In 8 mila ogni notte, aspettano l’arcivescovo col furgone delle scope

Egregio Direttore, mentre vescovi e pretoni vivono da nababbi, come ricorda la cronaca di questi giorni, anche i senzatetto si sono evoluti: non volano più sulle scope come nel film di De Sica “Miracolo a Milano”. Ora “Francesco è convinto che uno di questi giorni vincerà tre milioni al «Gratta e Vinci» e allora potrà finalmente comprarsi un aereo e andarsene su Giove”. Un altro Francesco, il Papa, ogni notte invia loro “scatole di biscotti e latte, e poi olio, pane, pasta”. In grazia divina i senza tetto passano le notti sui marciapiedi e negli anfratti, tra un po’ […]
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Egregio Direttore,

mentre vescovi e pretoni vivono da nababbi, come ricorda la cronaca di questi giorni, anche i senzatetto si sono evoluti: non volano più sulle scope come nel film di De Sica “Miracolo a Milano”. Ora “Francesco è convinto che uno di questi giorni vincerà tre milioni al «Gratta e Vinci» e allora potrà finalmente comprarsi un aereo e andarsene su Giove”.

Un altro Francesco, il Papa, ogni notte invia loro “scatole di biscotti e latte, e poi olio, pane, pasta”. In grazia divina i senza tetto passano le notti sui marciapiedi e negli anfratti, tra un po’ passerà la morte per la mietitura invernale. In costante crescita, sono il prodotto più genuino della politica ufficiale dei padroni, dei loro partiti, di Renzi e di mafia capitale. Non c’è sindaco, commissario o prefetto che si occupi seriamente di loro.

Allego un articolo del Corriere della sera. Saluti da un lettore.

 

Il mucchio di stracci e di coperte tarlate e unte, si muove. Spunta una mano tremante che sposta la scatola di cartone e, lateralmente alla scatola di cartone, compare il volto assonnato di un uomo. «Scusi, che ora è?», domanda con naturalezza e un lieve accento calabrese. Sono le 3. «Ah… allora un altro paio d’ore posso ancora dormire». Ha la pelle olivastra e un sorriso mite, odontoiatria anni sessanta, capsule metalliche e ponti tenuti da ganci: fa ciao con la mano e, come una tartaruga, ritrae la testa dentro lo scatolone, riparandosi dal riverbero giallo dei lampioni che illuminano questo porticato e la targa in ottone su cui è scritto: «Sala Stampa della Santa Sede».

Altre sette persone giacciono una accanto all’altra. È possibile intuire che si tratti di uomini. Ma colpisce che vicino all’ultimo giaciglio ci siano due grossi orsacchiotti di peluche marrone.
I peluche e poi, in successione, in fondo al porticato, si staglia nella notte la magnificenza della piazza di San Pietro, dove il prossimo 8 dicembre si aprirà il Giubileo straordinario che papa Francesco ha voluto con un tema centrale forte e attuale: la Misericordia. Proprio ciò che sembra chiedere questa popolazione cenciosa e disperata, venuta ad accamparsi intorno e addirittura dentro lo Stato Pontificio.

Il Santo Padre però sa, è a conoscenza di questi fantasmi che, al sorgere del sole, raccoglieranno i loro fagotti e spariranno. E così spedisce spesso qui il suo elemosiniere, l’arcivescovo Konrad Krajewski. Egli arriva con il suo furgone e, aiutato dai volontari della Guardia Svizzera Vaticana, distribuisce scatole di biscotti e latte, e poi olio, pane, pasta.

