Assemblea operaia, Pomigliano, 23 giugno 2018

L’assemblea del 23 giugno a Pomigliano è stata una prova di come gli operai, tra l’altro di uno dei settori più importanti, quello automobilistico, possano in proprio mettere in campo il tentativo di incominciare una discussione seria sul problema dell’autorganizzazione indipendente degli operai. L’assemblea è stata partecipata. C’erano circa 150 persone di cui almeno 50 erano operai provenienti in maggioranza dal comparto automobilistico FCA (Pomigliano, Melfi, Termoli, Cassino, Torino, Pratola Serra). Ma erano presenti anche altre fabbriche come la INNSE di Milano e la GKN Driveline di Firenze. La presidenza era composta da soli operai del comitato operai autorganizzati […]
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L’assemblea del 23 giugno a Pomigliano è stata una prova di come gli operai, tra l’altro di uno dei settori più importanti, quello automobilistico, possano in proprio mettere in campo il tentativo di incominciare una discussione seria sul problema dell’autorganizzazione indipendente degli operai.

L’assemblea è stata partecipata. C’erano circa 150 persone di cui almeno 50 erano operai provenienti in maggioranza dal comparto automobilistico FCA (Pomigliano, Melfi, Termoli, Cassino, Torino, Pratola Serra). Ma erano presenti anche altre fabbriche come la INNSE di Milano e la GKN Driveline di Firenze.

La presidenza era composta da soli operai del comitato operai autorganizzati FCA, promotore dell’assemblea a cui si si è aggiunta, per il peso politico della sua vicenda, la maestra licenziata di Torino.

Hanno parlato prima solo gli operai. Operai appartenenti a sigle diverse del sindacalismo di base e della FIOM, ma uniti dalla comune esigenza di organizzarsi al di là delle differenze per parrocchie sindacali. E il dibattito ha dimostrato che la collocazione e l’appartenenza sindacale non è motivo di divisione tra gli operai se il fine degli operai è quello di arrivare alla costruzione di una possibile organizzazione indipendente degli operai.

 Infatti, molti degli interventi operai si sono misurati sulla questione che, al totale asservimento e alla totale subordinazione degli operai ai padroni ed alle altre classi sociali, l’unica risposta può e deve essere la costruzione di un partito operaio e che il programma di questo partito deve essere l’eliminazione dei padroni.

 Naturalmente ci sono state differenze sul come si intende costruire un’autorganizzazione operaia, differenze che sono di fatto anche un retaggio che gli operai si portano dietro come eredità delle influenze della piccola borghesia su di loro che, per i suoi interessi, ha sempre osteggiato il tentativo degli operai di costituirsi in partito indipendente e che continua nella sua opera di denigrazione su questi tentativi con l’obiettivo di legare gli operai al suo carro, ai suoi interessi. Abbiamo avuto così che accanto agli interventi più netti e precisi che ponevano l’esigenza del partito operaio, qualche altro operaio ha indicato come principale prospettiva di sviluppo del comitato degli autorganizzati quello di dar vita ad un coordinamento operaio, cioè ad un organismo meramente di natura sindacale, concentrato solo sulle lotte economiche. La riproposizione in sostanza del vecchio ed arretrato punto di vista, destinato a produrre solo organismi amorfi destinati ad abortire in breve tempo, lacerati dai contrasti interni fra le varie sigle e siglette sindacali. Qualche altro intervento ha tradotto il richiamo all’esigenza di un’organizzazione politica nella classica ricerca di una sponda politica capace di rafforzare la lotta sindacale, in questo modo ricalcando la vecchia divisione tra gli operai relegati solo nella lotta economica e gli intellettuali della piccola borghesia cui viene delegata la lotta politica. C’è da dire, però, che queste voci, un tempo dominanti in assemblee di questo tipo, sono state invece minoritarie ed anche gli operai che le hanno espresse, lo hanno fatto più perché ancora ancorati al vecchio ed arretrato punto di vista che come contrapposizione ai fautori dell’esigenza del partito. Per tutti era chiaro che le vecchie soluzioni organizzative sono inadeguate all’attuale scontro col capitale.

 Resta il fatto che degli operai combattivi si sono ritrovati a discutere attorno a questo problema. E resta il fatto che solo dopo tutti gli interventi operai è stata concessa la parola ai “gruppetti politici” presenti che con tutta l’insipienza dei loro discorsi hanno riproposto le solite formulette ripetute a memoria che nulla tolgono alla ricchezza concreta dei precedenti interventi operai.

