Nell’industria a quarantacinque anni siamo già vecchi

Redazione di Operai Contro, la crisi economica si manifesta con una crescente difficoltà di vendere i prodotti. Ogni singolo capitalista per cercare di risollevarsi tende a ridurre i costi di produzione delle proprie merci per aumentare la parte che intasca come utile. Il primo costo che aggredisce è quello del lavoro. In due modi: da una parte cerca di ridurre i salari, dall’altro invece aumenta la produttività del lavoro facendo produrre più merci nello stesso tempo di lavoro di prima. Alla FIAT di Pomigliano, con il lancio della Panda, la produzione rispetto a prima è praticamente raddoppiata e gli […]
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Redazione di Operai Contro,

la crisi economica si manifesta con una crescente difficoltà di vendere i prodotti. Ogni singolo capitalista per cercare di risollevarsi tende a ridurre i costi di produzione delle proprie merci per aumentare la parte che intasca come utile. Il primo costo che aggredisce è quello del lavoro. In due modi: da una parte cerca di ridurre i salari, dall’altro invece aumenta la produttività del lavoro facendo produrre più merci nello stesso tempo di lavoro di prima.

Alla FIAT di Pomigliano, con il lancio della Panda, la produzione rispetto a prima è praticamente raddoppiata e gli operai sono diventati meno della metà.

Per arrivare a questo risultato l’innovazione tecnica degli impianti e dell’organizzazione del lavoro è fondamentale.

In questo modo si è avuta la possibilità di produrre nello stesso tempo più auto, “migliorando” il modo di produrre.

Per fare un esempio mettiamo che prima un operaio per fare una determinata operazione sulla sua postazione, ci mettesse un minuto. Doveva prendere ad una certa distanza il “pezzo”, fare certi movimenti  per montarlo, come abbassarsi e assumere una determinata posizione, e poi attuare il montaggio.

Con il “miglioramento” della postazione (ergonomia), la distanza e la posizione del pezzo cambiano. Il rifornimento per l’operaio è semplificato, il pezzo da montare gli viene posizionato direttamente davanti e ad una altezza meno scomoda per montarlo. Al posto di un minuto, ora ci mette trentatre secondi e alcuni movimenti prima dannosi per il suo corpo vengono eliminati. Sembrerebbe positivo e lo sarebbe, ma, siccome il suo lavoro è diventato meno scomodo, vengono ridotte le pause per riposarsi che prima godeva, vengono aumentati i ritmi al punto che la produzione individuale aumenta complessivamente di quattro volte.

Per arrivare a produrre il doppio con la metà degli operai, questo è successo sulle linee della Panda.

Per l’operaio questo non ha portato miglioramenti, ma peggioramenti della sua condizione di lavoro. L’eliminazione di alcuni movimenti dannosi è stata soppiantata da un ritmo più veloce della lavorazione con il taglio dei tempi “morti”. Il consumo della sua forza lavoro è diventato più intenso e le sue capacità lavorative tendono ad esaurirsi prima.

Questo processo è costante nella società capitalistica, ma con le crisi la tendenza aumenta in modo incredibile.

Questo “nuovo ed ergonomico” modo di lavorare ha determinato nella popolazione operaia un aumento del numero di individui che pur essendo ancora, per età, relativamente giovani e potenzialmente produttivi, non riescono più a tenere i ritmi delle produzioni, per non parlare qui della crescita esponenziale delle patologie legate all’usura psicofisica per lavoro.

Questo fenomeno sta assumendo negli ultimi tempi una dimensione eccezionale nei comparti industriali più avanzati, come il settore automobilistico, ed ha una valenza generale a livello mondiale.

Bisogna sottolineare che questa “intensificazione” avviene nei settori dove si producono merci. Non avviene, o avviene molto meno, nel settore dei servizi e della distribuzione.

La conseguenza che ne deriva è che sempre più spesso nelle fabbriche molti operai sono in “esubero” non solo perché la produzione che il mercato può smaltire, viene attuata con un numero minore di addetti, ma anche perché molti di questi addetti non sono più utilizzabili a questo livello di produttività.

Sempre per la crisi economica, persone emerite come la Fornero, hanno studiato che facendo andare in pensione chi lavora quasi a settant’anni si determina un grosso risparmio per le casse dello stato e questo risparmio può essere utilizzato al servizio delle banche e delle industrie per potenziare le loro capacità competitive rispetto ai concorrenti degli altri paesi.

E così la FIAT, ma potremmo generalizzare a tutta l’industria l’esempio, ha più di mille operai a Pomigliano inutilizzati, e lo stesso succede a Melfi e negli altri stabilimenti i quali, se anche ci fosse un aumento delle richieste del mercato dell’auto e quindi della produzione, non potrebbe  comunque utilizzare per buona parte perché non più abili al lavoro con i ritmi attuali. Tutto questo è dimostrato  dalla situazione dello stabilimento di Cassino dove la FIAT, per la produzione delle Alfa, assume giovani e continua a tenere inutilizzati centinaia di operai a cassa integrazione.

La disumanità di questa realtà balza agli occhi.

Nella Germania del nazismo, tutta l’industria tedesca utilizzò il lavoro dei prigionieri. Vicino ai campi di sterminio erano presenti i più grandi stabilimenti tedeschi. Chimici, siderurgici, automobilistici. Nonostante la storia ufficiale non ne parli volentieri, quasi tutte le grandi aziende industriali tedesche l’hanno dovuto confessare, una delle ultime è stata l’AUDI. Gli operai lavoravano come schiavi e quando non ce la facevano più venivano uccisi.

Nella società capitalistica il profitto individuale è tutto. E’ lo scopo e il motore. In questa società il consumo degli operai è diventato così veloce che un uomo è utilizzabile nella produzione dai venti ai quarantacinque anni. Dopo non è più buono per la produzione, ma è ancora troppo giovane per la pensione.

Prima che i capitalisti contemporanei rispolverino la soluzione adottata dai padroni tedeschi degli anni trenta e quaranta del secolo scorso agli operai conviene svegliarsi.

Franco Rossi

 

 

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