Protagonismo operaio e l’arresto di Aldo Milani

La notizia sull’arresto di Aldo Milani ha svolto il suo classico percorso, scandalo, tanto fumo e poi il nulla. Quello che conta per i camerieri dell’informazione è lanciare un flash, un colpo di luce per abbagliare, lasciare una traccia intensa e poi sparire. Tanto sperano rimarrà l’abbaglio, nessuno chiederà spiegazione sui fatti, sull’evoluzione della vicenda. Per questo non bisogna farsi subito prendere dalla voglia di commentare, di dire la propria, non abbiamo la stessa potenza dei loro mezzi d’informazione e conviene aspettare che la nebbia si disperda. Per ragionare. Primo. Il fatto in se è stato una trappola. Ma […]
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La notizia sull’arresto di Aldo Milani ha svolto il suo classico percorso, scandalo, tanto fumo e poi il nulla.

Quello che conta per i camerieri dell’informazione è lanciare un flash, un colpo di luce per abbagliare, lasciare una traccia intensa e poi sparire. Tanto sperano rimarrà l’abbaglio, nessuno chiederà spiegazione sui fatti, sull’evoluzione della vicenda.

Per questo non bisogna farsi subito prendere dalla voglia di commentare, di dire la propria, non abbiamo la stessa potenza dei loro mezzi d’informazione e conviene aspettare che la nebbia si disperda. Per ragionare.

Primo. Il fatto in se è stato una trappola.

Ma fra chi tende la trappola e chi vi cade dentro vi è una differenza abissale.

Chi ha teso la trappola voleva screditare un sindacalista conflittuale e attraverso lui un’organizzazione sindacale che ha dato e sta dando filo da torcere ai padroni della logistica.

La trappola ha funzionato e il discredito è stato perseguito su tutti i mezzi di informazione. Non cadere nelle trappole è una capacità che a tavolino è facile da insegnare ma sul campo e molto difficile da applicare.

Secondo. Hanno gridato allo scandalo non solo i padroni, gente abituata a corrompere chiunque per i loro interessi, ma anche sindacalisti confederali abituati a prendere mazzette “legali” ed “illegali”, scambiare privilegi e posti di potere.

Non mancano al coro, se pur in tono minore, i piccoli concorrenti di Milani, che non perdono occasione per punzecchiarlo.

Quest’ultima pratica è insita nella guerra che le piccole parrocchie politico-sindacali di sinistra, gestite dalla piccola borghesia, si fanno continuamente.

Terzo. Milani è il coordinatore nazionale del SI Cobas. La presenza operaia nel sindacato che rappresenta non manca. Saranno loro, che tutti i giorni conducono una guerra contro i padroni che li sfruttano, a valutare cosa è veramente successo in quella riunione e trarne i necessari insegnamenti.

Hanno momenti collettivi di discussione, assemblee, coordinamenti, attivi, in cui possono far sentire la loro voce.

Se il protagonismo operaio ha qualche significato spetta agli iscritti del SI Cobas l’ultima parola. In tutta la vicenda pochi hanno riconosciuto loro questa possibilità di intervento e ciò è prova lampante di quanto formale sia il generico appello all’autorganizzazione operaia ed alla azione diretta.

Quarto. Siccome i fatti contestati a Milani cercano di screditare qualunque attività sindacale operaia fuori dal collaborazionismo dominante, chiediamo, per poterci difendere meglio da questa offensiva che riguarda anche noi, operai ribelli, una descrizione della trappola, di come è stata orchestrata e come poteva essere evitata. Ultima questione, non facciamo come i sindacati venduti che per nascondere fatti di corruzione sventolano sempre le bandiere delle “grandi battaglie per i diritti dei lavoratori”.

Ci è più utile sapere come sono andati realmente i fatti oltre che denunciare in modo generale l’attacco al sindacalismo di base, anche perché non c’è nulla di cui vergognarsi, in guerra si impara di più affrontando errori, passi falsi, sconfitte che vittorie roboanti a buon mercato. Per percorrere questa strada ci vuole coraggio, non è facile, ma gli operai, schiavi salariati non hanno niente da perdere …

E.A.

Brevi considerazioni sull’arresto di Aldo Milani

(Modena, 26 gennaio 2017)

  1. Ritengo che l’arresto di Aldo Milani e, indirettamente, l’attacco al SiCobas, sia una rappresaglia «locale», organizzata dalla direzione aziendale (Alcar/Levoni) e dalla Questura di Modena (Squadra Mobile). Altrimenti non si sarebbe sgonfiato nel giro di 48 ore. Secondo me, l’episodio non ha quel profilo di manovra in grande stile che alcuni sostengono (o temono). Secondo me, l’intervento statale, per emarginare il sindacalismo di base conflittuale, deve avvenire (e avverrà) nell’ambito del JobsAct e con la collaborazione dei sindacati confederali concertativi. È un obiettivo che in questo momento è ancora lontano. Ma non lontanissimo.

  2. Le risposte all’arresto sono state limitate e, quando ci sono state, sono per lo più avvenute sull’onda dell’emotività, a scapito di una seria riflessione politica. Di conseguenza, l’episodio è stato gonfiato, trascurando di entrare nel merito della questione, ovvero:

  3. Perché le trattative avvenivano «a porte chiuse», senza una delegazione dei lavoratori coinvolti nella vertenza, come dovrebbe avvenire secondo la prassi dell’autorganizzazione operaia e dell’azione diretta.