 Quella di Pomigliano è stata una prima assemblea in cui si è parlato chiaramente tra operai della necessità di costruire un partito operaio e ci auguriamo che potrà essere l’inizio di un percorso che ha cominciato a mettere dei paletti chiari e limpidi verso l’autorganizzazione degli operai in partito politico ad opera degli stessi operai.

 Resoconto di C.D., operaio INNSE Milano.

Seguono gli interventi all’assemblea dei licenziati di Pomigliano, nonché tra i promotori dell’assemblea, Mimmo Mignano e Marco Cusano.

Intervento all’assemblea operaia di sabato 23 a Pomigliano di Mimmo Mignano, operaio licenziato FCA.

 

La realtà scorre veloce. La crisi impone ai padroni di farci lavorare di più e in condizioni sempre peggiori. Nessun ostacolo è tollerato all’aumento dei ritmi e all’aumento della produzione. I diritti che sembravano una conquista definitiva, sono spariti. In fabbrica, la paura di perdere il posto di lavoro, il controllo stretto dei capi, i provvedimenti disciplinari, ci costringono ad accettare di tutto. L’aumento dei morti sul lavoro non è frutto di incidenti e di disattenzioni, ma del fatto che accettiamo qualsiasi condizione di lavoro, anche quella più pericolosa per paura dei licenziamenti. Vediamo che tutto in questa società è al servizio del profitto. Ci hanno fatto sempre credere che lo stato e le sue leggi erano istituzioni imparziali, frutto di una scelta democratica dei cittadini. Scopriamo invece che se ci vengono a rubare in casa non si vede un poliziotto, ma se facciamo un presidio ai cancelli dello stabilimento ce ne sono centinaia. Quando il padrone licenzia perdiamo le cause legali per il reintegro, perché le sentenze sono quasi sempre contro di noi, ed è il tribunale principale, quello che dà l’indirizzo agli altri, la corte di cassazione, che sostiene apertamente questa linea.

Scopriamo che i padroni sono organizzati come una classe. Tutti quelli che stanno ai gradini più alti della società e hanno redditi alti hanno la stessa linea di condotta, la pensano tutti allo stesso modo e cioè mettere sotto noi operai. Perché? Perché noi siamo la classe che produce tutto, il motore di tutta la loro cosiddetta economia. Più produciamo, più peggiorano le nostre condizioni di lavoro e di vita, e più i ricchi s’ingrassano.

È per questo motivo che la FIAT ha licenziato noi cinque. È per questo stesso motivo che la Corte di Cassazione le ha dato ragione. Noi rappresentiamo quello che i padroni non vorrebbero mai vedere: l’operaio che si ribella alla sua condizione di schiavitù. Il padrone può sopportare fino ad un certo punto anche la lotta degli operai per il miglioramento delle condizioni di lavoro. Può sopportare di pagarci qualcosa in più, può accettare sotto la pressione della lotta di ridurre i ritmi, ma non può accettare in nessun modo operai che dicono apertamente che bisogna farla finita con questa società dove gli operai soffrono per far fare la bella vita ad un pugno di parassiti che vivono del nostro lavoro.

Cosa abbiamo fatto noi cinque di tanto grave? Abbiamo denunciato con la satira la morte di nostri compagni sfiancati dalla miseria e dalla mancanza di prospettive. L’abbiamo fatto in modo plateale usando la satira, altrimenti nessuno ci avrebbe preso in considerazione. Ma la nostra protesta è stata pacifica e nei termini delle regole della convivenza che loro stessi, i padroni e i loro funzionari della politica e dell’amministrazione dello stato, hanno stabilito. Non a caso non abbiamo avuto nessuna denuncia penale per aver inscenato il suicidio di Marchionne. Abbiamo espresso un’opinione, che nella loro democrazia è un diritto sacro. Non ci hanno perseguito penalmente, ma ci hanno licenziato condannandoci alla miseria con l’appoggio aperto dei massimi organi della magistratura, che hanno stravolto le loro stesse leggi per colpirci.

Ai sinceri democratici che credono nel diritto borghese è sembrata una reazione esagerata e non a caso molti di loro hanno espresso nei nostri confronti piena solidarietà e hanno criticato l’uso distorto, secondo loro, della legge. In realtà hanno visto solo un aspetto della vicenda, ma non quello principale.

