Afghanistan, la guerra dimenticata

Gli attacchi terroristici in Europa, l’allarme terrorismo in Italia e la guerra siriana ci hanno fatto dimenticare che il conflitto in Medio Oriente e lo scontro di civiltà teorizzato da Huntington sono fenomeni con un’origine ben più distante nel tempo. In Italia ed in Europa non si parla più dell’Afghanistan, un Paese lontano, aspro e complicato, dove le nostre forze militari sono impegnate da quasi vent’anni. Ognuno di noi, pensando a questo Paese, giunge ad un lontano ricordo della tragedia del World Trade Center e ai successivi bombardamenti, tuttavia nell’immaginario collettivo del Medio Oriente è molto più radicato l’Iraq […]
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Gli attacchi terroristici in Europa, l’allarme terrorismo in Italia e la guerra siriana ci hanno fatto dimenticare che il conflitto in Medio Oriente e lo scontro di civiltà teorizzato da Huntington sono fenomeni con un’origine ben più distante nel tempo.

In Italia ed in Europa non si parla più dell’Afghanistan, un Paese lontano, aspro e complicato, dove le nostre forze militari sono impegnate da quasi vent’anni. Ognuno di noi, pensando a questo Paese, giunge ad un lontano ricordo della tragedia del World Trade Center e ai successivi bombardamenti, tuttavia nell’immaginario collettivo del Medio Oriente è molto più radicato l’Iraq di Saddam, forse a causa di una maggiore copertura mediatica. Ogni volta che il Parlamento approva il bilancio per le operazioni militari all’estero, la presenza di personale italiano in questo Paese viene messa in sordina. Nessuno pensa ad una seria analisi sui nostri impegni e al valore politico che scaturisce dalla nostra presenza in determinate zone. Allo stesso tempo si riconferma la missione solo per rispettare gli obblighi internazionali ma senza una seria riflessione sulla sua validità.

Al di fuori delle varie interpretazioni della nostra Costituzione sul significato dell’Art. 11, il nostro intervento militare è fortunatamente legato quasi esclusivamente alle attività di ricostruzione e “state building” in questo momento. A questo punto la missione dovrà necessariamente cambiare il suo approccio oppure essere ritirata.

Quando nel 2010/2011 le forze NATO in Afghanistan raggiunsero le quasi 140.000(dati ISAF) unità si decise che la guerra era stata vinta e che fosse necessario un cambiamento. Cominciò così una progressiva smobilitazione. Ad oggi quella strategia volta a rafforzare le forze locali non ha funzionato. Gli osservatori internazionali affermano quasi univocamente che il progetto ALP (Afghan Local Police) è stato un fallimento, portando nuovamente ad una divisione quasi feudale del territorio, in cui ogni tribù e consiglio di anziani ha una propria milizia.

Le aree controllate o sotto l’influenza dei talebani sono più che raddoppiate nell’ultimo anno ed abbiamo assistito a numerosi attacchi nel cuore pulsante della capitale Afghana, come non succedeva da diverso tempo. A farne le spese non sono stati solo i civili afghani ma anche operatori umanitari di organizzazioni riconosciute come MSF e giornalisti.

Ad oggi il rischio di un riacutizzarsi del conflitto Afghano è altissimo, soprattutto grazie all’arrivo di forze fresche ex ISIS in ritirata dalla Siria. Le forze afghane non saranno in grado di assorbire il colpo, così come non sono state in grado quelle irachene.

È un vero dramma pensare di aver speso 20 anni in Afghanistan, (visto che Resolute Support dovrebbe dichiararsi conclusa nel 2020), con la consapevolezza che non abbiamo apportato nessun reale cambiamento, e soprattutto che nonostante i nostri sforzi, nel momento in cui le forze internazionali si ritireranno, questo stato potrebbe facilmente ricadere nel baratro.

 

– CHI E’ L’AUTORE –

*Alessandro Castioni, Classe 1992, laureato nel 2016 in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Trieste. Nel 2014 sono volato in Spagna per il progetto Erasmus studio e l’anno dopo vi sono tornato per uno stage. Dopo la laurea sono riuscito a rimanere in Italia senza tralasciare l’ambito internazionale, dal 2017 lavoro a Padova nei “Trials” farmaceutici come Clinical Research Coordinator per il Massachusetts General Hospital.

 

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