L’imperialismo dell’Italia in Irak

Redazione di Operai contro, Ho scritto del caso dell’Eni in Libia (OC n° 251), ora abbiamo un altro esempio. La vicenda è quella di un’azienda italiana che si è aggiudicata l’appalto per riparare la diga sull’Eufrate che si trova a 50 km di Mosul in Iraq. La diga in questione, costruita da Saddam nel 1983, è stata presa dai Peshmerga curdi, fino ad agosto scorso era in mano all’Isis. Fu allora che venne danneggiata pesantemente in seguito ai bombardamenti Usa. Ora va aggiustata. Normale, no? Prima si bombarda, poi si ripara. Per la ditta italiana, gruppo Trevi di Cesena, […]
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Redazione di Operai contro,

Ho scritto del caso dell’Eni in Libia (OC n° 251), ora abbiamo un altro esempio. La vicenda è quella di un’azienda italiana che si è aggiudicata l’appalto per riparare la diga sull’Eufrate che si trova a 50 km di Mosul in Iraq.

La diga in questione, costruita da Saddam nel 1983, è stata presa dai Peshmerga curdi, fino ad agosto scorso era in mano all’Isis. Fu allora che venne danneggiata pesantemente in seguito ai bombardamenti Usa. Ora va aggiustata. Normale, no? Prima si bombarda, poi si ripara.

Per la ditta italiana, gruppo Trevi di Cesena, saranno bei profitti. Profitti che l’azienda italiana ricaverà all’estero, in Italia evidentemente non riesce a farne con altrettanto margine di guadagno, la commessa ha il valore di oltre 2 miliardi di dollari.

Anche in questo caso ci viene presentata come un’opera meritoria di una ditta italiana all’estero: non solo la diga è in grado di fornire energia elettrica a 1,7 milioni di famiglie, ma rappresenta anche, se dovesse crollare, un pericolo per intere città. Vuoi che l’Italia non offra tutta la sua collaborazione alla coalizione filo irachena per così nobili motivi?

Nessuno si è premurato prima di non distruggerla, la coalizione americana bombardandola ne ha compromesso seriamente la stabilità, ma in quel caso, dei pericoli per la popolazione civile nessuno se ne è occupato, anzi. Ora, dopo averla distrutta con bombe e aerei, con cui hanno fatto profitti i padroni produttori di armi, ecco pronti altri 2 miliardi per far fare profitti ad altri padroni per la ricostruzione. I morti e lo sperpero di risorse non contano, quel che conta sono i profitti da guerra.

Il problema, tuttavia, è che la guerra è tutt’altro che finita, a Mosul si combatte e le milizie dell’Isis controllano ampie fette di territorio, le incursioni nemiche sono sempre possibili, gli operai, i tecnici e gli ingegneri della Trevi di Cesena in un attimo possono finire nel mirino dell’Isis, potrebbero diventare un bel obbiettivo tattico se presi come ostaggi.

Ecco allora, immediatamente, pronte le truppe italiane. Renzi annuncia che il governo italiano è pronto a inviare 450 soldati a protezione della diga, leggasi a protezione dei profitti del padrone italiano di Cesena.

Il Corriere del 16 dicembre, a proposito di questi 450 soldati direttamente coinvolti, parla di un “salto di qualità della nostra missione internazionale” in Irak, rispetto agli altri 700 militari italiani che avevano finora “prevalentemente funzioni di addestramento dell’esercito regolare”. Ed in effetti un salto di qualità c’è davvero tra la partecipazione a una generica missione militare internazionale (sempre, naturalmente, “umanitaria”), e il concreto utilizzo delle truppe a diretta protezione dei cantieri del padrone.

La prima serve invero a ottenere un posto al tavolo delle nazioni vincitrici per la successiva ricostruzione, ma nell’immediato le ragioni prosaicamente economiche dell’intervento militare rimangono celate, sfuggono, sono ambigue, talvolta si confondono con altre apparentemente più nobili. Con l’utilizzo dei soldati a diretta protezione del padrone, a tutela dei suoi interessi, per impedire che il “nemico” metta in serio pericolo i suoi affari, la ragione economica si palesa in tutto il suo gretto splendore, e chiarisce una volta di più cosa conduce alla guerra moderna.

Il ruolo dei soldati come truppe mercenarie in servizio effettivo è limpido. Quando poi è l’esercito italiano che va a protezione delle aziende italiane all’estero, come in questo caso, ben si coglie qual è il nocciolo fondamentale dell’imperialismo e delle guerre cui conduce. Nonché qual è la vera funzione dello Stato moderno, dei governi e del suo esercito, a tutela del capitale nazionale in crisi che va alla ricerca di profitti sul mercato estero.

R.P.

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