GRAN BRATAGNA: 9 MILA OPERAI A RISCHIO LICENZIAMENTO

Redazione di Operai Contro, i leccaculo al servizio dei padroni, continuano a parlare di fine della crisi. Balle. La Tata Steel, gigante industriale indiano, si prepara a vendere o a chiudere le sue acciaierie in Gran Bretagna, le più grandi esistenti nel Regno Unito. 9 mila operai corrono il rischio del licenziamento Un operaio dell’ILVA   LONDRA – L’ex-colonia mette nei guai l’ex-colonizzatore. I ruoli storici si sono capovolti, con l’annuncio che la Tata Steel, gigante industriale indiano, si prepara a vendere o a chiudere le sue acciaierie in Gran Bretagna, le più grandi esistenti nel Regno Unito. Almeno […]
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Redazione di Operai Contro,

i leccaculo al servizio dei padroni, continuano a parlare di fine della crisi. Balle. La Tata Steel, gigante industriale indiano, si prepara a vendere o a chiudere le sue acciaierie in Gran Bretagna, le più grandi esistenti nel Regno Unito. 9 mila operai corrono il rischio del licenziamento

Un operaio dell’ILVA

 

LONDRA – L’ex-colonia mette nei guai l’ex-colonizzatore. I ruoli storici si sono capovolti, con l’annuncio che la Tata Steel, gigante industriale indiano, si prepara a vendere o a chiudere le sue acciaierie in Gran Bretagna, le più grandi esistenti nel Regno Unito. Almeno 4 mila posti di lavoro sono immediatamente a rischio, più del doppio considerati fornitori e indotto, per un totale di circa 9 mila lavoratori. E un’intera regione che è stata per più di un secolo il cuore dell’acciaio inglese (così come del carbone), il Galles, teme di dover fare i conti con un’ondata di disoccupazione.

Non si può accusare la Tata di non avere provato a risollevare un’industria in crisi. Dal 2007, quando il conglomerato con sede a Mumbay acquistò la Corus (la società nata dalla fusione tra British Steel con il gruppo rivale olandese), l’azienda indiana ha investito qualcosa come un miliardo di sterline (1 miliardo e 300 milioni di euro) soltanto in Port Talbot, la maggiore delle acciaierie inglesi di cui è entrata in possesso. Ma oggi proprio quello stabilimento perde 300 milioni di sterline l’anno. Secondo indiscrezioni riportate da Sky News, la Tata – che in Inghilterra ha rilevato altri marchi storici, nel settore automobilistico, come la Jaguar e la Land Rover – intende disfarsi completamente delle acciaierie di sua proprietà nella terra che un tempo colonizzava l’India.

Il leader laburista Jeremy Corbyn esprime “profonda preoccupazione”; Stephen Kinnock, deputato laburista eletto nella circoscrizione gallese sede di Port Talbot (e figlio dell’ex-leader del Labour Neil Kinnock), critica il governo britannico per non avere inviato un ministro a Mumbai a negoziare una soluzione con la Tata; mentre Leanne Wood, leader del partito nazionalista gallese, chiede al parlamento del Galles e a quello britannico “una urgente risposta politica” alla crisi. Commenta Len McCluskey, segretario generale di Unite, il sindacato britannico della categoria: “Ci sentiamo traditi”.

Le cause del declino sono duplici. Da un lato, l’impossibilità per l’industria dell’acciaio britannico di competere con i prezzi più bassi di altri paesi, a cominciare dalla Cina. Dall’altro, le tasse particolarmente alte imposte per il consumo d’energia e la protezione dell’ambiente nel Regno Unito. Il mese scorso l’Unione Europea ha imposto tariffe punitive ad alcune importazioni di acciaio dalla Cina e dalla Russia, accusate di vendere a prezzi inferiori ai costi di produzione per far deragliare la concorrenza. Ma il Times nota in un editoriale che il protezionismo, sotto forma di misure restrittive verso i concorrenti o di favore per i propri produttori, ha effetto solo come azione temporanea e solo quando un’industria subisce un calo della domanda a breve termine. “Questo non sembra il problema dell’industria dell’acciaio”, osserva il quotidiano londinese, affermando che il problema è opposto: un eccesso di offerta, accoppiato al rallentamento della crescita economica cinese, che contribuisce a far diminuire la domanda sui mercati internazionali. Creare posti di lavoro produttivi e qualificati è cruciale per il futuro della Gran Bretagna, conclude il Times, ma quei posti “non saranno nel settore dell’acciaio”. Una posizione non condivisa dai sindacati, dal partito
laburista, dal Galles. Come che sia, la ricerca di un compratore per le acciaierie in vendita non si prevede facile. E l’ex-colonizzatore britannico rischia di farsi mettere fuori dalla porta dell’occupazione dall’ex-colonizzato indiano. E’ la globalizzazione, bellezza!

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