sindacalismo di base: SCIOPERI & GENERALI

Pubblichiamo per il dibattito L’articolo di «Sicilia Libertaria» mette impietosamente il dito in una piaga che molti conoscono. Tuttavia, nonostante la sua lucida denuncia, non spiega le cause di questo andazzo demenziale. Da parte mia, non credo che sia solo colpa dei generali, penso che molti colonnelli e magari alcuni caporali siano conniventi. È la logica del racket, in cui un meschino egemonismo politico si mischia a piccoli interessi economici. Sono soddisfazioni assai modeste ma che, in tempo di vacche magre, danno vita a qualche effimera illusione. C’è poco da fare. Non credo che ci siano correttivi, come si […]
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Pubblichiamo per il dibattito

L’articolo di «Sicilia Libertaria» mette impietosamente il dito in una piaga che molti conoscono. Tuttavia, nonostante la sua lucida denuncia, non spiega le cause di questo andazzo demenziale. Da parte mia, non credo che sia solo colpa dei generali, penso che molti colonnelli e magari alcuni caporali siano conniventi. È la logica del racket, in cui un meschino egemonismo politico si mischia a piccoli interessi economici. Sono soddisfazioni assai modeste ma che, in tempo di vacche magre, danno vita a qualche effimera illusione. C’è poco da fare. Non credo che ci siano correttivi, come si augura l’autore dell’articolo. Vorrebbe dire aggiungere illusione a illusione. I sindacati di base hanno fatto il loro tempo, sopravvivono solo per forza di inerzia. Almeno finché il movimento reale non li spazzerà via, ristabilendo l’unità tra la lotta economica e la lotta politica. In allegato il mio Lotta politica e lotta economica: una divisione contro natura.

d.e.

sindacalismo di base

SCIOPERI & GENERALI

E’ diventata ormai abitudine nel mondo variegato del sindacalismo di base, indire scioperi generali che di questo hanno solo il nome. A caratterizzarli è, infatti, la disgregazione tra le stesse sigle sindacali e la frammentazione dei loro aderenti, che, anche nelle occasioni migliori, porterà alla realizzazione di discreti scioperi in qualche realtà produttiva o servizio pubblico, nel totale disinteresse e funzionamento della macchina produttiva generale.

E’ notorio quali difficoltà si incontrino oggi nel promuovere forme di mobilitazioni degne di questo nome e che possano in parte portare a una certa paralisi di un qualche comparto a livello nazionale (quasi sempre ciò avviene in ambito regionale o locale). Ma proprio la consapevolezza di questa difficoltà dovrebbe indurre a maggior saggezza i promotori di tali scioperi generali.

Proprio qui sta uno dei maggiori limiti e ostacoli allo sviluppo di un processo di mobilitazione sociale in Italia. Sta nei “generali”, in quei vertici che da anni dirigono i sindacati di base, ovvero un arcipelago di sigle fortemente minoritarie, di cui alcune sono più minoritarie di altre, tanto che, in questi casi, più che di generali potremmo parlare di sergenti al comando di scarni drappelli.

I generali, da anni, più che la lotta di classe promuovono la supremazia della propria sigla, gestiscono scissioni e riaggregazioni, sempre in nome dei “lavoratori”, sempre definendo “Unione”, “Unitaria”, ecc. la propria organizzazione, esattamente come fanno la miriade di partitini della galassia marxista, che più si scindono e sono minuscoli più si dicono unitari.

E così anche gli scioperi generali diventano strumento di queste politiche, dove conta più il numero di bandiere sventolate che il numero di fabbriche o scuole rimaste chiuse o di stazioni e aeroporti bloccati.

Non è un caso che a furia di proseguire per questa china suicida si è arrivati oggi ad aver svuotato di contenuto il termine “sciopero generale”, che non ha nessun appeal per i lavoratori, salvo i pochi coinvolti più direttamente.

Questo mese di ottobre la situazione si ripete: USB, UNICOBAS e USI (Lazio) hanno indetto uno “sciopero generale” per la difesa dei diritti del lavoro e dello stato sociale, per difendere ed applicare la Costituzione del 1948, per dire basta al governo Renzi e al massacro sociale. Uno sciopero totalmente coinvolto nella campagna per il No al referendum costituzionale, che coinvolge una parte del mondo sindacale di base. La CUB a sua volta ha indetto per il 4 novembre il suo “sciopero generale”, in compagnia dell’USI AIT contro le politiche di guerra, l’accordo sulla rappresentanza e l’attacco generale alle condizioni dei lavoratori, dei pensionati, ecc.. La sommatoria di due debolezze non fa una forza, ma fa una grande debolezza; questo però non scoraggia i generali dal perseverare in questa pratica di divisione, coltivazione  di orticelli, rispondere a logiche politiche tutte esterne alla condizione di classe.