Non solo: laggiù, in via dei Penitenziari, lo scorso 7 ottobre è stato inaugurato, sempre per volontà di papa Francesco, anche un dormitorio, che può ospitare fino a 34 uomini, e che è gestito dalla suore di Madre Teresa. Chi non entra, resta fuori. Con il fotografo Claudio Guaitoli e il cameraman Emanuel Paliotta andiamo a fare un giro di perlustrazione dentro il Colonnato del Bernini e il tassista che ci vede muovere – il gomito appoggiato sul tettuccio della sua Fiat Cinquecento, un tono tra il rassegnato e l’amareggiato – commenta: «Troverete decine di fagotti immobili. Dormono ovunque qui e dormono ovunque anche nelle strade e dentro le altre piazze di Roma. Pure lì, su via della Conciliazione… Guardate bene…». È vero: in via della Conciliazione, sotto le panchine di marmo, altri poveri, altri senzatetto: mentre su, negli attici giganteschi – per citare la metafora usata da papa Francesco in queste tremende ore di corvi e di sospetti – è lecito immaginare ronfino i faraoni. Sono le 3 e mezza. È l’orario giusto, ci ha detto Augusto D’Angelo della Comunità di Sant’Egidio, per avere un colpo d’occhio completo su questo gigantesco accampamento a cielo aperto che è diventata la notte della Capitale d’Italia.D’Angelo e gli altri volontari li abbiamo incontrati alle 21, davanti all’ingresso principale della stazione Termini. Distribuivano panini e frutta. Ma anche parole d’affetto, strette di mano, carezze. Sugli appunti restano parole così. Costantino, un disabile poliomelitico, dice che si sente meglio e che se continuano queste temperature miti, sarà un buon inverno. Adina, un’anziana signora di origini marocchine, ha gradito molto le polpette di carne, che aspettava dal mattino, da quando s’è svegliata. Francesco è convinto che uno di questi giorni vincerà tre milioni al «Gratta e Vinci» e allora potrà finalmente comprarsi un aereo e andarsene su Giove. Solitudine, follia, disperazione. La popolazione è complessa: oltre ai tradizionali barboni, ci sono immigrati sbandati e i nuovi poveri italiani come Sergio, che faceva il ragioniere in una piccola azienda, una vita non agiata ma una vita, finché poi ha perso il lavoro, ha divorziato e allora è venuto giù tutto. «Per favore, dica al cameraman di non riprendermi… Non voglio che mia figlia sappia che mangio e dormo qui». Molti di loro, compresi i volontari della Comunità di Sant’Egidio, hanno paura che, nelle prossime settimane, possa finire come alla vigilia dell’ultimo Giubileo, nel Duemila: «Per dare un’immagine decorosa della città, ci fecero allontanare dal centro».

Stavolta sarà dura. Sono almeno ottomila le persone che dormono all’aperto. E sono ovunque.

In via Marsala ne abbiamo contate venticinque. I giardini di Colle Oppio, a giudicare dal movimento di ombre tra gli alberi e i cespugli, e dal confluire continuo di persone con fogli di cartone sotto al braccio, sono popolati come un piccolo villaggio. Alle 4, poco più giù, in via dei Fori Imperiali, ecco un povero disgraziato steso sul marciapiede. Più avanti, risalendo via Miranda, una stradina pensile tra le più suggestive del pianeta – la via Sacra a pochi metri, laggiù il Colosseo e, voltando lo sguardo tra le tenebre, il Foro Romano – ecco addirittura una sorta di bivacco.
In tre sono rannicchiati sotto il celebre balcone di Palazzo Venezia e altri due, a cento passi, sotto le insegne della Cassa di Risparmio di Ferrara. Piazza San Silvestro: ne contiamo tre e un altro arriva spingendo una carrozzina colma di vettovaglie. A duecento metri, le vie più eleganti e, giusto all’angolo tra via Belsiana e via dei Condotti, c’è un tipo barbuto seduto in cima a una piccola scalinata: lentamente, con gesti di spontanea eleganza, s’infila prima i calzini di lana, e poi lo zuccotto. Leggero inchino della testa. «Con il vostro permesso… Buonanotte, signori». Troppo pericoloso scendere le scalette del Lungotevere. Il buio è fitto. Troppo facile andarli a cercare a Ponte Sisto (lì, dormono anche di giorno). Poi, dietro Palazzo Borghese, quello che genialmente s’è creato una specie di monolocale: una tendina e, davanti, per proteggere la sua privacy, due grossi vasi di fiori.Cinque ore in giro e abbiamo dovuto ignorare le grandi periferie e tutte le altre stazioni ferroviarie: Ostiense, Tiburtina, Trastevere. Tra una sosta e un appostamento, è stata sorprendente anche la lettura di questa piccola guida pubblicata dalla Comunità di Sant’Egidio, con gli indirizzi per i senzatetto su dove poter mangiare e dormire – non casuale il soprannome di «Michelin dei poveri» – una lettura che fornisce la sensazione d’una rete importante di sostegno tra associazioni, volontari, diaconi e suore, e però anche un dato che toglie il fiato: su 334 parrocchie, solo due sono organizzate per ospitare i senzatetto. Sono le 5, non c’è altro. A parte una sensazione come di rimorso, di imbarazzo, perché abbiamo un letto caldo che ci aspetta.

Il Santo Padre però sa, è a conoscenza di questi fantasmi che, al sorgere del sole, raccoglieranno i loro fagotti e spariranno. E così spedisce spesso qui il suo elemosiniere, l’arcivescovo Konrad Krajewski. Egli arriva con il suo furgone e, aiutato dai volontari della Guardia Svizzera Vaticana, distribuisce scatole di biscotti e latte, e poi olio, pane, pasta.

