Marx: Lincoln e la lotta del Capitale contro il Lavoro

Per il dibattio Ripercorrendo le prese di posizione di Marx dirigente politico confrontato ai grandi eventi del proprio tempo – come già visto in un nostro precedente articolo sui giudizi di Marx rispetto alla Comune e al ruolo del partito rivoluzionario nell’Inghilterra vittoriana, ove giungevamo a risultati “soprendenti” rispetto alla lettura stereotipata del marxismo occidentale contemporaneo – vorremmo porre qui l’attenzione alla guerra di secessione statunitense, e all’importanza che Marx accordava ad essa. Ner farlo, ci riferiremo alla celebre lettera indirizzata ad Abramo Lincoln in cui Marx a nome dell’Internazionale si schiera senza indugi dalla parte dei nordisti, vedendo […]
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Per il dibattio

Ripercorrendo le prese di posizione di Marx dirigente politico confrontato ai grandi eventi del proprio tempo – come già visto in un nostro precedente articolo sui giudizi di Marx rispetto alla Comune e al ruolo del partito rivoluzionario nell’Inghilterra vittoriana, ove giungevamo a risultati “soprendenti” rispetto alla lettura stereotipata del marxismo occidentale contemporaneo – vorremmo porre qui l’attenzione alla guerra di secessione statunitense, e all’importanza che Marx accordava ad essa.

Ner farlo, ci riferiremo alla celebre lettera indirizzata ad Abramo Lincoln in cui Marx a nome dell’Internazionale si schiera senza indugi dalla parte dei nordisti, vedendo nella guerra l’evento più importante del secolo in termini di lotta per l’emancipazione.

Ci sembra importante sottolinearlo visto il disinteresse, la minimizzazione e la profonda incompresione da parte dei comunisti occidentali di questa vicenda.

“Signore:

ci congratuliamo con il popolo americano per avervi rieletto con così larga maggioranza. Se la “Resistenza al Potere Schiavista” è stata la parola d’ordine della vostra prima elezione, il grido di guerra trionfale della vostra rielezione sia “Morte alla Schiavitù”.

Fin dall’inizio della lotta titanica americana, i lavoratori di Europa hanno sentito istintivamente che la bandiera a stelle e strisce portava con sé il destino della loro classe.

[…]

Quando una oligarchia di 300.000 schiavisti ha osato iscrivere, per la prima volta negli annali del mondo, “Schiavitù” sulla bandiera della rivolta armata; quando […] asseriva essere la schiavitù “una istituzione benefica”, anzi, rappresentare l’antica soluzione del grande problema “del rapporto del capitale verso il lavoro”, e cinicamente proclamava il possesso di uomini “la pietra angolare del nuovo edificio”, allora la classe operaia di Europa, ben prima che la partigianeria fanatica delle classi superiori favorevoli ai possidenti della Confederazione avesse lanciato il suo tetro grido di allarme, ha compreso immediatamente che la ribellione degli schiavisti risuonava come la campana a martello per una santa crociata generale della proprietà contro il lavoro, e che per i lavoratori, con le loro speranze per il futuro, anche le loro conquiste del passato venivano poste in gioco in questo tremendo conflitto dall’altra parte dell’Atlantico.

[…]

I lavoratori di Europa sono certi che, come la Guerra d’Indipendenza americana ha avviato una nuova era di ascesa per la classe media, così la Guerra Antischiavista americana farà questo per le classi lavoratrici. Essi considerano questo conflitto un anticipo dell’epoca a venire, e Abraham Lincoln, questo onesto e risoluto figlio della classe operaia, è destinato a condurre il suo paese attraverso una lotta senza pari per la liberazione di una razza incatenata e per la ricostruzione di un mondo sociale.”

Tre sono i punti di vista prevalenti rispetto a questo documento politico: 1) quello economicista: Marx avrebbe preso una cantonata, perché era solo la lotta di una nuova borghesia contro la vecchia a cui non interessava niente dell’emancipazione dei neri; 2) la critica reazionaria, cioè razzista, dei nuovi borghesi volevano solo imporre il capitalismo e la modernità contro i buoni vecchi valori della tradizione; 3) la critica purista di ultra-sinistra: uno scontro tra eserciti regolari, tra “poteri”, non può essere qualificato come lotta di classe.

