Crisi economica, guerra e industria delle armi

Redazione di Operai Contro, Porto all’attenzione dei lettori di Operai Contro un articolo di qualche settimana fa del Corriere della sera (La Lettura del 29 gennaio 2017 pag. 12 e 13) sull’aumento delle spese militari degli ultimi anni, corredato da grafici e dati interessanti. L’articolo, oltre che per i dati, è interessante per l’approccio dell’articolista: Il mercato delle armi visto da una prospettiva puramente economica (tanto cara alla scienza economica) svela in modo chiaro e comprensibile a tutti come la borghesia, i capitalisti e i loro intellettuali si avviino alla guerra, come soluzione alla crisi economica che loro stessi […]
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Redazione di Operai Contro,

Porto all’attenzione dei lettori di Operai Contro un articolo di qualche settimana fa del Corriere della sera (La Lettura del 29 gennaio 2017 pag. 12 e 13) sull’aumento delle spese militari degli ultimi anni, corredato da grafici e dati interessanti.

L’articolo, oltre che per i dati, è interessante per l’approccio dell’articolista: Il mercato delle armi visto da una prospettiva puramente economica (tanto cara alla scienza economica) svela in modo chiaro e comprensibile a tutti come la borghesia, i capitalisti e i loro intellettuali si avviino alla guerra, come soluzione alla crisi economica che loro stessi hanno prodotto, con lucido cinismo.

I dati riportati, per chi non vede profitti da intascare, sono impressionanti nella loro drammaticità: L’industria bellica non ha visto la crisi! Una spesa mondiale per armi di 1,6 migliaia di miliardi di dollari (quasi pari al PIL italiano!) cresciuta di oltre il 100% negli ultimi 15 anni per tutti gli stati più forti economicamente, inclusa la Cina.

spesa

Le prime 100 aziende dell’industria militare (che fatturano 300/400 miliardi di dollari l’anno) sono tutte concentrate nelle suddette potenze mondiali ed in un’altra decina di stati tra cui l’Italia che con Finmeccanica, Augustawestland, Selex, Alenia e Beretta occupa una posizione preminente in questa triste classifica (risultando tra i maggiori esportatori di armi al mondo).

L’articolo che si potrebbe titolare “la guerra [..] si combatte per vendere armi e i conflitti ne alimentano la produzione” ci presenta senza veli le armi nella loro forma di merce, una merce che deve produrre profitto, che deve essere messa sul mercato. Un mercato in continua espansione grazie alle miriadi di conflitti esistenti ma in cui la concorrenza tra i vari produttori è accanita ed è condotta a colpi di marketing sui campi di battaglia per presentare i propri articoli e accaparrarsi sempre nuove commesse.

Non è un caso che l’articolo, pieno di sano nazionalismo, chiude dispiaciuto per la sconfitta della Beretta (azienda italiana) a favore della SIG (azienda tedesca) nell’accaparrarsi la fornitura di pistole all’esercito americano.

Nell’articolo non è assolutamente presente e non interessa un qualsiasi riferimento alla distruzione ed alle morti che queste merci, la guerra producono. Nè interessa indagare i motivi e le cause dei conflitti e dell’aumento delle spese militari di tutti i maggiori stati capitalisti. E non si oppone nessuna obiezione se queste merci sono acquistate con fondi statali e debito pubblico. Nè, nel caso dell’Italia, si vede nessuna contraddizione tra i principi della carta costituzionale (art 11: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali etc….) e l’essere una dei maggiori esportatori di armi a livello mondiale.

L’articolista non poteva essere più esplicito: Il profitto sopra tutto! Del singolo capitalista, dei capitalisti di uno stato su quelli di un altro stato, la guerra commerciale senza sbocchi nella crisi, mai citata nell’articolo, trova nell’industria bellica il volano e nelle conquiste e distruzioni della guerra la soluzione per far ripartire l’accumulazione.

L’”America fisrt” di Trump, l’esercito europeo vagheggiato dalla Germania, il rafforzamento militare di Russia e Cina sono lì a dimostrare la direzione presa dalle borghesie mondiali per risolvere la crisi.

P.Se.

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