Non solo: laggiù, in via dei Penitenziari, lo scorso 7 ottobre è stato inaugurato, sempre per volontà di papa Francesco, anche un dormitorio, che può ospitare fino a 34 uomini, e che è gestito dalla suore di Madre Teresa. Chi non entra, resta fuori. Con il fotografo Claudio Guaitoli e il cameraman Emanuel Paliotta andiamo a fare un giro di perlustrazione dentro il Colonnato del Bernini e il tassista che ci vede muovere – il gomito appoggiato sul tettuccio della sua Fiat Cinquecento, un tono tra il rassegnato e l’amareggiato – commenta: «Troverete decine di fagotti immobili. Dormono ovunque qui e dormono ovunque anche nelle strade e dentro le altre piazze di Roma. Pure lì, su via della Conciliazione… Guardate bene…». È vero: in via della Conciliazione, sotto le panchine di marmo, altri poveri, altri senzatetto: mentre su, negli attici giganteschi – per citare la metafora usata da papa Francesco in queste tremende ore di corvi e di sospetti – è lecito immaginare ronfino i faraoni. Sono le 3 e mezza. È l’orario giusto, ci ha detto Augusto D’Angelo della Comunità di Sant’Egidio, per avere un colpo d’occhio completo su questo gigantesco accampamento a cielo aperto che è diventata la notte della Capitale d’Italia.

D’Angelo e gli altri volontari li abbiamo incontrati alle 21, davanti all’ingresso principale della stazione Termini. Distribuivano panini e frutta. Ma anche parole d’affetto, strette di mano, carezze. Sugli appunti restano parole così.

Costantino, un disabile poliomelitico, dice che si sente meglio e che se continuano queste temperature miti, sarà un buon inverno. Adina, un’anziana signora di origini marocchine, ha gradito molto le polpette di carne, che aspettava dal mattino, da quando s’è svegliata.

Francesco è convinto che uno di questi giorni vincerà tre milioni al «Gratta e Vinci» e allora potrà finalmente comprarsi un aereo e andarsene su Giove.

Solitudine, follia, disperazione. La popolazione è complessa: oltre ai tradizionali barboni, ci sono immigrati sbandati e i nuovi poveri italiani come Sergio, che faceva il ragioniere in una piccola azienda, una vita non agiata ma una vita, finché poi ha perso il lavoro, ha divorziato e allora è venuto giù tutto. «Per favore, dica al cameraman di non riprendermi… Non voglio che mia figlia sappia che mangio e dormo qui».

Molti di loro, compresi i volontari della Comunità di Sant’Egidio, hanno paura che, nelle prossime settimane, possa finire come alla vigilia dell’ultimo Giubileo, nel Duemila: «Per dare un’immagine decorosa della città, ci fecero allontanare dal centro».
Stavolta sarà dura. Sono almeno ottomila le persone che dormono all’aperto. E sono ovunque.
In via Marsala ne abbiamo contate venticinque. I giardini di Colle Oppio, a giudicare dal movimento di ombre tra gli alberi e i cespugli, e dal confluire continuo di persone con fogli di cartone sotto al braccio, sono popolati come un piccolo villaggio. Alle 4, poco più giù, in via dei Fori Imperiali, ecco un povero disgraziato steso sul marciapiede. Più avanti, risalendo via Miranda, una stradina pensile tra le più suggestive del pianeta – la via Sacra a pochi metri, laggiù il Colosseo e, voltando lo sguardo tra le tenebre, il Foro Romano – ecco addirittura una sorta di bivacco.

In tre sono rannicchiati sotto il celebre balcone di Palazzo Venezia e altri due, a cento passi, sotto le insegne della Cassa di Risparmio di Ferrara. Piazza San Silvestro: ne contiamo tre e un altro arriva spingendo una carrozzina colma di vettovaglie. A duecento metri, le vie più eleganti e, giusto all’angolo tra via Belsiana e via dei Condotti, c’è un tipo barbuto seduto in cima a una piccola scalinata: lentamente, con gesti di spontanea eleganza, s’infila prima i calzini di lana, e poi lo zuccotto. Leggero inchino della testa. «Con il vostro permesso… Buonanotte, signori».

Troppo pericoloso scendere le scalette del Lungotevere. Il buio è fitto. Troppo facile andarli a cercare a Ponte Sisto (lì, dormono anche di giorno). Poi, dietro Palazzo Borghese, quello che genialmente s’è creato una specie di monolocale: una tendina e, davanti, per proteggere la sua privacy, due grossi vasi di fiori.

Cinque ore in giro e abbiamo dovuto ignorare le grandi periferie e tutte le altre stazioni ferroviarie: Ostiense, Tiburtina, Trastevere. Tra una sosta e un appostamento, è stata sorprendente anche la lettura di questa piccola guida pubblicata dalla Comunità di Sant’Egidio, con gli indirizzi per i senzatetto su dove poter mangiare e dormire – non casuale il soprannome di «Michelin dei poveri» – una lettura che fornisce la sensazione d’una rete importante di sostegno tra associazioni, volontari, diaconi e suore, e però anche un dato che toglie il fiato: su 334 parrocchie, solo due sono organizzate per ospitare i senzatetto. Sono le 5, non c’è altro. A parte una sensazione come di rimorso, di imbarazzo, perché abbiamo un letto caldo che ci aspetta.

 

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