioni ostinate, occasionali attentati e stato di urgenza democratica. In poche parole ce la mettiamo davvero tutta per dare una mano a chi non aspetta altro che […]
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Mai siamo stati importanti come adesso. Siamo corteggiati dai Paesi e dalle agenzie umanitarie. Non ci fossimo bisognerebbe inventarci di sana sabbia. Siamo diventati esportatori unici di frontiere, oro, uranio, cocaina e gruppi armati. Ce l’abbiamo fatta. Abbiamo potuto ritagliarci un posto nell’economia globale. Chi parla di sicurezza, terrorismo e controllo di nefasti flussi migratori trova in noi un terreno propizio per accordi ‘vincenti’ di partenariato. Esportiamo crisi umanitarie permanenti, carestie irregolari, desertificazioni ostinate, occasionali attentati e stato di urgenza democratica. In poche parole ce la mettiamo davvero tutta per dare una mano a chi non aspetta altro che darci una mano. Il Sahel esporta materie prime, terre arabili, siccità e si offre come zona a rischio per quasi tutto si possa sperare oggi. Facilitiamo il lavoro degli esperti, dei giornalisti, dei media e non li priviamo, se non per tempi ridotti, di notizie sulle catastrofi naturali e quelle dovute ai cambiamenti climatici. Quanto alla geopolitica, poi,siamo ormai un terreno propizio per ricerche, rapporti, documenti, studi e piani di aggiustamento strutturale.

Importiamo basi militari, forze congiunte , formatori, consiglieri, esperti a tutto campo e, naturalmente, droni armati. Consapevoli come siamo del notro ruolo centrale nell’economia umanitaria, facciamo del nostro meglio per chiunque voglia fare del bene al popolo. Le agenzie hanno inteso il messaggio e arrivano, si propongo e, talvolta, implorano di poter far parte degli eletti all’aiuto, qualunque esso sia. In denaro forse è meglio per tutti. La liquidità si addice al paesaggio che soffre di perenne dipendenza dalle pioggie. Ma non si rifiutano neppurebene in natura e soprattutto mirati progetti di sviluppo inclusivo, con attenzione particolare alle donne, vere locomotive dell’economia. Si importano idee democratiche, metodi efficaci di controllo delle nascite, sistemi di governo e soprattutto le strategie di conservazione del potere presidenziale. Libero corso alle idee liberali e ai rigurgiti dei fondamentalismi religiosi controllati e filtrati dalle apposite agenzie che non funzionano. Non ci facciamo mancare nulla. Rifugiati dai Paesi vicini, centri di accoglienza e di mirato smistamento migranti, seminari di formazione e di capacitazione in ogni settore possibile e immaginabile.

Esportiamo cipolle e polvere di ottima qualità. Della sabbia manco a parlarne, appare e scompare in ogni trattativa sulle strade, negli uffici col condizionatore e nelle pieghe dei pochi contratti di lavoro a tempo pieno. Facciamo nostri i poveri e la povertà. Cerchiamo di presentare quest’ultima in modo da renderla attraente per il mercato, altamente concorrenziale, dei fondi fiduciari di urgenza. Le stagioni dell’anno e della vita sono un settore interessante per le compagnie telefoniche. Esportiamo, con ottimi risultati, dividendi demografici unici al mondo, segno della salute riproduttiva del popolo. Facilitiamo la realizzazione delle profezie sulle inondazioni. Era stato predetto un anno complicato, con possibili decessi e migliaia di senzatetto. Detto e fatto. Un recente comunicato dell’Ufficio di Coordinazione per gli Affari Umanitari lo conferma. Morti e sfollati come previsto, in particolare ad Agadez, città riconosciuta come patrimonio mondiale dell’Unesco. Non di soli migranti si vive o si muore ma anche di inondazioni annunciate, programmate e infine realizzate. Difficile non essere riconoscenti alle popolazioni per la loro collaborazione.

Importiamo americani, tedeschi, indiani, italiani, ponti e raffinerie di petrolio chiavi in mano ai cinesi. Quanto ai francesi si sentono come a casa loro per via della colonia permanente e attualizzata. Importiamo macchine usate e abbandonate dall’Europa tramite i porti della costa e il deserto libico. Facciamo spazio alle compagnie minerarie, alle multinazionali delle sementi e alle banche di credito in generale. Le ultime ideologie di grido e le grandi narrazioni sono ben accette e poi accantonate per lasciare posto alle promesse dei politici. Importiamo sistemi  la cui provata efficacia non supera una stagione. Quanto a Dio non ha concorrenti di rilievo. Sa che, per Lui, meglio del Sahel non potrebbe trovare per passare il tempo.

Mauro Armanino, niamey, settembre 2018

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