Baratto amministrativo

Milano, cinica rapina ai danni di chi non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena Il 24 settembre, il Comune di Milano ha approvato una delibera che introduce il «baratto amministrativo». In poche parole, i cittadini morosi nel pagamento di tasse, multe e rette comunali potranno sanare le loro pendenze con lavori socialmente utili, come cura del verde e pulizia delle strade e tante altre incombenze in cui si scatenerà la fantasia dei pubblici amministratori[1]. I soliti gonzi plaudenti hanno esaltato l’iniziativa e, ammantandola di uno spirito civico del tutto fuori luogo, la propongono come esempio a livello […]
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Milano, cinica rapina ai danni di chi non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena

Il 24 settembre, il Comune di Milano ha approvato una delibera che introduce il «baratto amministrativo». In poche parole, i cittadini morosi nel pagamento di tasse, multe e rette comunali potranno sanare le loro pendenze con lavori socialmente utili, come cura del verde e pulizia delle strade e tante altre incombenze in cui si scatenerà la fantasia dei pubblici amministratori[1]. I soliti gonzi plaudenti hanno esaltato l’iniziativa e, ammantandola di uno spirito civico del tutto fuori luogo, la propongono come esempio a livello nazionale[2].

A un osservatore disincantato, la furbata milanese sembra riesumare le corvée che i signorotti feudali imponevano ai loro sudditi, già fortemente spremuti. Nell’attuale realtà sociale, le corvée  presentano però delicati problemi di attuazione, visto che le città italiane non sono più i borghi medioevali. Per esempio, come monetizzare il tempo di lavoro richiesto per sanare il debito? Come decidere i lavori da fare e valutarne i risultati? Saranno istituite commissioni ad hoc? Magari con volontari del baratto? Stendiamo un velo pietoso…

Ci dobbiamo invece domandare come mai sia stata lanciata una proposta apparentemente così balzana, ma che in realtà è il frutto del perverso cinismo di chi vuole infierire contro coloro che stentano a mettere insieme il pranzo con la cena.

La polarizzazione delle risorse

Questa proposta risponde a una prospettiva sociale che è già in atto: la polarizzazione della ricchezza (o meglio delle risorse), con ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri (il cosiddetto coefficiente di Gini). È una tendenza che si è generalizzata sull’onda della crisi globale[3] e in cui l’Italia è all’avanguardia. Nell’ambito dell’Unione europea, l’Italia è tra i Paesi che registrano le maggiori disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, seconda solo al Regno Unito (grazie alla signora Thatcher & Co.) e con livelli di disparità superiori alla media dei Paesi Ocse. Non solo, cresce anche il divario tra Mezzogiorno e Centronord.

«L’Italia fa parte del gruppo dei paesi mediterranei, nei quali si evidenziano livelli di disuguaglianza abbastanza alti. La situazione italiana era molto meno disuguale negli anni Sessanta e, da metà anni Settanta, finché c’è stata la scala mobile (nel 1992 l’indice di Gini era di circa 0,27). Poi l’indice di disuguaglianza è schizzato verso l’alto, rimanendo in seguito abbastanza piatto»[4].

I dati più recenti segnalano una fase di stallo che è momentanea, poiché permangono e si aggravano le cause dello squilibrio. Secondo il Rapporto Caritas 2015 e le ultime proiezioni dell’Istat, per la prima volta dal 2007 la percentuale di persone sotto la soglia di povertà si è stabilizzata, in confronto all’anno precedente. Ma c’è poco da star allegri: rispetto all’Italia pre-recessione i poveri in senso assoluto sono più che raddoppiati[5]. Le difficoltà economiche e sociali del Bel Paese si notano soprattutto nei bilanci delle famiglie: nel 2002 la percentuale di famiglie che usavano risparmi o contraevano debiti era pari a 5. Nel 2013 tale valore ha toccato il suo massimo storico (33,5%), dato in decrescita ma ancora molto significativo (29,7% nel 2015)[6]. In poche parole, un terzo degli italiani sta raschiando il barile.

Una dignitosa miseria

Le renziane riforme del lavoro, della scuola, della sanità (alle pensioni ci ha già pensato la Fornero) non fanno altro che accrescere la sperequazione sociale, accelerando di pari passo la proletarizzazione del ceto medio «dei mestieri e delle professioni», alla cui contrazione corrisponde ormai un dilagante parassitismo sociale, rappresentato da un esercito di addetti a svariati servizi, per conto di padroni e politicanti. Tutti mantenuti dai proletari (occupati o meno).