La FIAT colpendo noi ha mirato a due obiettivi: eliminare sul nascere una tendenza operaia che usciva dai limiti classici della lotta sindacale, quella della vite in più o della vite in meno, e che si poneva come obiettivo quello di organizzare gli operai su un altro terreno, quello dell’eliminazione dello sfruttamento.

Il secondo obiettivo è stato quello di impaurire gli altri operai. Chi si mette contro il padrone deve essere annientato. Questo è il messaggio che la FIAT ha voluto dare. State attenti, accettiamo anche le vostre assemblee, accettiamo che ci chiedete qualche soldo in più ogni tanto, accettiamo anche che vi lamentate della vostra condizione e volete migliorarla, però non superate il limite, dovete sempre assicurare a noi profitti adeguati e il comando. Ma se mettete in discussione il nostro potere siete finiti.

Il padrone sa che se noi ci organizziamo per lui la bella vita finisce. Per evitare questo usa tutti i mezzi a sua disposizione per tenerci divisi. Ha organizzato la differenza in livelli diversi per lavori che non hanno differenze, ci ha divisi tra quelli che lavorano sempre e quelli che lo fanno a singhiozzo, ha appoggiato la nascita di tante sigle sindacali in concorrenza tra loro e molte le ha ispirate e finanziate direttamente. Oggi utilizza anche le differenze di razza. Tutto serve per tenerci divisi. Il padrone sa che divisi non siamo niente, uniti rappresentiamo una forza temibile.

Un esempio importante di dove possono arrivare gli operai uniti, è l’esperienza sul terreno sindacale degli operai della logistica, a cui siamo legati. Lì l’unità degli operai al di là di tutte le differenze, anche quella più micidiale per gli operai, la differenza di razza, ha creato una comunità forte, determinata. Nella logistica sono state fatte le lotte più significative degli ultimi anni e si sono avuti miglioramenti salariali e di condizioni di lavoro importanti. Perché gli operai della logistica ci sono riusciti? Perché sono uniti. Si sono riconosciuti come appartenenti ad un’unica comunità e si sono organizzati e per questo motivo rappresentano una forza che fa paura al padrone.

Come poteva il padrone FIAT, il più forte in Italia, tollerare noi cinque che abbiamo affermato che il sindacato è solo uno strumento di lotta e che le differenze sindacali sono un’arma in mano al padrone per dividerci? Per superare queste differenze ci siamo messi in contatto con compagni di altre fabbriche e abbiamo cominciato ad unirci su quelli che sono i nostri interessi come operai. È così nata l’esperienza degli autorganizzati.

Ma non ci siamo fermati, abbiamo cominciato a dire che gli operai si devono organizzare come classe non solo sul terreno sindacale ma anche sul terreno politico. Ci siamo detti che nessun partito rappresenta gli operai, e oggi è più che mai vero, e allora gli operai devono darsi un’organizzazione politica. Abbiamo posto come obiettivo principale di questa organizzazione non un miglioramento, una verniciata di facciata del sistema, ma abbiamo posto all’ordine del giorno l’eliminazione del sistema dei padroni, la costruzione di una società dove non esista più la schiavitù degli operai per assicurare la bella vita a qualcuno.

Ci siamo sempre di più convinti che questa era la strada giusta. Abbiamo cominciato a discutere con gli altri operai. Abbiamo cercato di trasmettere loro l’idea che siamo una comunità, una classe che ha gli stessi interessi e lo stesso nemico: il padrone. Siamo stati presenti davanti ai cancelli della fabbrica più spesso che potevamo per parlare e discutere con i nostri compagni, sottolineando i passaggi che il padrone ci faceva fare verso il peggioramento sempre maggiore della nostra vita e delle condizioni di lavoro.

E avevamo ragione perché oggi siamo alla vigilia di una nuova ristrutturazione in FIAT. L’azienda si prepara a buttare fuori altre migliaia di noi per sfruttare ancora di più quelli che rimarranno.

Nel corso degli anni la FIAT ha migliorato sempre di più le sue capacità produttive. Ha reso sempre più scientifico il modo di farci lavorare per i suoi profitti. Ma mentre gli azionisti FIAT e i suoi dirigenti si arricchivano sempre di più, a noi cosa ne è venuto?

