L’industria cinese per il terzo mese in contrazione

Redazione, Quest’estate l’economia cinese fece tremare il resto del mondo. Tutti, Renzi in testa, asserivano che la crisi fosse finita (e asseriscono tuttora). I dati cinesi dimostravano il contrario poiché anche le merci cinesi non trovavano più acquirenti, ingolfavano i mercati, la sovrapproduzione generale era giunta a colpire nuovamente (dopo il 2009) anche le fabbriche cinesi che producono merci per tutto il mondo. Le borse cinesi non poterono che prenderne atto e crollarono ripetutamente in agosto. Ovunque, con la crisi della Cina, si tornò a parlare di crisi generale. Ma, pur di nascondere sotto il tappeto l’incredibile male che […]
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Redazione,

Quest’estate l’economia cinese fece tremare il resto del mondo. Tutti, Renzi in testa, asserivano che la crisi fosse finita (e asseriscono tuttora). I dati cinesi dimostravano il contrario poiché anche le merci cinesi non trovavano più acquirenti, ingolfavano i mercati, la sovrapproduzione generale era giunta a colpire nuovamente (dopo il 2009) anche le fabbriche cinesi che producono merci per tutto il mondo. Le borse cinesi non poterono che prenderne atto e crollarono ripetutamente in agosto. Ovunque, con la crisi della Cina, si tornò a parlare di crisi generale.

Ma, pur di nascondere sotto il tappeto l’incredibile male che attanaglia dal 2007 la società capitalista, nel giro di breve i riflettori sui dati della Cina si spensero. Meglio non parlarne, la Cina è lontana, forse non è vero che la produzione cinese è collegata ai nostri mercati. La Grande Crisi viene rimpallata tra un paese e l’altro e i guai odierni della Cina sono pur sempre i guai di un temibile concorrente capitalistico, i padroni italiani potrebbero persino avvantaggiarsene.

Ma i dati dalla Cina hanno continuato a mostrare la triste verità: la produzione manifatturiera continua a diminuire. Di ieri la ulteriore conferma con l’indice PMI (Purchasing Managers’ Index) cinese che anche a ottobre è sotto 50, lo è da 3 mesi di fila. Per i non addetti ai lavori il PMI è un indice statistico degli “esperti economici” che tiene conto di nuovi ordini, scorte di magazzino, consegne dei fornitori, e occupazione. Un valore sotto 50 significa che le fabbriche sono in contrazione, hanno prodotto meno del mese precedente. Già quando è sopra 50 non è detto che garantisca i margini di profitto che servono al capitale per continuare a produrre, figuriamoci se sta sotto.

I governanti cinesi questa estate, in piena bufera borsistica, si sono mobilitati, andando prontamente in soccorso ai padroni cinesi. Hanno abbassato i tassi di interesse 5 volte consecutivamente, e svalutato la moneta per favorire le esportazioni. Non è servito a nulla, il PMI di ottobre appena pubblicato certifica che la produzione in Cina non smette di rallentare. Usando il sistema del credito e la leva monetaria speravano in un ulteriore rilancio delle esportazioni. Ma vuoi che i consumatori occidentali sono rovinati, vuoi che anche gli altri produttori internazionali rosicchiano quote di mercato, anche quelle manovre sono ormai superate. Ora forse i governanti cinesi si spingeranno verso più aggressivi interventi, ma ulteriori svalutazioni dello yuan non potranno che inasprire i già tesi rapporti commerciali con Usa ed Europa, ma anche con gli altri vicini concorrenti asiatici. E le tensioni commerciali nell’area ormai si mischiano pericolosamente, forse sono già un tutt’uno, a quelle militari.

R.P.

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