TANTO RUMORE PER NULLA: CHE FINE HA FATTO IL NO SOCIALE?

PUBBLICHIAMO L’ARTICOLO PER SVILUPPARE IL DIBATTITO LA REDAZIONE A un mese dalla strepitosa vittoria del No al referendum costituzionale, sembra che nulla sia cambiato. Renzi, uscito dalla porta, è subito rientrato dalla finestra, con le sembianze di Gentiloni. Il nuovo governo ha solo fatto un piccolo maquilagge. Come prima? No, più di prima! In alcuni casi, il cambio di poltrona serve a tamponare le falle della gestione precedente. Per esempio, all’istruzione, dove l’ex sindacalista Valeria Fedeli è chiamata a rimediare al valzer delle cattedre, causato dalla buona scuola di Valeria Giannini. In altri, ci sono da affrontare problemi più […]
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PUBBLICHIAMO L’ARTICOLO PER SVILUPPARE IL DIBATTITO

LA REDAZIONE

A un mese dalla strepitosa vittoria del No al referendum costituzionale, sembra che nulla sia cambiato. Renzi, uscito dalla porta, è subito rientrato dalla finestra, con le sembianze di Gentiloni. Il nuovo governo ha solo fatto un piccolo maquilagge.

Come prima? No, più di prima!

In alcuni casi, il cambio di poltrona serve a tamponare le falle della gestione precedente. Per esempio, all’istruzione, dove l’ex sindacalista Valeria Fedeli è chiamata a rimediare al valzer delle cattedre, causato dalla buona scuola di Valeria Giannini.

In altri, ci sono da affrontare problemi più spinosi, come il crescente flusso di profughi, demonizzati con la scusa del terrorismo. Per questo, agli interni, c’è Marco Minniti che ha riesumato i Cie, i Centri di identificazione ed espulsione, istituiti nel 2008 dal governo Berlusconi con la legge Bossi-Fini. Veri e propri lager, il cui unico scopo è creare paura e malessere tra profughi e migranti, per dissuaderli dal venire in Italia.

Al lavoro resta Giuliano Poletti. Deve solo fare qualche piccolo ritocco indolore al JobsAct, attenuando il ricorso sfrenato ai voucher che si sono rivelati un comodo espediente per coprire il lavoro nero. Corollario dell’imperante lavoro precario.

Con le nubi che si stanno addensando all’oriz-zonte politico, i vuoti di potere sono pericolosi. Motivo per cui, nel fronte del NO, si è presto frantumata l’opposizione parlamentare al governo Renzi. A destra e a sinistra. Ed è sempre più flebile la voce di coloro che chiedono le elezioni anticipate. Di fronte a Pil depresso, baraonda bancaria, licenziamenti dilaganti, calamità naturali, profughi in arrivo, e con credibilità politica in caduta libera, tra i partiti dell’opposizione è prevalso un prudente «buon senso» che, magari, potrà dare qualche vantaggio. Con le elezioni anticipate, invece, c’è il rischio di trovarsi con un pugno di mosche.

Nel gioco al massacro tra partiti, sta naufragando anche il Movimento 5 Stelle, ultima spiaggia della democrazia parlamentare italiana.

Ma questi sono problemi loro. Vediamo cosa succede nel fronte sociale, nel fronte delle lotte. Che invece ci riguarda.

Se Atene piange, Sparta non ride

In queste circostanze, il No sociale ha mostrato tutta la sua deleteria sostanza. Finita la kermesse elettoralistica, si è visto chiaramente che il No sociale portava solo acqua al mulino di una presunta opposizione parlamentare di sinistra. Peggio, poiché alla prova dei fatti, quel mulino macina a vuoto, stante l’ignavia della sinistra parlamentare. Dopo la «vittoria» del 4 dicembre, quella sinistra non è stata in grado di (o non ha voluto?) prendere la ben che minima iniziativa!

Ben più gravi sono le conseguenze nei confronti delle lotte proletarie, nei posti di lavoro, nei quartieri e nelle piazze. L’adesione al No sociale ha prodotto una deviazione politica che si è tradotta in un arretramento per buona parte del sindacalismo di base (la Cub di Tiboni in primis, con al seguito Sgb ecc.). Eccezioni meritorie il SolCobas e poche altre sigle, tra cui una parte dell’Usi-Ait.

Particolarmente sconcertante è stata la posizione del SiCobas che, dopo il delitto padronale di Piacenza (14 settembre), si è messo al carro dell’Usb. Ovvero al carro di un sindacato che, come è noto, è la longa manus di quella composita diaspora di nostalgici del fu Pci (cascami di Rifondazione & Co.), di cui ripropongono la medesima logica politica, senza capire che oggi è fuori tempo massimo. E può fare solo danni.

Lo stesso è avvenuto con alcune realtà politiche, anche di ben diverso orientamento. Realtà che, pur con una presenza assai più modesta, nelle situazioni di lotta erano comunque riuscite a conquistarsi spazi, a volte significativi. Dopo la capriola referendaria, dovranno faticare per recuperare il terreno perduto. Per ora, qualcuno si sta arrampicando sugli specchi per dare un significato alle sue scelte dissennate.

Del referendum istituzionale, non ce ne poteva frega di meno. Era l’occasione ideale per una forte astensione che solo dei collusi e degli sciocchi hanno voluto ostacolare.

Che dire? All’origine di questa balorda vicenda, c’è quella strategia politica che vuole separare la lotta economica dalla lotta politica e che, oggi più mai, ci porta in un vicolo cieco. Sempre più tetro.

È una strategia che rivela il disprezzo per l’autonomia politica e teorica dei proletari, da parte di coloro che pretendono di averne la rappresentanza politica.

Certo, l’Italia è un paese cattolico, dove siamo abituati ad affidarci alla provvidenza, e a raccomandarci a qualche santo in paradiso, per evitare la fatica di assumerci le nostre responsabilità. Ma fino a quando?

Seguendo questa strada, mai si uscirà dall’in-ferno del capitale.

Dino Erba, Milano, 12 gennaio 2017.

il quadro è di Ennio abate

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