CETA, UN ACCORDO FRA RAPACI

Redazione di Operai contro, Un coro di “evviva!” ha accolto la recente approvazione, da parte del Parlamento europeo, del CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement), l’accordo di libero scambio fra Ue e Canada. Padroni, economisti, partiti politici hanno plaudito all’accordo, esaltandolo come una prima risposta a Trump in nome della battaglia al protezionismo. Si devono accontentare del fratello povero del più famoso TTIP (Transatlantic trade and Investment Partnership) imbastito e già naufragato con gli Usa! I capitalisti hanno pieno interesse, finché possono, a sviluppare accordi di libero scambio fra stati: naturalmente ogni stato cerca, in base alla propria forza […]
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Redazione di Operai contro,

Un coro di “evviva!” ha accolto la recente approvazione, da parte del Parlamento europeo, del CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement), l’accordo di libero scambio fra Ue e Canada.

Padroni, economisti, partiti politici hanno plaudito all’accordo, esaltandolo come una prima risposta a Trump in nome della battaglia al protezionismo. Si devono accontentare del fratello povero del più famoso TTIP (Transatlantic trade and Investment Partnership) imbastito e già naufragato con gli Usa!

I capitalisti hanno pieno interesse, finché possono, a sviluppare accordi di libero scambio fra stati: naturalmente ogni stato cerca, in base alla propria forza economica e politica, di imporre quanto più possibile i propri interessi all’altro stato. Quando qualche accordo del genere va in porto, tutti cantano osanna al libero scambio economico e giurano di essere contrari al protezionismo, cioè al mantenimento o all’inasprimento di dazi doganali e barriere di ogni tipo all’importazione di merci e servizi da altri stati. Ma appena il vento gira, inalberano la bandiera del protezionismo e della guerra commerciale.

Oggi infatti esultano per il CETA in maniera a dir poco esagerata perché sanno bene che la tendenza predominante nell’ambito del commercio mondiale è esattamente il protezionismo. Il naufragio del TTIP, che aveva un peso commerciale ed economico di gran lunga maggiore rispetto al CETA, lo ha dimostrato ampiamente. Così come le minacce ringhiose di Trump e le risposte pepate di Juncker e Tajani.

Che poi, anche all’interno degli accordi di libero scambio, ogni stato, ogni settore produttivo, ogni comparto, ogni padrone o politico coinvolto (conti molto o valga poco), cerchi comunque quanto più possibile di fregare il diretto avversario o di fargliela pagare quanto più cara possibile, questa è per i capitalisti prassi consolidata. E chi non riesce, perché più debole dei concorrenti interni, a ritagliarsi un posticino al tavolo dell’accordo per la spartizione di lauti profitti, si oppone con le armi che ha.

Ad esempio, contro il CETA si sono levate le proteste, fuori dal Parlamento di Strasburgo, di movimenti, sindacati e agricoltori che hanno esposto frutta locale nelle cassette e striscioni antiglobalizzazione, perché l’accordo metterebbe a rischio le produzioni locali europee e consentirebbe di far entrare nell’Ue prodotti attualmente vietati, come gli ogm, ma permessi nel mercato nord americano.

Una risposta buona per tutti l’ha data il capogruppo popolare Manfred Weber del Parlamento europeo: “Il voto rappresenta anche la risposta alla politica di Donald Trump, invece di protezionismo vogliamo collaborazione, invece di lasciare che la globalizzazione proceda senza di noi vogliamo modellarla con i nostri standard e le nostre norme ad alto livello”.

Tradotto: i mercati li vogliamo controllare noi europei, imponendo i nostri prodotti e con essi le nostre regole; quando è possibile con gli accordi, se questi non sono possibili proteggeremo i nostri mercati e le nostre merci con altri mezzi.

Esattamente ciò che pensano, dal punto di vista contrario, Trudeau e i padroni canadesi, Trump e i padroni statunitensi, Putin e i padroni russi, ecc. ecc.!

F.S.

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