Redazione di Operai Contro,
L’ottavo decreto “Salva Ilva”, il decreto legge 92/2015 “Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale”, pubblicato il 4 luglio 2015 sulla Gazzetta Ufficiale, certifica che per i padroni e per i loro massimi organismi politici, il governo nazionale e lo stato, la vita degli operai non ha alcuna importanza!
Per carità, nessuna sorpresa. I padroni dimostrano ogni giorno che per loro gli operai sono una merce facilmente deperibile, usa e getta. Gli operai vivono ogni giorno sulla propria pelle il rischio e la paura dell’infortunio e della morte, che spesso si traducono in dura realtà.
Ma ora c’è di più. L’ennesimo decreto “Salva Ilva”, l’ottavo in 2 anni e mezzo, mette riparo al sequestro della magistratura tarantina, senza facoltà d’uso, dell’altoforno 2 (AFO2), notificato ai Commissari Ilva, in seguito all’ennesimo gravissimo incidente avvenuto nello stabilimento siderurgico tarantino che causò la morte, lo scorso 12 giugno, di Alessandro Morricella, operaio Ilva investito dalla ghisa incandescente che si fuse e amalgamò con il suo stesso corpo.
L’art. 3 (inserito artificiosamente nel decreto sulle procedure fallimentari in discussione al Senato e sotto riportato integralmente) del decreto contiene le misure che permettono l’utilizzo ai fini produttivi dell‘altoforno posto sotto sequestro dall’autorità giudiziaria per le ipotesi di reato inerenti alla sicurezza degli operai in nome dell’“interesse strategico nazionale” della fabbrica. Inoltre specifica che l’attività d’impresa non può protrarsi per un periodo di tempo superiore a 12 mesi dall’adozione del provvedimento di sequestro, imponendo, entro 30 giorni dall’adozione del provvedimento di sequestro, un piano a cura dell’impresa recante misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio, per la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro.
I padroni se ne sono sempre strafottuti della sicurezza degli operai sui posti di lavoro. Ora il governo e lo stato lo certificano con la forza del decreto legge. Ora che l’Ilva è commissariata dallo Stato per tre anni, in attesa che venga rimessa sul mercato e venduta al miglior offerente, il governo e lo stato impongono, con la forza della legge, la preminenza dell’interesse del padrone, sia esso privato o statale, cioè il profitto, sul rispetto della vita e della salute degli operai.
Ora nell’Ilva si può per legge incappare in terribili incidenti e morire, come capitato ad Alessandro Morricella, ma tutto ciò non deve turbare la prosecuzione produttiva della fabbrica, non deve compromettere l’accumulazione di profitto da parte dei padroni.
L’ottavo decreto testimonia e conferma che gli impianti e i luoghi di lavoro nell’Ilva non sono sicuri per gli operai e che solo a seguito di incidenti mortali si potranno forse predisporre misure aggiuntive per la sicurezza dei posti di lavoro. L’attività dell’Ilva non può essere fermata dal provvedimento di sequestro per ipotesi di reato inerenti alla sicurezza degli operai. Per aspettare nuove disposizioni sulla sicurezza, senza fermare il siderurgico, dovrà necessariamente morire qualcuno! Gli operai sono costretti a diventare quindi “cavie umane” soggette agli infortuni, prima di ogni intervento aggiuntivo. E peraltro nei 30 giorni successivi alla pubblicazione del decreto non è stato apportato, a parte qualche manovra di facciata, alcun reale intervento aggiuntivo per migliorare la sicurezza degli operai.
A volerla dire con i benpensanti, l’ottavo decreto “Salva Ilva” è incostituzionale, perché viola ben 6 articoli della Costituzione tra i quali il 2 e il 4, viola sia il diritto alla vita e all’azione penale obbligatoria da parte della magistratura sia il principio che la legge è uguale per tutti. Ma i padroni, i borghesi, prima santificano la Costituzione e la legge, poi se ne fanno beffe! All’Ilva la legge formale è sospesa, è invece in vigore, smaccatamente, la legge reale, quella del profitto.
