UNA LOTTA OPERAIA ALLA GEFCO E … LE CARTUCCE DEL PADRONE

  Premesse oggettive   La GEFCO nasce in Francia per gestire la logistica della PSA (nata dalla fusione della Citroen con la Peugeot), come in altri casi simili (ad esempio la Number One rispetto alla Barilla) sviluppato una sua indipendenza economico-finanziaria e, conseguentemente, ad acquisire una relativa indipendenza sul mercato internazionale, acquisendo clienti come la Renault e la Nissan. Il suo ruolo fondamentale è quello di garantire il rifornimento di pezzi di ricambio a tutte le concessionarie in Europa. Ma anche quello di rifornire gli stabilimenti produttivi francesi di componenti (ad esempio le batterie prodotte in Veneto) indispensabili per […]
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Premesse oggettive

 

La GEFCO nasce in Francia per gestire la logistica della PSA (nata dalla fusione della Citroen con la Peugeot), come in altri casi simili (ad esempio la Number One rispetto alla Barilla) sviluppato una sua indipendenza economico-finanziaria e, conseguentemente, ad acquisire una relativa indipendenza sul mercato internazionale, acquisendo clienti come la Renault e la Nissan.

Il suo ruolo fondamentale è quello di garantire il rifornimento di pezzi di ricambio a tutte le concessionarie in Europa. Ma anche quello di rifornire gli stabilimenti produttivi francesi di componenti (ad esempio le batterie prodotte in Veneto) indispensabili per il completamento della catena produttiva stessa.

 

A Pregnana Milanese, dal 1992, ha come sede centrale, principale hub di Gefco Italia, esattamente l’impianto di Pregnanza Milanese, teatro della lotta tuttora in corso.

E’ impressionante pensare che, in un nodo di simile importanza, nevralgico cioè per la realizzazione concreta di centinaia di milioni di euro all’anno, siano solo 27 gli operai protagonisti di questa battaglia. Ma così è.

 

La premessa ha radici comuni ha molti altri siti della logistica nazionale, dove il movimento operaio sorto sotto le bandiere sindacali dei Cobas, ha strappato, con la lotta, importanti conquiste salariali e radicato nuove forme di solidarietà e di lotta di classe, rispolverando semplicemente l’armamentario storico di tutte le lotte operaie dalXIX secolo ad oggi: lo sciopero, il picchetto e l’unità di classe, liberando finalmente quest’ultima, dal fardello ideologico praticato e teorizzato dalla sinistra riformista e dagli apparati deii sindacati istituzionali e concertativi, che l’hanno costantemente piegata agli obiettivi padronali di pace sociale in cambio di….sconfitte e costanti arretramenti politico-sindacali imposti, e fatti ingoiare, all’intero movimento operaio.

 

Obiettivi raggiunti anche alla GEFCO di Pregnanza M.se che, per mantenere il livello dei propri  profitti, messi in crisi dalle conquiste operaie, decide prima di ingaggiare una cooperativa che tenta di introdurre manodopera a basso costo e precaria, poi, di fronte alla reazione del Cobas di fabbrica che decreta lo sciopero rivendicando parità di trattamento, opera un cambio appalto con cui elimina l’azienda fornitrice del servizio (cooperativa ESJR, operante attraverso il consorzio A&M) la sostituisce con una consociata dello stesso consorzio A&M per “giustificare” il licenziamento di tutta la vecchia forza lavoro e l’introduzione in magazzino di nuova carne da macello, completamente precaria e con salari ridotti del 30%.

 

Due mesi di battaglia e lo scontro del 7 luglio

 

Per tutto il mese di maggio si sviluppano così, inevitabilmente picchetti a intermittenza (e a sorpresa) davanti allo stabilimento di Pregnana, con danni economici e commerciali non indifferenti mentre, parallelamente, si vanno sviluppando inutili trattative che sfociano, sistematicamente,  nel rifiuto degli operai di accettare buonuscite (20,000€ a testa la proposta) o fumose proposte di trasferimenti in altri siti produttivi in cui opera il consorzio A&M (purchè lontani dalla Gefco ovviamente).

 

La battaglia si estende progressivamente alla partecipazione di altri Cobas di fabbrica, per giungere allo sciopero nazionale del 16 giugno, dove oltre 150 operai solidali affluiscono e, per oltre 13 ore tengono bloccate tanto le forze crumire, quanto gli arrivi e le partenze delle merci.

Il braccio di ferro assume progressivamente il carattere di uno scontro su obiettivi inconciliabili tra loro e senza alcuna possibilità di mediazione sindacale. La maggioranza degli operai è andata oltre  il limite della trattativa economica e, su quel terreno, punta esclusivamente a danneggiare i profitti e piegare così la resistenza aziendale; i padroni, dal canto loro, non possono più permettersi di arretrare dalla loro linea, cedendo le redini al sindacato in lotta e sono quindi costretti a invocare il l’intervento delle forze dell’ordine contro i blocchi illegali.

In altri termini lo scontro è transitato sul livello politico, con ricadute fondamentalmente militari, terreno su cui oggi si misurano le forze in campo, nonché la loro strategia generale e le tattiche quotidiane.

 

Queste le premesse concrete, oggettive e soggettive, con cui si arriva all’appuntamento del 7 luglio, accuratamente approntato in sede sindacale con il coinvolgimento a scacchiera, e arrivi a orari differenziati di militanti operai dal resto della regione.

Il picchetto inizia alle 16,30 e si conclude alle 23, dopo aver respinto politicamente tutti i tentativi messi in campo dal padrone, dalle provocazioni dei crumiri chiamati a raccolta dal consorzio, alle minacce della celere, passando per la riesumazione di burocrati sindacali della CISL (che non ha iscritti sul sito) che facevano appello ….alla saggezza, al senso di responsabilità e a evitare lo sconto tra poveri.