  4. Chi è, come mai e in quale veste fosse presente anche il presunto «Consulente sindacale» Danilo Piccinini?

  5. Gli attestati di solidarietà ad Aldo Milani, con poche eccezioni, mostrano una visione politica angusta, chiusa in una logica sindacalista, senza neppure accennare all’autonomia proletaria, all’autorganizzazione delle lotte e all’azione diretta.

  6. Tra gli attestati di solidarietà, ci sono poi alcune organizzazioni e alcune persone che, in passato, ebbero contrasti personal/politici con Aldo Milani. Costoro si sono sentite in dovere di esprimere la loro solidarietà, probabilmente per non essere accusate di indifferenza, mostrando invece una lunga coda di paglia e una corta sensibilità politica.

    Da come è sorta e da come si è svolta la vicenda, devo concludere amaramente che l’ambiente politico interessato ha dimostrato nel suo insieme una preoccupante arretratezza, nell’incapacità di superare o perlomeno discutere gli schemi basati sulla «delega» in cui Milani si è invischiato.

– La delega è una prasi che scoraggia il protagonismo politico operaio, con tutte le difficili responsabilità che il protagonismo comporta.

– La delega favorisce invece la linea di minor resistenza, affidando le proprie sorti al santo protettore del momento. Oggi Aldo Milani. E domani? Un fascista, un mafioso, un jihadista… Tutti molto più bravi a intortare i lavoratori. Non sarebbe la prima volta.

Dino Erba, Milano, 14 febbraio 2017.

 

Sull’arresto di Aldo Milani

Una risposta operaia alla repressione padronale

Sappiamo bene che è interesse dello Stato demolire il movimento di lotta, operaio e sindacale, nato nel settore della logistica e sviluppatosi attraverso la pratica di scioperi e picchetti che hanno arrecato un grosso danno ai profitti padronali. Sempre pronto alla repressione poliziesca contro i protagonisti delle lotte e a sorvolare, invece, sull’«estorsione continuata e aggravata» ai danni degli operai da parte di “rispettabili” padroni in doppio petto, con mafiosi al seguito, che da decenni utilizzano il sistema delle cooperative per realizzare miliardi ed evaderne altrettanti.
Il loro obiettivo principale non è certo quello di difendere principi di giustizia e onestà, ma quello di utilizzare l’arresto di Aldo Milani, per smantellare un ostacolo ai loro piani di realizzazione del massimo profitto. Piani ben precisi che passano per lo smantellamento delle conquiste storiche del movimento operaio (dall’attacco alla contrattazione nazionale, allo statuto dei lavoratori, al diritto di sciopero ecc) e per spianare la strada all’aumento e alla diversificazione delle forme di ricatto e precarizzazione estrema (incremento della massa dei soci-lavoratori inquadrati nelle cooperative, dei lavoratori pagati coi voucher, degli stagisti sottopagati, dei lavoratori al nero, fino al lavoro gratuito imposto ai rifugiati di guerra).
Poco ci interessa, quindi, soffermarci sugli aspetti poliziesco-mediatici della vicenda che ha investito Aldo Milani. Sappiamo solo che è un’operazione utile solo a infangare e attaccare un settore del movimento operaio, in maggioranza composto da lavoratori immigrati che, uscendo da una logica puramente difensiva, ha cominciato ad attaccare, conquistando riscatto e dignità, in un settore nevralgico per il sistema produttivo locale, rischiando di diventare un esempio vivo per milioni di sfruttati schiacciati dalla crisi capitalista.
L’invito di Questura e Magistratura, rivolto agli imprenditori, per farsi avanti e denunciare altri casi di sindacalismo conflittuale, è una prima chiara dimostrazione dei loro reali intenti: attaccare gli scioperi e i picchetti, trattandoli come ricatto ed estorsione verso i padroni.
Respingere questo disegno repressivo è possibile solo con l’estensione della lotta: 1) unendo i lavoratori, esercitando lo sciopero su scala sempre più ampia; 2)rompendo con le compatibilità e la pace sociale funzionale ai processi di accumulazione capitalista; 3)superando qualunque forma di delega assoluta, per tentare di praticare, invece, un percorso di autorganizzazione e di unità dal basso, capace di fronteggiare la guerra più complessiva che il nemico di classe conduce quotidianamente contro i proletari nei luoghi di lavoro su scala planetaria.
Allo stesso tempo, non possiamo rinunciare a criticare la condotta politica di Aldo Milani che, a nostro parere, ha commesso il grave errore di sedersi da solo a quel tavolo(insieme a chi fa dello sfruttamento dei lavoratori la sua fortuna), senza che fosse partecipe nessun operaio coinvolto nella vertenza.
Un errore che, nel tempo, di pari passo con la crescita di influenza del SI.Cobas sullo scenario sindacale nazionale, si è ripetuto varie volte, talvolta portando ad accordi sindacali assai discutibili.
Di questa condotta sbagliata pensiamo, da tempo, che siano principali responsabili Aldo Milani e la direzione del SI. Cobas, colpevoli di pensare e muoversi come se l’organizzazione degli operai in lotta fosse…LA LORO organizzazione.
Una prassi che produce errori e contraddizioni, che alla lunga mina l’unità e, cosi come recentemente accaduto, produce divisioni in seno a un movimento che, invece, ha assoluto bisogno di riconoscersi sotto la bandiera unitaria dell’autorganizzazione operaia per affermare senza indugi che “l’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi”, o non ci sarà mai!

SOL COBAS     www.solcobas.org    Milano, 4 febbraio 2017

 

Il disegno è di Ennio Abate

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