I “vinti della globalizzazione” secondo Di Vico

Caro Operai Contro, finalmente Di Vico ci svela chi sono “i vinti” della crisi, o come dice lui “della globalizzazione”: A) Un segmento di classe operaia dei servizi. B) Il ceto medio.  Punto A) “Un segmento di classe operaia, quello dei servizi a basso valore aggiunto come la consegna delle merci e i call center. Qui la pressione della globalizzazione è diretta, determina il livello delle paghe ma soprattutto l’insicurezza del posto di lavoro e una forma organizzativa che puzza di sommerso”. Così scrive Di Vico, senza dire oltre “la consegna delle merci e i call center”, dove cominci […]
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Caro Operai Contro,

finalmente Di Vico ci svela chi sono “i vinti” della crisi, o come dice lui “della globalizzazione”: A) Un segmento di classe operaia dei servizi. B) Il ceto medio.

 Punto A)

“Un segmento di classe operaia, quello dei servizi a basso valore aggiunto come la consegna delle merci e i call center. Qui la pressione della globalizzazione è diretta, determina il livello delle paghe ma soprattutto l’insicurezza del posto di lavoro e una forma organizzativa che puzza di sommerso”.

Così scrive Di Vico, senza dire oltre “la consegna delle merci e i call center”, dove cominci e dove finisca, il “segmento di classe operaia dei servizi”, che bontà sua, ha collocato tra gli operai “vinti” dalla crisi.  Sono gli unici operai fra tutti i settori, riconosciuti come “vinti” da Di Vico. E’ saltato al settore dei servizi senza un accenno, esempio, agli operai delle “cooperative” di facchinaggio, senza dirci dove ha dimenticato gli operai edili e quelli agricoli, settori nei quali abbondano le assunzioni atipiche, il lavoro a giornata, le buste paga falsificate, il lavoro nero, il caporalato, i voucher, una conclamata moderna schiavitù del lavoro salariato. Anche questi operai Di Vico, li ha collocati tra “i non vinti” dell’”universo operaio”.

Di Vico vede “l’insicurezza del posto di lavoro e una forma organizzativa che puzza di sommerso”, solo tra i “vinti” nei “servizi a basso valore aggiunto”. Usa il termine “globalizzazione” per dire che è colpa della concorrenza internazionale, se questo “segmento di classe operaia dei servizi” è finito tra i “vinti”. Come se volesse dire a questi operai di non prendersela con i loro padroni: se il salario è da fame e sono peggiorate condizioni di lavoro e di vita, la colpa è dei padroni stranieri che ci invadono con merci e servizi più competitivi. Ma se anche gli operai riconosciuti “vinti” da Di Vico non si dovrebbero ribellare, figuriamoci “l’universo operaio” che Di Vico ha collocato tra “i non vinti”, come abbiamo visto nei due precedenti articoli. Così Di Vico chiude il cerchio a incentivo e supporto della calma piatta nell’”universo operaio”.

 Punto B) “Chi ha pagato un’altra rata onerosa del conto globale è il ceto medio”, quegli strati sociali che stanno sopra gli operai fino sotto la grande borghesia.

“Ad aggravare la condizione del ceto medio c’è poi un elemento psicologico: la diffusa percezione di un ulteriore slittamento prossimo venturo. Non abbiamo toccato il fondo, pensano, anzi”. L’apprensione di Di Vico per i ceti medi che “non hanno toccato il fondo”, gli fa indossare le vesti dello psicologo che diagnostica “l’elemento psicologico”, fra le aggravanti prossime del ceto medio. Cosa che non ha fatto per gli operai che possono dormire fra due guanciali, perché da lui collocati al sicuro tra “i non vinti”. Prosegue ricordando le disgrazie di padroncini manifatturieri e del piccolo commercio, mentre i loro dipendenti Di Vico li aveva collocati tra “i non vinti”. Sembrerebbe un paradosso ma non per un cortigiano della borghesia come lui. Invece Di Vico trova una normalità il prezzo pagato nella crisi dagli operai, loro possono anche sprofondare negli inferi ma Di Vico li ha messi tra “i non vinti”. Lui li considera come uomini da sfruttare per il profitto dei padroni, ed in quanto tali, sostituibili con altri operai. Da questo punto di vista, non potranno mai essere “vinti”, sono intercambiabili in qualsiasi momento, sfruttabili all’infinito, finché organizzati in classe non cancelleranno questo sistema sociale.

In Italia “nel terziario professionale c’è troppo offerta e poca domanda”, dice ancora Di Vico e aggiunge: “il numero di avvocati e architetti che c’è in Italia è da record europeo”. Il perché qui Di Vico non lo attribuisce alla “globalizzazione”, gli va bene la classica legge della domanda e dell’offerta.

 

Ad un certo punto del suo articolo Di Vico smette di parlare di operai e di ceto medio, ossia di classi sociali o loro “segmenti”. Argomenta il suo punto di vista come se improvvisamente si fosse trovato davanti a delle calamità naturali: “la povertà assoluta è cresciuta, così come è aumentata incredibilmente quella minorile”. Ricorda che con le loro pensioni i nonni aiutano i nipoti, i quali hanno un reddito (quelli che ce l’hanno) inferiore ai giovani di 25 anni fa. Tralascia i disoccupati con il 40% di giovani al loro interno.

Di Vico sostanzialmente conclude il suo articolo con un avvertimento: “La spesa pubblica a pioggia purtroppo le disuguaglianze tende ad acuirle e non a temperarle”. Suona come una richiesta ai governanti di tagliare la spesa pubblica per gli operai che Di Vico ha collocato tra “i non vinti”, ed invece incrementarla per i ceti medi che “rischiano di toccare il fondo”.

Saluti Oxervator

I due precedenti articoli sono stati qui pubblicati il 14 e 21 febbraio 2017. Le osservazioni sono riferite all’articolo di Dario Di Vico dal titolo “Non tutti i vinti sono uguali”, pubblicato sul Corriere della sera il 27 gennaio 2017.

 

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