7 luglio 1960: dopo 53 anni facciamo chiarezza sui morti di Reggio

dal fattoquotidiano di Matteo Pioppi 7 luglio 1960, Reggio Emilia, 5 morti: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli. Una ventina di feriti. La polizia spara sui manifestanti che cantano, spara proiettili che bucano persino l’acciaio. Smitraglia ad altezza uomo. Dopo 53 anni non c’è ancora un colpevole. Molti si sono scordati di questo tragico episodio, di quel governo Tambroni Dc-Msi che gestiva le redini di questo paese. La guerra era finita da soli quindici anni, i fascisti del Msi erano gli stessi di prima. Continueranno ad essere gli stessi negli anni a venire, saranno i […]
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dal fattoquotidiano

di Matteo Pioppi

7 luglio 1960, Reggio Emilia, 5 morti: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli. Una ventina di feriti. La polizia spara sui manifestanti che cantano, spara proiettili che bucano persino l’acciaio. Smitraglia ad altezza uomo. Dopo 53 anni non c’è ancora un colpevole.

Molti si sono scordati di questo tragico episodio, di quel governo Tambroni Dc-Msi che gestiva le redini di questo paese.

La guerra era finita da soli quindici anni, i fascisti del Msi erano gli stessi di prima. Continueranno ad essere gli stessi negli anni a venire, saranno i figli, i nipoti e il parentame vario fino ai giorni nostri.

Il 14 maggio 1960 il Movimento sociale italiano ufficializza il suo sesto congresso per il 2 luglio 1960 a Genova, città  medaglia d’oro alla Resistenza. È una provocazione. Il 30 giugno 1960 a Genova succede il finimondo e i manifestanti riesco a respingere la celere. In piazza De Ferrari sono ancora visibili, sotto al porticato che porta in via Petrarca, i segni lasciati da una jeep della celere bruciata.

Poco dopo questo episodio, il 5 luglio 1960 a Licata ci fu una manifestazione di braccianti ed operai, la polizia uccise una persona (Vincenzo Napoli) e ne ferì 4.

In solidarietà a quanto successo a Genova e a Licata, il 7 luglio 1960 a Reggio Emilia fu indetto lo sciopero generale e il corteo di protesta contava 20000 operai. Una parte di loro, 600, andò a sentire il comizio della Cgil nella Sala Verdi. Alcuni di loro, 300, si raccolsero davanti al monumento dei caduti a cantare canzoni di lotta. In quel periodo gli assembramenti nei luoghi pubblici erano vietati e 350 uomini della celere iniziarono a sparare ad altezza uomo.

La comunità reggiana, dopo questo episodio, al corteo funebre sfilò unita. Corghi, segretario regionale Dc, sfilò con Togliatti, dietro le bandiere rosse, sfidando così il parere contrario del vescovo Beniamino Socche e della Curia. Corghi racconta che telefonò a Moro, all’ora segretario nazionale della Dc, che gli disse: “fai tu secondo la tua coscienza”. La coesione sociale nei confronti delle vittime fu totale, la città non si strinse a coorte ma sulle bare dei loro compagni.

L’affronto fu imperdonabile per la comunità, tanto più che uccisero 5 operai comunisti iscritti al Pci. E avere la tessera del Pci in quegli anni per molte persone era una cosa seria.

Fra i delusi degli esiti della Resistenza, tra gli sconfitti dell’occupazione delle Officine Reggiane, tra l’ala secchiana del Partito e tra chi semplicemente non ne poteva più dello Stato e della sua violenza, il 7 luglio 1960 molti manifestanti che erano in piazza uscirono nelle campagne e rientrarono verso Reggio Emilia armati, pronti a rispondere alla violenza, come testimoniato anche da Prospero Gallinari nel libro di Giulia Saccani “Una questione di soggettività. Genesi del brigatismo a Reggio Emilia” che ho pubblicato come editore:

“Mi dicevano che nel luglio ’60, dopo i fatti di Reggio, la prima cosa che fece il servizio d’ordine del Partito e i dirigenti dell’Anpi, fu quello di andare a bloccare la via Emilia perché stavano rientrando a Reggio una serie di manifestanti che erano andati a prendere le armi. Il Partito aveva reagito bloccando la gente che stava arrivando”

La voglia di scatenare l’inferno era dietro l’angolo. Dobbiamo pensare a ragazzi giovani o a ex partigiani che avevano 35-40 anni, quindi ancora fisicamente prestanti, gente che sapeva sparare insomma. Il clima che si respirava nei giorni successivi fu di estrema tensione. Dopo questo episodio il governo Tambroni si dimise. Ci furono processi, sia ai manifestanti, sia ai poliziotti. Nessun colpevole.

Proprio per questo motivo con Giulia Saccani e Andrea Montanari pubblicheremo, a luglio 2015 (anniversario dei 55 anni), un libro sui Fatti, una ricerca storica su come si svolsero effettivamente le vicende politiche, di piazza e giuridiche, per trovare finalmente, a distanza di tanti anni, una chiarezza di fondo. Il lavoro sarà lungo, emotivamente difficile ed estremamente faticoso, però credo sia necessario per preservare la memoria, in modo tale che nulla venga perso e che tutti, volendo, possano ricordare. Stiamo pensando anche a un documentario, Giuliano Bugani sarà il regista, in questo periodo siamo alla ricerca di fondi per realizzarlo.

Una piccola nota musicale. La canzone di Fausto Amodei ‘Per i morti di Reggio Emilia’ ha significato moltissimo per la comunità reggiana, grazie a quella canzone la strage andò sulle bocche di molti, preservandone la memoria. Però siccome a me piacciono altre sonorità, vi consiglio questa canzone dei Giarini di Mirò, si chiama Bufera

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