Guerra alla sicurezza

Bastano poche parole per spiegare il crollo del ponte Morandi a Genova: 2,4 miliardi di euro! Una massa di ricchezza barattata con la vita degli oltre 50 morti schiacciati sotto le macerie. La corsa ai profitti autostradali nel corso degli ultimi anni ha assunto le vesti di una vera e propria guerra, dove da una parte ci sono gli automobilisti con il loro  bisogno di sicurezza e dall’altra le esigenze di redditività delle voraci fauci dei concessionari autostradali. Non si tratta di fatalità quindi, ma di una diretta conseguenza di questo scontro. E il grande capitale questa volta con […]
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Bastano poche parole per spiegare il crollo del ponte Morandi a Genova: 2,4 miliardi di euro! Una massa di ricchezza barattata con la vita degli oltre 50 morti schiacciati sotto le macerie. La corsa ai profitti autostradali nel corso degli ultimi anni ha assunto le vesti di una vera e propria guerra, dove da una parte ci sono gli automobilisti con il loro  bisogno di sicurezza e dall’altra le esigenze di redditività delle voraci fauci dei concessionari autostradali. Non si tratta di fatalità quindi, ma di una diretta conseguenza di questo scontro. E il grande capitale questa volta con il ponte Morandi ha alzato il livello della battaglia sparando una vera cannonata.
Del resto gli operai in tutti i cantieri già conoscono i termini del conflitto. Vivono la loro guerra quotidiana con il Capitale per la sicurezza nei posti di lavoro tutti i giorni, nella speranza di poter tornare a casa in condizioni normali, senza  infortuni, amputazioni o peggio in posizione orizzontale. Quante volte le misure di sicurezza sono state eluse dalle esigenze dei tempi di lavoro o peggio da quelle dei bilanci?
Così, mentre sulle autostrade si rischia la pelle ogni giorno per la mancata manutenzione, gli affari per Atlantia, la società di Benetton che gestisce la società Autostrade, procedono a vele spiegate: 3.9 miliardi di ricavi e 2.4 miliardi di euro di margine operativo lordo, un utile netto finale che supera il miliardo di euro nel 2017. Un pozzo senza fondo pieno di monete d’oro. Un tasso di profitto di oltre il 50% realizzato attraverso i pedaggi autostradali e i ricavi sui lavori di manutenzione delle tratte che vengono affidati guarda caso, alle aziende dello stesso gestore. Un rendimento che spiega la grande euforia scatenatasi questa primavera nelle borse e sui giornali di Confindustria, quando l’ex ministro Del Rio in quota PD, con un governo dimissionario che doveva svolgere soltanto gli affari correnti, ha firmato il rinnovo delle concessioni della rete autostradale agli attuali potenti gestori senza lo straccio di una gara d’appalto.
Le società che gestiscono la nostra rete di autostrade possono vantare utili record e sicuri grazie al sistema delle tariffe che scattano in avanti secondo calcoli prestabiliti nella concessione in modo indipendente dai costi. Un vero e proprio bancomat che ha garantito tangenti ai politici e il controllo dei grandi gruppi industriali sulla gestione di una delle fonti più sicure di concentrazione della ricchezza. Ora questo governo minaccia il ritiro della concessione ai Benetton. Bene. Noi speriamo però che alle minacce questa volta seguano fatti concreti: i costi per la costruzione delle autostrade ormai sono stati ampiamente ripagati con i pedaggi. Queste infrastrutture sono patrimonio di tutti. Sono diventate proprietà collettiva e quindi sociale. Salvini e Di Maio la smettano di blaterare coglionate sui migranti e ritirino tutte le concessioni, non solo quella di Benetton ma anche quelle di Gavio senza concedere indennizzi. E utilizzino poi gli importanti ricavi per una corretta gestione della manutenzione della viabilità fuori dalla guerra per il profitto. Stiamo chiedendo troppo?
F.A.

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