Le hanno provate praticamente tutte, fino a quando, esaurite le munizioni, incapaci di trovare soluzione al danno….hanno cominciato a manifestare tutte le debolezze del proprio fronte, finendo per litigare fra loro rispetto alle responsabilità dell’insuccesso, mentre i Cobas improvvisano canti e scene teatrali davanti ai cancelli..

L’epilogo ha quasi del sarcastico, allorquando l’assemblea del picchetto decide, improvvisamente, di fronte agli avversari sbigottiti, di abbandonare il campo, riconvocandosi per…..non si sa!

 

 

Le prospettive immediate dentro uno scacchiere strategico

 

Certo viene spontaneo chiedersi: ma perché gli operai hanno deciso di abbandonare il terreno di battaglia proprio quando il nemico sembrava davvero aver sparato inutilmente tutte le sue cartucce?

Ovviamente solo l’esito finale di questa battaglia getterà luce definitiva sulla validità di questa scelta tattica certamente discutibile ma certamente non casuale.

Questi in ogni caso, sinteticamente, i punti di ragionamento che hanno spinto gli operai a prendere questa decisione

  1. Era evidente, e lo si sapeva anche prima, che non c’era alcuna possibilità di chiudere la partita del ritiro dei licenziamenti durante il picchetto.
  2. Stando alla prassi consolidata nell’esperienza di questi anni, in situazioni come questa le varianti più utilizzate sono state le seguenti
    1. La convocazione di un tavolo di trattativa/mediazione (ma tutta la vertenza Gefco ha dimostrato che questi tavoli sono risultati, come quasi sempre d’altronde, totalmente inutili alla causa operaia, e hanno finito per essere un puntello con cui i padroni fronteggiano i blocchi, prendendo respiro e fiaccando la resistenza operaia

 

    1. Prolungare la lotta a oltranza (potendo far leva, come in questo caso, su rapporti di forza numerici e politici favorevoli) col rischio di finire su una strada senza ritorno, o meglio di andare…all’ultima spiaggia, e con buone probabilità che questi rapporti di forza, nelle ore successive, sarebbero potuti cambiare in senso opposto, costringendo comunque gli operai ad abbandonare il terreno di battaglia

Ecco quindi che si è fatta strada la terza ipotesi: ritirarsi da vincenti e preparare l’attacco successivo, nella prospettiva di rafforzare la capacità di difesa e di attacco dell’organizzazione operaia; nella prospettiva di superare, nella lotta, il semplice terreno rivendicativo o, più precisamente, di collocare il livello rivendicativo (in questo caso politico) all’interno di un quadro strategico chiaro e di prospettiva, basato sulla profonda consapevolezza che ci si sta progressivamente calando al cuore delle contraddizioni fra capitale e lavoro, fra padroni e operai, fra potere borghese e proletario.

Una battaglia di lunga durata, che non può certo trovare soluzione definitiva attraverso gli accordi sindacali (siano essi più o meno vantaggiosi) che, al contrario, possono favorire (oppure no! Dipende dal loro contenuto concreto) l’avanzata di questa prospettiva solo nella misura in cui il loro raggiungimento implica l’estensione dell’unità dal basso necessaria e, insieme ad essa, la capacità collettiva di misurarsi concretamente sulle opzioni tattiche e di movimento reale da utilizzare.

 

Per questo siamo convinti che ieri alla Gefco gli operai abbiano conseguito una chiara e netta vittoria dando un segnale chiaro e forte a tutti, amici e nemici: Siamo noi a decidere quando agire in questa guerra anti-operaia menata dal padrone e a cui gli operai, finalmente, cominciano a rispondere con lo slogan “Guerra alla guerra” che ancor prima degli slogan urlati davanti ai cancelli, trovava riscontro negli occhi penetranti dei suoi protagonisti che non hanno mai dato segno di voler arretrare di un millimetro.

 

A dare ragione alla mossa finale ci ha infine pensato l’avversario. E giusto per alleggerire il senso della cronaca, crediamo valga la pena raccontare gli episodi salienti

 

  • La Digos ci avvicina e ci chiede “Perché ve ne andate?” Risposta: “Sennò non possiamo tornare!”
  • Le forze avverse cominciano a litigare e a dividersi su motivazioni che possiamo solo intuire, della serie
    1. La Cooperativa incolpa gli sbirri per non essere intervenuti a difesa della loro libertà imprenditoriale
    2. Gli sbirri accusano la Gefco di non aver rispettato le procedure previste dalla legge nel cambio appalto e di averli messi in condizione di dover picchiare degli operai (col rischio di non farcela visto che si era in un rapporto di 4 a 1 per noi) per difendere l’indifendibile
    3. La Gefco accusa la cooperativa di non garantirgli il servizio di fronte a tutto sto casino
    4. I carabinieri, cercando opportunisticamente di sfruttare l’impasse di tutti gli altri, tentano meschinamente di chiedere i documenti degli scioperanti ricevendo in cambio…bollette scadute e ancora da pagare
    5. I crumiri, infine, esasperati da 7 ore di attesa, e dovendo entrare in fabbrica a mezzanotte per un turno previsto minimo di 12 ore (visto il macello combinato) dal picchetto tentano di bloccare le auto degli scioperanti producendo due effetti interessanti: la celere mette i caschi che non aveva indossato contro di noi e li usa contro i crumiri fascistoidi mentre la Digos allunga le mani sul dirigente della cooperativa.

 

 

Insomma non suoni come un’affermazione cinica o demagogica se diciamo che….abbiamo ancora sete di altre vittorie sul campo. Proprio come quella di stanotte.

 

 

Fabio Zerbini

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