Paolo Mieli e “i nostri”

Redazione di operai contro, Il Corriere della sera, quotidiano principe della borghesia italiana, il 24 ottobre ci consegna un editoriale di Paolo Mieli sulla guerra in Iraq-Siria. “Mosul è un fronte comune” è il titolo in prima pagina, ma l’articolo continua nelle pagine interne e significativamente cambia titolo in un altro: “UN CONTROLLO INTERNAZIONALE NEI TERRITORI LIBERATI DALL’Isis”. Come dire, adesso “tutti” contro l’Isis, “terribile e sanguinario”, invero nemico comune di tutte le borghesie delle grandi potenze e di quelle locali, per fare questo si usino tutti, le milizie curde, sciite irachene e quelle inviate dall’Iran, mercenari occidentali, bersaglieri […]
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Redazione di operai contro,

Il Corriere della sera, quotidiano principe della borghesia italiana, il 24 ottobre ci consegna un editoriale di Paolo Mieli sulla guerra in Iraq-Siria. “Mosul è un fronte comune” è il titolo in prima pagina, ma l’articolo continua nelle pagine interne e significativamente cambia titolo in un altro: “UN CONTROLLO INTERNAZIONALE NEI TERRITORI LIBERATI DALL’Isis”.

Come dire, adesso “tutti” contro l’Isis, “terribile e sanguinario”, invero nemico comune di tutte le borghesie delle grandi potenze e di quelle locali, per fare questo si usino tutti, le milizie curde, sciite irachene e quelle inviate dall’Iran, mercenari occidentali, bersaglieri e alpini, ecc., ma poi bisognerà stazionare sul territorio a lungo con uno stato di guerra continuo, in cui le truppe occidentali “internazionali” garantiscano che nessun altro soggetto contrario ai “nostri” interessi possa nuovamente instaurarsi.

Già, il Mieli, “storico” che appare in televisione sempre riflessivo, calmo e pacifico, ha messo l’elmetto. E dando per scontata la rapida riconquista di Mosul, che la propaganda di guerra la vorrebbe già strappata di mano all’Isis al solo lancio dell’offensiva, auspica persino che il mondo cattolico rinunci al suo pacifismo. Andiamoci cauti, sembra dire, con la denuncia dei crimini di guerra. Potrebbe anche essere che a breve i bombardieri americani e dei loro alleati debbano radere al suolo Mosul, come hanno già fatto a Falluja. Così come quelli russi e siriani continuano a fare ad Aleppo. Avvisa: «E se i jihadisti di Mosul fossero capaci di resistere casa per casa come quelli di Aleppo, cosa dovrebbero fare i «liberatori»? Rallentare? Lasciar perdere? »

Insomma la solita litania superficiale sulle guerre sante, giuste, dei buoni contro i cattivi. Prima si mettono in fila quattro terribili atrocità del nemico: vuoi non fermarlo? Poi si fa una “fine analisi”: I «nostri» stanno liberando quelle terre con una guerra salutata, quantomeno in loco, dagli applausi di tutti». Vengono in mente le immagini dei soldati che entrano trionfanti nelle città, poco importa se sono i tedeschi che entrano a Vienna e poi a Parigi, oppure gli americani. Vedete che guerre giuste: accolte dalla popolazione giubilante!

Ma il massimo, il nostro profondo conoscitore di ciò che muove le guerre moderne, lo raggiunge quando per costruire la sua tesi finale riconosce che tutte le atrocità che prima i “nostri” hanno fatto alla popolazione civile hanno condotto poi alla vittoria dell’Isis nel 2014. Per poi contorcersi nel ragionamento e affermare che adesso si «rischia di riproporre le condizioni che, nell’estate del 2014, hanno determinato la nascita dell’Isis: carneficine sciite a danno dei sunniti e viceversa»

Non ci aspettavamo che il pacioccone nei modi, storiografo dell’apparenza, ci spiegasse le ragioni economiche che spingono gli stati moderni al confronto militare, quali interessi capitalistici che vi stanno dietro, ma ci sembra un po’ troppo la banalità che atrocità di guerra generano atrocità di guerra. Con il giusto corollario finale che il vincitore, che scrive la storia, di atrocità non ne ha commesse o, se proprio qualcuno riesce a documentarle, vi è stato costretto dal nemico cattivo.

Come già detto il nostro opinionista punta a preparare l’opinione pubblica a una lunga occupazione militare del Califfato: «Adesso, solo un prolungato controllo internazionale sui territori liberati dall’Isis potrebbe garantire esiti diversi da quelli di cinque anni fa».

Non sappiamo cosa dia a Mieli la certezza che l’Isis verrà sconfitto, forse gli deriva dallo strapotere militare occidentale, certamente quello aereo, ma allora in conto avrà messo la sepoltura, sotto le macerie delle loro case, di tutti gli abitanti di Aleppo, ma anche di Mosul. Quale atrocità, non le pare? Ma se nella sua testa tutto ciò è l’umanità da perdere, cui il nemico l’ha costretto, lo scotto da pagare per estirpare il male, non è dato invece sapere perché ciò debba assicurare “una pace stabile”. Se le ragioni della guerra in Medio Oriente sono, come finora ci ha favoleggiato, le atrocità commesse dall’Isis, o da sciiti verso sunniti e viceversa, come pensa vengano vissute e ricordate le atrocità occidentali? Inevitabilmente nuovi Isis risorgeranno dalle macerie. E l’occupazione militare internazionale auspicata potrà anche essere lunga, ma produrrà certamente nuovi movimenti di liberazione. Il nostro storico storico dovrebbe conoscerli questi fenomeni così come i suoi esiti, gliene elenchiamo qualcuno del secolo scorso: Cina, India, Angola, Mozambico, Vietnam, Algeria.

Le atrocità, potrà sembrare incredibile, gli uomini come comunità le metabolizzano, individualmente si cerca giustizia e forse anche vendetta, collettivamente si superano, in ogni caso non scatenano guerre tra stati. Possono venire strumentalizzate per sobillarne l’inizio, usate nella propaganda bellica, ma non rappresentano le vere ragioni che le generano. L’odio è un sentimento che va coltivato, altrimenti col tempo, come ogni sentimento, appassisce, si affievolisce. Le guerre, soprattutto quelle moderne, hanno invece altre ragioni alla loro origine, più materiali. Inoltre o sono di classe, e pertanto sono per la liberazione dal dominio di una classe sull’altra, o sono tra le stesse borghesie oggi al potere che si contendono mercati e zone di influenza. Nel primo caso si risolvono con la liberazione della classe sottomessa e l’affermazione di una nuova società e un nuovo modo di produrre, un altro mondo in cui le guerre non hanno più ragione di essere. Nel secondo caso con il ristabilirsi di un nuovo equilibrio tra le borghesie nazioni e i mercati che controllano, fino alla nuova esplosione delle contraddizioni economiche del capitale, le sue crisi e alle guerre nuovamente. Mieli e il Corriere ci vorrebbero arruolare nel “loro” esercito, alla “loro” guerra eterna contro altri popoli da opprimere e altre borghesie “loro” nemiche, e per “futili” motivi: continuare nella crisi ad accumulare ricchezza frutto di rapina nei confronti degli operai e delle popolazioni arabe e africane. Tutt’altro che nobili scopi.

R.P.

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