L’affermazione più impegnativa, in quanto generalmente incompresa (ma non dai comunisti e rivoluzionari dell’Oriente e del Sud del mondo che hanno ben chiara la relazione tra questione nazionale, gerarchizzazione razzista e lotta sociale, data dalla loro prassi rivoluzionaria vittoriosa, cosa che manca totalmente ai comunisti occidentali) è la seguente:

“la ribellione degli schiavisti risuonava come la campana a martello per una santa crociata generale della Proprietà contro il Lavoro

Marx vede nella guerra di Secessione una crociata del Capitale contro il Lavoro, una gigantesca lotta di classe, rivoluzionaria, dal cui esito dipendevano anche le sorti del proletariato europeo. Ma in che modo una borghesia poteva rappresentare la lotta di classe emancipatrice? Cosa c’entra il lavoro con una sostituzione di apparato economico (secondo la visione economista più in voga tra i marxisti occidentali)? Passi che Marx si schieri contro lo schiavismo, ma perché spingere fino a tal punto da vederne una lotta proletaria? Per non parlare degli odierni equidistanti a ogni costo che non si schierano mai a meno che la lotta non sia pura e non presenti tutti i crismi della purezza ribelle dello scontro sociale binario proletari/borghesia.

Ebbene, Marx non mai stato un economista, né un purista. Egli era un dirigente rivoluzionario che dalle contraddizioni del movimento reale tendeva a estrarre la portata storica emancipatrice delle lotte. Ora, l’universale lotta di liberazione umana dalle catene dello sfruttamento, nella fase storica dominata dal modo di produzione capitalistico è incarnata dal socialismo e non può non prendere la forma dell’emancipazione del Lavoro contro il Capitale. E siccome la fase storica determina il giudizio politico concreto sulla base del grado di sviluppo delle forze produttive in azione, in America la situazione concreta vedeva una ribellione del capitale che si nutriva della forma di lavoro schiavistica contro le forze sociali che, all’interno di un processo oggettivo di espansione della borghesia industriale (prendente impulso da una più moderna configurazione produttiva), operavano a sconfiggere tale sistema. A ciò sarebbe conseguito, logicamente, l’affermazione nei fatti non più revocabile della ragione della paradigma formalmente egualitario al di là della disumanizzazione schiavistica.

In altri termini, si delineava per la prima volta la possibilità storica, grazie alla possibile e auspicata vittoria del Nord, quale che siano le ragioni e i moventi dei loro interpreti, indipendentemente dalla prevalenza di un’opione su un’altra (interesse economico, egualitarismo cristiano, ideali socialisti), di estinguere i rapporti schiavistici inumani in modo che fosse impossibile estenderli al resto della forza lavoro, e imporre dei rapporti salariati più avanzati in quanto portatori di paradigmi di formale uguaglianza. Senza contare che la guerra portava gli ex-schiavi ad arruolarsi nelle schiere nordiste per combattere la secessione, generando nel proletariato nero le prime forme di coscienza sociale, sulla base della negazione della schiavitù come modo sociale di produzione. Una vittoria della ribellione sudista, avrebbe invece rimesso indietro le lancette della storia.

Insomma, l’essenza della ribellione del capitale schiavistico non era tanto la giustificazione del razzismo, quanto la perpetuazione dei rapporti di lavoro schiavistici, contro il lavoro “libero”, da estendere, se la ribellione avesse trionfato, alle classi subalterne. Non potremmo dirlo meglio di Losurdo nel suo recente libro La lotta di classe, Una storia politica e filosofica:

“la guerra di secessione era agli occhi di Marx un capitolo fra i più importanti della lotta di classe del suo tempo. La pretesa dei proprietari di schiavi di affermare o di ribadire l’indentità di lavoro e schiavitù, la “crociata generalizzata della proprietà contro il lavoro” subiva una sconfitta, il cui significato travalicava i confini degli USA e della stessa “razza” nera.

Disgraziatamente, la sconfitta della controrivolizione schiavista era solo parziale e non tardavano i tentativi di riscossa all’insegna della white supremacy; ma ciò per Marx costituiva la riprova che la gigantesca lotta di classe divampata tra il 1861 e il 1865 era ben lungi dall’essersi conclusa.”

Per tutte queste ragioni, Lincoln non fu punto di riferimento per i comunisti statunitensi, come si vede nella foto che ritrae la sua gigantografia tra i ritratti di Lenin e Stalin. Egli incarnava la lotta dell’umanità che si liberava delle catene più odiose dello schiavismo e della barbarie arcaica, uno dei grandi momenti progressivi della storia nazionale statunitense. “L’Internazionale sarà il genere umano”, declama l’Internazionale, la canzone dei lavoratori, che identificano nella loro emancipazione la liberazione non di una classe, ma della società intera. Ciò non prevede la schiavitù, in nessuna forma, tantomeno e soprattutto nella sua forma pura di possesso dell’uomo sull’uomo, tantopiù articolata su linee razziali. Il socialismo è l’umanità, la sua portata universalistica travalica le fratture di classe, ma si svolge sempre in conflitti specifici sempre determinati, che hanno come carattere universale, attraverso le fasi storiche, il riconoscimento e l’estensione della dignità umana al di là delle ristrette cerchie di privilegiati e dominanti.


https://www.marxists.org/archive/marx/iwma/documents/1864/lincoln-letter.htm

Albero Ferretti https://lottobre.wordpress.com/2017/10/13/marx-lincoln-e-la-lotta-del-capitale-contro-il-lavoro/

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