Il 21 uno sciopero tutto proiettato nelle dinamiche politico-parlamentari italiane, che non a caso precede un No Renzi day che esplicita ancor di più queste intenzioni; il 4 uno sciopero che non ha preso nemmeno in considerazione il fatto che per quella data il comparto dei trasporti è notoriamente sottoposto al periodo di “franchigia”  per  via delle  regolamentazioni  applicative  della  Legge 146/90  e della  Legge 83/00  nel settore  ferroviario,  in  quello  aereo-aeroportuale,  nel  trasporto  pubblico  locale,  ed  in quello della circolazione e sicurezza autostradale, cioè in quei settori che, in genere – ed in maniera decisiva nelle ultime proclamazioni di scioperi generali – riescono a paralizzare la mobilità nel Paese e a far scoprire ai più che era stato proclamato uno sciopero generale da parte del sindacalismo di base. Senza dire che il 4 novembre essendo una festività soppressa, comporterà una doppia trattenuta per chi sciopera.

I generali continuano ad attuare linee politiche affette da cecità pur di conquistare qualche punticino di notorietà, qualche rigo in più sui quotidiani e forse raggranellare qualche nuovo iscritto, senza riuscire, invece, a fare uno sforzo per raggiungere accordi e patti, anche minimali, che facciano convergere non dico le piattaforme, ma almeno le date, di questi sempre più fantomatici scioperi generali.

Se oltre venti anni di sindacalismo di base in Italia hanno condotto a questo, vuol dire che siamo messi proprio male. E siccome male ci siamo proprio messi, eccome – nonostante le valide e spesso valorose eccezioni sparse per tutto il paese, comprese le sigle in oggetto – vuol dire che occorre muoversi per togliere più potere possibile ai generali e cominciare ad attuare quel “di base” che aveva fatto tanto ben sperare e che ha indotto migliaia di lavoratori a dedicare la loro esistenza alla costruzione di un nuovo fronte di lotta e di resistenza dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, degli immigrati, dei senza casa, degli inquilini, eccetera, per farla finita con i sindacati statali in mano ai burocrati e ai culi di piombo, attivi solo nel difendere il loro potere, i loro privilegi e il sistema capitalista che glieli garantisce molto volentieri in cambio di servigi da pompieri e cani da guardia.

Se oggi non si è in grado di procedere con una ricomposizione – di fatto, non di sigla – del mondo del sindacalismo di base, unito su alcuni obiettivi prioritari che possano ridare dignità agli sfruttati, allora vuol dire che c’è troppo di sbagliato in quel che si è fatto e che vanno intrapresi con urgenza dei seri correttivi. Prima che sia troppo tardi.

Libero Siciliano

Da «Sicilia libertaria», n. 365, ottobre 2016. [email protected]

 

Inallegato uno scritto in formato pdf  di Dino ERBA

lotta-politica-e-lotta-economica

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1 Comment

  1. alanza53

    Dino, condivido l’analisi che fai sui sindacati di base, personalmente allargherei la critica alla sinistra cosiddetta radicale, partitini, movimenti antagonisti che coltivano i propri orticelli, aridi e circondati da steccati di settarismo; questi ultimi sono più deleteri per gli operai, spesso travisando le posizioni che esprimono gli altri ritengono di avere la ricetta in tasca, quando la tirano fuori, ci rendiamo condo che serve solo a screditare gli altri, di esempi di novelli farmacisti c’è ne sono a migliaia, mi soffermo solo su uno degli ultimi che ho letto su questo giornale: Chicago 86 travisa la posizione che il Partito Operaio ha preso sul referendum sulla revisione della costituzione, e scrive ” curiosamente il volantino a firma PARTITO OPERAIO”. Se quelli di Chicago 86 volevano soddisfare la loro curiosità, su chi sta dietro alla proposta di costruire il PARTITO OPERAIO avrebbero scoperto che ci sono operai di fabbriche a livello nazionale che vogliono organizzarsi in modo indipendente; a Chicago 86, e a tanti piccoli leader, fa paura che degli operai si mettano in proprio. Dino, purtroppo il “movimento reale” che deve mettere fine alla dittatura capitalista lo vedo molto lontano, ci sono lotte a livello internazionale (Turchia, India, Francia, ecc) ma rimangono circoscritte nei propri confini, non c’è una risposta unitaria della classe operaia. I padroni questo lo sanno e non si faranno scrupoli a scatenare una guerra per uscire dalla crisi storica che attanaglia il capitalismo a livello mondiale e il teatro di guerra sarà il cuore dell’impero, l’Europa.Le guerre attuali che si stanno combattendo servono a testare nuove armi, a preparare i soldati a combattere e a toccare con le mani la morte, le popolazioni a convivere con la morte e le macerie. I segnali che i padroni mandano sono inequivocabili: guerra economica tra Stati Uniti, Europa, Russia e quando gli stati si schierano a fianco dei rispettivi padroni, il passo successivo è la guerra. La mia frustrazione è che ognuno di noi vivrà la barbarie della guerra a livello personale. il mio impegno di soldato semplice a costruire il PARTITO OPERAIO e l’unità della classe operaia serve a unire le forze per trasformare la guerra dei padroni in guerra contro i padroni per liberarci dalla schiavitù del lavoro salariato.