Il decreto Ilva ricorda la gestione delle fabbriche sotto il fascismo. Il fascismo esercitò, nei confronti della classe operaia, un’azione violenta fuori e dentro la fabbrica. Combinò la repressione di qualsiasi forma organizzativa operaia contraria al regime con l’annullamento di ogni diritto sul posto di lavoro. Proibì per legge lo sciopero e sempre per legge costrinse gli operai, in nome del principio della disciplina sindacale, a iscriversi a sindacati che, nominalmente investiti della funzione di rappresentarli nei confronti dei padroni e dello stato, erano in realtà puri e semplici strumenti del governo e del partito fascista: infatti il loro compito reale era legare le mani degli operai, bloccare ogni fermento, soffocare qualsiasi velleità rivendicativa. Giustificò, con le esigenze delle produzione, licenziamenti di massa e serrate padronali.
Ora, l’ottavo decreto “Salva Ilva” diventa un pericoloso precedente. Esso anticipa la possibilità che il governo intervenga direttamente, negli interessi dei padroni di turno, giustificati e contrabbandati come “interesse strategico nazionale”, sulla gestione delle fabbriche e dei conflitti di classe interni, sospendendo scioperi, bloccando salari, imponendo orari e così via. Aprendo le porte delle fabbriche a una gestione da economia di guerra. Con il pieno avallo di Fiom, Fim e Uilm, che, alla stregua dei sindacati fascisti, operano da compiacente cinghia di trasmissione degli interessi dell’Ilva fra gli operai. Tanto che quando è morto Alessandro Morricella, con la litania che ripetono a ogni incidente mortale, hanno invocato “garanzie dall’azienda altrimenti ci fermiamo”! Ora le “garanzie” le hanno ricevute!
(Art. 3 – Misure urgenti per l’esercizio dell’attività di impresa di
stabilimenti oggetto di sequestro giudiziario
1. Al fine di garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze
di continuità dell’attività produttiva, di salvaguardia
dell’occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e
dell’ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia,
l’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse
strategico nazionale non e’ impedito dal provvedimento di sequestro,
come già previsto dall’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 3
dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24
dicembre 2012, n. 231, quando lo stesso si riferisca ad ipotesi di
reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori.
2. Tenuto conto della rilevanza degli interessi in comparazione,
nell’ipotesi di cui al comma 1, l’attività d’impresa non può
protrarsi per un periodo di tempo superiore a 12 mesi dall’adozione
del provvedimento di sequestro.
3. Per la prosecuzione dell’attività degli stabilimenti di cui al
comma 1, senza soluzione di continuità, l’impresa deve predisporre,
nel termine perentorio di 30 giorni dall’adozione del provvedimento
di sequestro, un piano recante misure e attività aggiuntive, anche
di tipo provvisorio, per la tutela della sicurezza sui luoghi di
lavoro, riferite all’impianto oggetto del provvedimento di sequestro.
L’avvenuta predisposizione del piano e’ comunicata all’autorità
giudiziaria procedente.
4. Il piano e’ trasmesso al Comando provinciale dei Vigili del
fuoco, agli uffici della Asl e dell’Inail competenti per territorio
per le rispettive attività di vigilanza e controllo, che devono
garantire un costante monitoraggio delle aree di produzione oggetto
di sequestro, anche mediante lo svolgimento di ispezioni dirette a
verificare l’attuazione delle misure ed attività aggiuntive previste
nel piano. Le amministrazioni provvedono alle attività previste dal
presente comma nell’ambito delle competenze istituzionalmente
attribuite, con le risorse previste a legislazione vigente.
5. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai
provvedimenti di sequestro già adottati alla data di entrata in
vigore del presente decreto e i termini di cui ai commi 2 e 3
decorrono dalla medesima data.)
SALUTI OPERAI DALLA PUGLIA
Comments Closed