Ecco come il prezzo del petrolio sta facendo ballare Borse, valute e bond

Redazione di Operai Contro,  “La potenza del capitale è tutto, la borsa è tutto, mentre il parlamento, le elezioni, sono un giuoco di marionette, di pupazzi…” Lezione tenuta l’11 luglio 1919 all’università di Sverdlovda Vladimir Lenin Questo articolo del Sole 24ore ne è la dimostrazione il petrolio è la materia prima che fa girare il mondo. Ma il petrolio è anche la classe di investimento che da un po’ di tempo a questa parte sta facendo girare nel bene o nel male i mercati finanziari. Azioni, obbligazioni e valute sono influenzate in modo netto dal prezzo del greggio. Ecco […]
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Redazione di Operai Contro,

 “La potenza del capitale è tutto, la borsa è tutto, mentre il parlamento, le elezioni, sono un giuoco di marionette, di pupazzi…”
Lezione tenuta l’11 luglio 1919 all’università di Sverdlovda Vladimir Lenin

Questo articolo del Sole 24ore ne è la dimostrazione

il petrolio è la materia prima che fa girare il mondo. Ma il petrolio è anche la classe di investimento che da un po’ di tempo a questa parte sta facendo girare nel bene o nel male i mercati finanziari. Azioni, obbligazioni e valute sono influenzate in modo netto dal prezzo del greggio.

Ecco perché molti operatori – pur non investendo direttamente nei contratti future del petrolio – osservano l’andamento del Brent (la qualità del Mare del Nord) e del Wti (il greggio scambiato a New York) come prima cosa al mattino.

In un’ipotetica piramide finanziaria il petrolio si trova infatti alla base. Uno scossone dalle fondamenta rischia di far ballare tutto ciò che sta sopra. Il petrolio infatti è in grado di esercitare una correlazione diretta sull’andamento dell’inflazione e, soprattutto, sulle aspettative future di inflazione. Se il prezzo del barile scende gli investitori si aspettano che nei mesi a venire l’inflazione diminuirà. Di conseguenza sono costretti a rivedere anche le loro posizioni sulle obbligazioni, nel cui rendimento (oltre al rischio emittente) c’è anche la fetta legata all’inflazione implicita assunta.

In un contesto in cui i prezzi dei bond diventano più attraenti (perché i rendimenti che si muovono in direzione opposta calano) c’è il rischio che le Borse – solitamente in correlazione inversa rispetto alle obbligazioni anche se negli ultimi anni non è stato sempre così per via dell’ingente liquidità immessa dalle banche centrali che ha gonfiato anche i valori delle azioni pur in presenza di un mercato bond rialzista – perdano appeal. Senza dimenticare l’effetto traumatico sulle quotazioni delle azioni delle società energetiche i cui profitti sono correlati al prezzo del barile. Lo stesso dicasi per le valute di quei Paesi fortemente dipendenti dalle esportazioni di greggio.

Questa è la teoria. Vediamo se anche in pratica nelle ultime settimane è stato così. Quanto accaduto da maggio in poi è un buon modo per testare la “teoria del petrolio alla base della piramide degli eventi finanziari”. Perché il prezzo del greggio ha perso oltre il 20% in cinque settimane, tornando sui livelli di sette mesi fa (novembre 2016).

Quale impatto ha avuto sulle aspettative di inflazione la recente caduta del prezzo del petrolio (tra l’altro bisogna ricordare che quando una classe di investimento cede oltre il 20% rischia di entrare tecnicamente in un più profondo trend ribassista) ?

Le aspettative di inflazione nel medio termine (in questi casi gli analisti esaminano l’andamento a 5 anni e per i prossimi 5) sono nettamente calate negli Stati Uniti. Passando dal 2,3% al 2,15%.

A tal punto che a questo punto i prossimi rialzi dei tassi della Federal Reserve – ne ha annunciato un altro entro fine anno e altri tre nel 2018 – potrebbero risultare complicati da digerire e compromettere la crescita economica negli Usa. Non sarebbe il primo caso, del resto, che l’andamento del prezzo del petrolio – per quanto le banche centrali per orientare la propria politica monetaria osservino più l’inflazione core, cioè depurata per i prezzi dei beni energetici e degli alimentari non lavorati – impatti indirettamente sulle decisioni delle banche centrali.

Dinamica simile anche nell’Eurozona dove le attese di inflazione a medio termine sono diminuite anche di 15 punti base, dall’1,65% all’1,5%. Nel più breve periodo Bofa Merrill Lynch ha tagliato poche ore fa le previsioni di inflazione nel 2017 all’1,5% e nel 2018 all’1% (rispetto al precedente 1,5%).

ASPETTATIVE DI INFLAZIONE A 5 ANNI NEGLI USA
Indice 5y5y Usa

In economia e finanza tutto è collegato e nulla accade per caso. Il calo delle aspettative di inflazione ha impattato anche sui rendimenti dei titoli obbligazionari. Il rendimento dei Treasury a 10 anni negli ultimi due mesi ha perso oltre 20 punti base, scivolando al 2,15%. Il calo dei rendimenti è stato generalizzato, ha coinvolto anche l’Eurozona, Italia compresa dove i BTp a 10 anni – che nel corso dell’anno hanno superato il 2,4% – sono tornati abbondantemente sotto la soglia del 2%.

IL CALO DEI RENDIMENTI OBBLIGAZIONARI

Nella piramide finanziaria innescata dai movimenti del petrolio ci sono anche le azioni. Qui ovviamente il discorso è più complicato: dipende innanzitutto da quanto pesa sul calcolo degli indici la componente dei titoli energetici. E poi da altri fattori esogeni. L’abbondante liquidità in circolazione messa a disposizione negli ultimi anni dalle banche centrali ha infatti falsato la storica correlazione inversa tra bond e azioni. É da diverso tempo infatti che sia i bond (35 anni) che anche le Borse (8 anni) sono in un trend rialzista.

Tuttavia la batosta che ha preso il greggio nell’ultimo mese e mezzo si è fatta comunque sentire. Il FTSE MIB di Piazza Affari, dove l’impatto dei titoli energetici pesa per oltre il 20% nel calcolo dell’indice, ha ceduto il 4% dal picco annuo a 21.787 punto toccato il 16 maggio. In linea generale le major petrolifere globali hanno perso in Borsa 100 miliardi di dollari negli ultimi sei mesi, proprio in correlazione con l’andamento tribolato della quotazione del barile.

Non resta a questo punto che osservare l’impatto del petrolio sulle valute. In questo caso il faro degli analisti parte dalle divise di Paesi la cui economia è fortemente agganciata all’andamento delle materie prime: tra queste il dollaro canadese (che da maggio ha perso il 3,5% sul dollaro Usa) e la corona norvegese, nel frattempo deprezzatesi del 2,5%. Come volevasi dimostrare.

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