LA QUESTIONE MERIDIONALE

Redazione, quanto si parla del meridione riappare “la questione meridionale”. Renzi ha pronta l’agenda Vi riporto uno scritto dal http://www.ilportaledelsud.org/salvemini_gaetano.htm e spero che il dibattito chiarezza l’argomento Un lettore Il socialismo italiano nasce a Napoli nel 1869, quando viene aperta la prima sezione della Prima Internazionale. I primi deputati socialisti della Sinistra Estrema Democratica Radicale, furono Giuseppe Fanelli di Napoli e Saverio Friscia di Sciacca (Agrigento). Eppure poco dopo il Partito Socialista si disinteressa del Meridione, abbandonandolo alle clientele mafiose del giolittismo e della destra in generale. Il Salvemini non perdonerà mai questa scelta. La lotta della sinistra porta a […]
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Redazione,

quanto si parla del meridione riappare “la questione meridionale”.

Renzi ha pronta l’agenda

Vi riporto uno scritto dal http://www.ilportaledelsud.org/salvemini_gaetano.htm

e spero che il dibattito chiarezza l’argomento

Un lettore

Il socialismo italiano nasce a Napoli nel 1869, quando viene aperta la prima sezione della Prima Internazionale. I primi deputati socialisti della Sinistra Estrema Democratica Radicale, furono Giuseppe Fanelli di Napoli e Saverio Friscia di Sciacca (Agrigento). Eppure poco dopo il Partito Socialista si disinteressa del Meridione, abbandonandolo alle clientele mafiose del giolittismo e della destra in generale. Il Salvemini non perdonerà mai questa scelta. La lotta della sinistra porta a miglioramenti sociali, ma solo agli operai delle industrie ed alle organizzazioni agricole della zona del nord. I contadini ed i proletari del sud rimangono invece estranei alla lotta per l’emancipazione, privi di formazione ed informazione, in balia delle mafie, dei latifondisti e di un clericalismo pagano e superstizioso, troppo spesso asservito alla reazione ed alla conservazione.

Al sud non sono scaturite le rivendicazioni economiche di classe, perché mancano i requisiti minimi di autocoscienza dei propri diritti. Il Sud ha ancora un’organizzazione sociale arcaica, le spinte di metà Ottocento sono disperse da tempo, milioni di persone sono emigrate, la classe media è tra le più conservatrici d’Europa, preoccupata solo di incrementare i privilegi dovuti (per grazia divina?) ai “signori” ed alle “persone per bene”. L’ottimo è il vivere di rendita, possibilmente ereditata. L’erudizione è spesso un puro e narcisistico esercizio di retorica, la comunicazione non è basata sulla dialettica, bensì ridotta a scambio di battute sagaci, di motti e proverbi, vuota di contenuti. Ciascuno si sente depositario di verità assoluta. La condotta della propria esistenza non è basata sull’etica, ma su di un cinico opportunismo, spesso spacciato per fatalismo. È nel sud, secondo Salvemini che il socialismo è più necessario, è lì che il Partito dovrebbe assumersi la responsabilità storica del proletariato meridionale, che resta alla fame più nera, inerme ed impossibilitato a reagire a qualsiasi forma di sopruso e violenza, stretto com’è nella morsa dell’ignoranza e della sottomissione. Uno stato di cose che avrebbe richiesto il massimo impegno di cambiamento da parte del Partito Socialista, che invece concentra tutti le lotte al Nord.

Dallo studio del Salvemini meridionalista, risulta evidente la sua matrice culturale marxista per l’attenzione che dedica alla evoluzione storica della società meridionale: secondo il Salvemini le cause dell’arretratezza del Sud sono storico-politiche e affondano al periodo delle guerre tra Angioini ed Aragonesi, durate complessivamente due secoli e mezzo (dalla seconda metà del 1200 agli inizi del 1500), tra alterne vicende descritte in varie monografie presenti nel sito. A tali eventi seguirono altri due secoli di sfruttamento spagnolo. Il risultato fu deleterio: la prevalenza della nobiltà feudale, che però non seppe mai andare al di là della difesa della rendite, né esprimere un re; lo spopolamento delle campagne, ed il sovraffollamento di Napoli; la riduzione delle classi sociali più umili a strumento di mantenimento del parassitismo della nobiltà. Il pauperismo si radica profondamente, la disperazione diventa stile di vita ereditario, la dignità un’illustre sconosciuta. Nasce il popolino che sopravvive grazie alle mance ed ai favoritismi, al tozzo di pane che ottiene supplicando o rubacchiando. I contadini delle campagne sono come degli schiavi. La dignità e il bene della comunità sono concetti del tutto assenti, di cui si ignora l’esistenza. La classe intermedia è sottile ed arroccata, allo stesso tempo servile e cinica, sogna a sua volta la rendita ed ad un titolo qualsiasi. Il clero detiene la cultura ed amministra le credenze popolari, usando queste prerogative principalmente per il mantenimento dello status quo.

La questione meridionale, che è questione economico-sociale, è il frutto avvelenato di secoli di sfruttamento. Il Salvemini critica giustamente il cosiddetto meridionalismo liberale, secondo il quale i mali del sud trovano soluzione nel buon governo, non avvedendosi che nel sud il governo continua ad essere interpretato come corpo estraneo, di volta in volta deus ex machina o gravoso impositore o assassino ed incarceratore dei figli. Per Salvemini è necessario che propedeuticamente delle forze socialiste agiscano per emancipare la popolazione. Le destre fondano il potere sull’alleanza di fatto istauratasi tra borghesia industriale del Nord e latifondisti del Sud, che vengono premiati con posti di potere nelle istituzioni nazionali. I latifondisti a loro volta favoriscono la piccola borghesia elargendo posti nelle istituzioni locali. È evidente come lo Stato, in questo sistema di destra, non può svolgere alcuna funzione riformatrice. Garantisce semplicemente alle classi dominanti una fiscalità vantaggiosa e la repressione di ogni ribellione delle classi subalterne. La destra, liberale o populista, è quindi intrinsecamente antimeridionale. Ed è anche, come dimostra la storia, dannosa all’intera nazione, giacché il parassitismo meridionale di cui si nutre compromette le possibilità delle riforme in tutto il Paese.

È in tale contesto di analisi materialistica che il Salvemini individua nel suffragio universale e nel decentramento istituzionale alcuni degli strumenti indispensabili per l’educazione civile e democratica delle classi subalterne. I meridionali non dovranno più guardare alla politica come fonte di guai o, a seconda del vento, di favori, bensì appropriarsi della cittadinanza e comprendere che l’uguaglianza, il socialismo ed il benessere comune sono gli unici valori di riferimento per cominciare il cammino del riscatto del Sud. Salvemini vorrebbe che il Partito Socialista imprimesse al proletariato rurale del meridione un ruolo da protagonista nella lotta di classe. Il prevalere della linea politica di Turati porterà, come già detto, il Salvemini ad abbandonare il Partito. Dopo il periodo fascista e l’esilio, Salvemini si dissocerà dall’idea federalista, avendo notato che il clientelismo e la corruzione amministrativa locale siano aggravati dalla cessazione della sorveglianza centrale.

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