SIRIA: I GIORNALISTI IN GITA DIETRO I CANNONI RUSSI

Redazione di Operai Contro, i giornalisti ormai raccontano cazzate sulla guerra. In Iraq erano gli USA ad organizzare le gite In Siria sono i Russi ad organizzare la gita Non c’è stato nessun bombardamento Un lettore ANSA Pubblicato il 11 maggio di Mattia Bernardo Bagnoli ANSA MagazineaMag #Il magazine La Russia ha portato oltre 100 giornalisti stranieri in Siria. L’ANSA era l’unica testata italiana presente In Siria: embedded. Il reportage dell’inviato Ansa La Russia ha portato oltre 100 giornalisti stranieri in Siria. L’ANSA era l’unica testata italiana presente. Questo è il resoconto dettagliato di un viaggio faticoso in cui […]
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Redazione di Operai Contro,

i giornalisti ormai raccontano cazzate sulla guerra.

In Iraq erano gli USA ad organizzare le gite

In Siria sono i Russi ad organizzare la gita

Non c’è stato nessun bombardamento

Un lettore

gita

ANSA

di Mattia Bernardo Bagnoli
ANSA MagazineaMag #Il magazine

La Russia ha portato oltre 100 giornalisti stranieri in Siria. L’ANSA era l’unica testata italiana presente

In Siria: embedded. Il reportage dell’inviato Ansa

La Russia ha portato oltre 100 giornalisti stranieri in Siria. L’ANSA era l’unica testata italiana presente. Questo è il resoconto dettagliato di un viaggio faticoso in cui il reportage di guerra si è trasformato a tratti in una gita ‘fuori porta’ della domenica (con la protezione dell’armata rossa). E che solleva diversi interrogativi sulle difficoltà del giornalismo ‘embedded’.

Fuori è buio pesto. E nel mio autobus pure. Il nostro angelo custode, Alexander, un soldato russo dall’aria pacioccona che sa però farsi rispettare con grande naturalezza, ci ha pregato di non accendere le luci di cortesia per “ragioni di sicurezza”. Non ce lo facciamo ripetere due volte e rispettiamo la comanda: ci troviamo in un punto imprecisato tra Palmira e Homs, i blindati a turno superano gli autobus e si piazzano davanti agli sparuti crocicchi per bloccare eventuali attacchi con le auto-bomba e nessuno fiata. Troppo stanchi. Siamo in viaggio già da due giorni, il ministero della Difesa russo ha cavato fuori dal cilindro un programma dai ritmi serratissimi e abbiamo dormito tutti poche ore al giorno, dove si può quando si può. Io però non ho sonno. Dovrei ma non ce l’ho. Guardo fuori dal finestrino il deserto siriano scivolare via indifferente al nostro lungo convoglio mentre la musica araba della radio accompagna l’ondeggiare del bus, tra buche e frenate improvvise.

E non posso fare a meno di pensare se mai ci tornerò in Siria, se mai questa terra splendida troverà pace, sarà capace di vivere in modo normale, non dico bene, che già sarebbe chiedere troppo per questo nostro martoriato Medio Oriente, cortile dell’Europa, ma anche solo senza ammazzamenti, bombe, atrocità d’arte varia. Poi mi distraggo, torno a montare i video della giornata con lo smartphone – saddio come e quando riuscirò a trasmettere – e mi prendo qualche appunto sul taccuino, sperando che almeno una parte degli ottimi pensieri della notte trovino casa da qualche parte e che non se ne vadano (come sempre) con la luce del mattino. Ma la distrazione del lavoro non dura a lungo. E torno a guardare la notte. Se anche solo un mese fa m’’avessero detto che presto avrei visto suonare la sinfonia numero 1 di Serghei Prokofiev nell’anfiteatro romano di Palmira dall’orchestra filarmonica di San Pietroburgo avrei sorriso di circostanza. Ma la Russia è un paese assurdo, dove tutto è possibile – compreso organizzare questa gita turistica per oltre 100 giornalisti di mezzo mondo in un paese sconvolto da cinque anni di guerra civile. In termine tecnico si chiama giornalismo embedded. Però su scala ciclopica. Tanto che un tarlo continua a ravanarmi la zucca: ma come hanno fatto i russi a trasformare il reportage di guerra in una gita di classe?

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