Alla fine degli anni Ottanta a Pomigliano eravamo circa quindicimila, oggi siamo meno di un terzo. La produzione che facciamo oggi è tre volte, quattro volte quella che facevamo allora. Siamo più ricchi oggi di allora? No, siamo più poveri. Lavoriamo in condizioni migliori? No. A meno di cinquant’anni già siamo inservibili per la fabbrica, diventiamo esuberi di cui disfarsi. Perché? Perché le condizioni di lavoro complessive sono peggiorate e noi ci consumiamo prima. Quindi mentre i padroni hanno sempre di più ingrossato i loro portafogli, noi siamo andati sempre di più in rovina.

Tra operai parliamoci chiaramente: abbiamo due alternative davanti oggi: o organizzarci sui nostri interessi di classe e farla finita con il sistema dei padroni, oppure andare sempre di più verso la miseria.

I Marchionne con gli operai al potere o vanno a lavorare sulla linea di montaggio o se ne vanno con questo zainetto.

Noi cinque siamo determinati ad andare avanti. Se Marchionne e suoi datori di lavoro volevano zittirci definitivamente, hanno sbagliato i calcoli.

Gli operai che hanno cominciato a muoversi in proprio sui propri interessi di classe, contro la schiavitù che ci impone il sistema dei padroni, sono creature rognose: hanno capito che hanno poco da perdere e tutto da conquistare e non si fermeranno.

Intervento all’assemblea operaia di sabato 23 a Pomigliano di Marco Cusano, operaio licenziato FCA.

Noi vendiamo la nostra capacità di lavorare al padrone e lui la utilizza. Una piccola parte del nostro lavoro serve per coprire quello che il padrone ci paga. La maggior parte se lo mette in tasca lui.

Questo è l’unico motivo per cui ci fa lavorare.

È una compravendita dove noi ci perdiamo sempre.

Singolarmente non abbiamo la possibilità di chiedere un alto prezzo, collettivamente possiamo chiedere di più. Per vendere meglio la nostra capacità lavorativa noi operai ci siamo organizzati e abbiamo inventato il sindacato.

Il padrone ha cercato di trovare le contromisure. Ha comprato i dirigenti sindacali di molti sindacati, o addirittura ha creato lui stesso sindacati che dovrebbero rappresentare noi.

Da anni questo facciamo. Noi cerchiamo di organizzarci per alzare il nostro prezzo e il padrone si organizza per risparmiare.

In certi periodi ci riusciamo in altri no.

Quando il sindacato è veramente operaio riusciamo ad avere un prezzo migliore, quando il sindacato è troppo vicino al padrone la nostra capacità produttiva viene svenduta.

Se siamo organizzati solo in un sindacato, anche quello più serio e combattivo, non usciamo dai limiti di questa compravendita.

Noi produciamo 100 e lui ci paga 10 se abbiamo un sindacato operaio, se è un sindacato filo aziendale ci paga 5. Il padrone ci guadagna sempre.

Oggi la nostra condizione peggiora sempre di più. Il padrone paga sempre di meno per utilizzare il nostro lavoro e spesso ci licenzia perché non può proprio utilizzarlo. Siamo sempre sbattuti tra la ristrettezza dei salari e l’aperta miseria della disoccupazione. Questa è la nostra vita. Con la crisi economica anche se ci vendiamo al prezzo più basso il padrone ci dice sempre più spesso non mi servi.

È arrivato il momento di ragionare in modo diverso. Il solo sindacato, anche quello migliore non ci basta.

Il terreno non può più essere quello di venderci ad un prezzo migliore, ma eliminare questa compravendita.

Dobbiamo organizzarci per eliminare questa compravendita.

Dove sta scritto che una minoranza di parassiti deve fare la bella vita sul nostro lavoro?

Noi produciamo tutto e stiamo all’ultimo livello della scala sociale.

È ora di dire basta, ma per eliminare questo mercato bisogna organizzarsi e non basta più il sindacato che per definizione è la nostra organizzazione per venderci al prezzo migliore. Ci serve anche un partito per la lotta generale contro il sistema dei padroni per eliminarlo definitivamente.

Prendiamo esempio dalla piccola borghesia, in poco tempo ha organizzato un partito suo, il movimento 5 stelle e per ora è al governo. Prima o poi la classe dei piccoli borghesi se la farà sotto di fronte ai grandi capitalisti, già lo stanno facendo, ma per ora hanno vinto.

Perché noi operai, che siamo una moltitudine, temprati dal lavoro manuale, e che abbiamo poco da perdere, non possiamo fare la stessa cosa?

per chi vuole stamparsi il materiale diamo la pubblicazione in pdf

                ASSEMBLEA OPERAIA

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