Egitto – “Vogliamo vivere”

di Chiara Cruciati da http://nena-news.it/  ( agenzia di stampa) Roma, 3 febbraio 2017, Nena News – La corte militare di Alessandria ha rimandato di nuovo, per la nona volta, il verdetto finale nel caso dei “Tarsana workers”, i 26 lavoratori della Alexandria Shipyard Company accusati di incitamento alle proteste e rallentamento della produzione. Si va al 7 febbraio. Il caso dei 26 dipendenti dei cantieri navali di Alessandria aveva sollevato proteste e sdegno in tutto il paese – e fuori, dove sindacati e associazioni straniere avevano manifestato la contrarietà al processo militare – perché era stato colpito al cuore il diritto […]
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di Chiara Cruciati da http://nena-news.it/  ( agenzia di stampa)

Roma, 3 febbraio 2017, Nena News – La corte militare di Alessandria ha rimandato di nuovo, per la nona volta, il verdetto finale nel caso dei “Tarsana workers”, i 26 lavoratori della Alexandria Shipyard Company accusati di incitamento alle proteste e rallentamento della produzione. Si va al 7 febbraio.

Il caso dei 26 dipendenti dei cantieri navali di Alessandria aveva sollevato proteste e sdegno in tutto il paese – e fuori, dove sindacati e associazioni straniere avevano manifestato la contrarietà al processo militare – perché era stato colpito al cuore il diritto di sciopero. Il gruppo di lavoratori, insieme ad altri 2.500 dipendenti, aveva scioperato alla fine di maggio chiedendo il rispetto dei propri diritti: il pagamento degli stipendi arretrati, l’innalzamento del salario minimo (attualmente pari a 120 euro al mese), il versamento dei dividenti arretrati sui profitti aziendali e l’assicurazione sanitaria.

Un sit-in di due giorni che gli è costato l’incriminazione di fronte ad una corte militare. Militare, nonostante si tratti di civili. Ma la Alexandria Shipyard Company è dal 2007 proprietà del Ministero della Difesa, dunque dell’esercito. Per questa ragione la procura ha accusato i 26 di aver istigato allo sciopero e aver interrotto la produzione militare, mettendo a rischio la sicurezza nazionale.

Una forzatura che non è stata superata dai numerosi attestati di solidarietà delle associazioni e i sindacati egiziani. Dal 2012 non esistono dati certi sul numero di civili sottoposti a giudizio di fronte a un tribunale militare, sebbene stime delle organizzazioni della società civile parlino di almeno 18mila persone.

Il processo si tiene in mesi particolari per l’Egitto, in un periodo di grave crisi economica e impoverimento delle classi medio-basse che sta allargando ancora di più lo scontento nei confronti del regime di al-Sisi, già colpevole di una durissima repressione delle voci critiche. Un tandem esplosivo in cui molti vedono – se non nell’immediato – la fonte di possibili nuove sollevazioni.

La paura e l’oppressione portata avanti dalla macchina dello Stato non stanno riuscendo a mettere sotto silenzio il dissenso. Non del tutto. Tra le ultime campagne lanciate dalla società civile c’è “We want to live”, focalizzata proprio sulle condizioni di vita che soffocano da tempo le classi più povere: un tasso di povertà salito al 25%, disoccupazione alle stelle soprattutto tra i più giovani, un’inflazione che tocca quasi il 25%.

La campagna, lanciata da sindacati e associazioni professionali, si fonda su una richiesta precisa: sicurezza sociale per i cittadini egiziani. Una richiesta basata, dicono gli organizzatori, sulla lotta a scelte che sono esclusivamente politiche e che non hanno nulla a che vedere con le reali condizioni della popolazione. Nel mirino ci sono i diktat di Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale che hanno imposto dure misure di austerity e politiche neoliberiste per poter accordare prestiti miliardari al Cairo (12 miliardi di dollari in tre ann il primo, 3 la seconda).

L’impatto delle misure assunte ha avuto effetti immediati: l’innalzamento innaturale e repentino dei prezzi di prima necessità, la crisi della produzione interna – troppo costosa a confronto di quella estera importata –, il crollo del valore della sterlina egiziana sul dollaro, l’introduzione dell’Iva e il conseguente calo del tasso di occupazione.

Tra gli obiettivi della campagna, spiega Akram Ismail, tra i suoi fondatori, c’è quello di mobilitare la popolazione perché possa avere voce in capitolo nelle decisioni economiche, fare dell’economia argomento di discussione e confronto così da tutelare le fasce più vulnerabili della popolazione. E, aggiunge Suzanne Nada, avvocato e fondatrice della campagna, l’idea è legarsi alle battaglie di altri gruppi, a partire dalle lotte dei lavoratori del tessile e alle campagne per la liberazione dei sindacalisti in prigione. Nena News

Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati

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