Di fronte a un situazione in cui ci sarà sempre meno da spremere, la soluzione che si prospetta è la diffusione di una dignitosa miseria, in cui siano assicurati i servizi essenziali, grazie a un welfare miserabile e a discrezione del governante di turno che, inevitabilmente, «premierà» le proprie clientele. E così facendo, privilegia gli uni piuttosto che gli altri, attizzando la guerra tra poveri.

Comunque venga perseguito, la condicio sine qua non di questo obiettivo è la riduzione dei costi dei servizi erogati, poiché le risorse dovranno andare in misura crescente a padroni, affaristi e faccendieri nonché ai politicanti. Non si scappa. Ed è in questa prospettiva che si inserisce a pieno titolo la perversa iniziativa milanese. Ma fanno i conti senza l’oste.

Un serpente che si mangia la coda

Via via che la crisi avanza, i politicanti dimostrano di non sapere che pesci pigliare, vivono alla giornata, escogitando espedienti di corto respiro che finiscono per esacerbare le cause della crisi.

Pur nel suo piccolo, la soluzione Made in Milan esprime quell’indirizzo di politica economica oggi prevalente che sta sgretolando alle fondamenta il modello fordista perseguito per tutto il Novecento, con lo scopo di estendere il mercato capitalistico ai lavoratori (la fantomatica società dei consumi).

Nonostante gli sforzi profusi, il ritorno allo schiavismo si rivela assai problematico, se non impossibile. Oggi come oggi, vorrebbe dire privilegiare quasi esclusivamente il mercato del lusso, destinato ai ricchi. Per quanto la sua crescita sia sfrenata, il mercato del lusso non solo resta limitato in assoluto, ma soprattutto pregiudica lo stesso modo di produzione capitalistico. Le merci destinate al mercato del lusso contribuiscono in modo irrisorio alla produzione dei mezzi di produzione e dei generi di consumo di massa (per la riproduzione della forza-lavoro), su cui si basa il processo di accumulazione capitalistico. Nel mercato del lusso, come in quello delle armi (e delle grandi opere inutili e dannose), prevale il consumo improduttivo, quindi la distruzione di risorse (umane e materiali) che, sic stantibus rebus, diventa sempre più difficile ricostituire. Ma fin qui son bazzecole e quisquilie, visto che la maggior parte della ricchezza, ovvero il plusvalore (presente e futuro) estorto ai proletari, viene destinato a speculazioni finanziarie sempre più spericolate[7], foriere di immani disastri, non appena le bolle esplodono.

È un serpente che si mangia la coda.

Stando così le cose, se per la critica dell’econo-mia politica la situazione si presenta assai pericolosa, altrettanto avviene sul piano sociale, dove le tensioni crescono. Dopo aver rovinato mezzo mondo, lor signori stanno ora facendo i conti con gli inevitabili flussi migratori che oggi investono le roccaforti del capitalismo. E anche qui l’aria diventa sempre più calda.

A quando, la prossima furbata?

Dino Erba, Milano, 28 settembre 2015.

Una piccola porcheria

[1] Le modalità della delibera sono esposte in: http: //tg24.sky.it/tg24/cronaca/2015/09/25/milano-baratto-amministrativo-morosi-sblocca-italia.html/

[2] Rossella Verga, Nasce il baratto amministrativo. E paghi le tasse tagliando l’erba, «Corriere della Sera-Milano», p. 2. Giangiacomo Schiavi, Chi non può pagare multe e bollette svolgerà lavori utili. Ecco il baratto civico, «Corriere della Sera», p. 26.

[3] Per inciso, negli Stati Uniti l’indice di Gini è passato dallo 0,40 del 1997 allo 0,45 del 2007. Non ci sono successivi rilevamenti.

[4] Vedi: Barbara Bisazza, Distribuzione dei redditi, Italia seconda in Europa per disparità, «Il Sole 24Ore», 24 giugno 2013 [leggi su http://24o.it/vusq6].

[5] Povertà in aumento, la Caritas: «Il governo Renzi ha fatto più dei predecessori, ma non basta», «La Repubblica», 15 settembre 2015.

[6] Vedi: Indice di Gini e disparità di redditi in Italia. Si amplia il divario tra Nord e Sud, «Il Sole 24Ore», 29 aprile 2015.

[7] Per esempio, la massa di derivati circolante nel mondo ammonterebbe al 2013 tra i 600.000 ed i 700.000 miliardi di dolari (cifre pari a 10 volte il Pil mondiale), anche se la quantificazione reale è incerta, per la natura stessa di questi titoli. Steve Denning, Big Banks and Derivates: Why Another Financial Crisis is Inevitable, «Forbes», 1º agosto 2013.

 

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