BRACCIANTI MORTI DI FATICA

dalla Repubblica Il terzo bracciante a crollare per la fatica e per il caldo si chiamava Zaccaria, era tunisino e doveva mantenere 4 figli. Si è sentito male martedì 3 agosto in tarda mattinata alla fine del turno di lavoro nei campi dove caricava cassette di uva. Si trovava a Polignano a Mare. A differenza di Paola, la raccoglitrice di uva stroncata da un infarto alla fine di una lunga giornata di lavoro, sul corpo di Zaccaria, 52 anni, verrà eseguita l’autopsia. La Procura di Bari vuole capire se la morte sia stata conseguenza di un infortunio sul lavoro, […]
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dalla Repubblica

Il terzo bracciante a crollare per la fatica e per il caldo si chiamava Zaccaria, era tunisino e doveva mantenere 4 figli. Si è sentito male martedì 3 agosto in tarda mattinata alla fine del turno di lavoro nei campi dove caricava cassette di uva. Si trovava a Polignano a Mare.

A differenza di Paola, la raccoglitrice di uva stroncata da un infarto alla fine di una lunga giornata di lavoro, sul corpo di Zaccaria, 52 anni, verrà eseguita l’autopsia. La Procura di Bari vuole capire se la morte sia stata conseguenza di un infortunio sul lavoro, un approfondimento di indagine che nel caso della bracciante italiana non c’era stato.

La storia di Paola, infatti, è emersa soltanto grazie al lavoro dei cronisti e della Flai-Cgil pugliese che hanno raccontato l’ultima giornata di questa donna di San Giorgio Jonico, madre di 3 figli, che quotidianamente si alzava nel cuore della notte per raggiungere le campagne di Andria dove era impegnata nella acinellatura dell’uva, un lavoro massacrante eseguito sotto un tendono dove la temperatura può raggiungere in questo periodo i 40 gradi. Un lavoro che però viene pagato molto poco, circa 30 euro a giornata nonostante il contratto nazionale stabilisca che siano almeno 52.

“Paola ha fatto 15 anni di duro lavoro nei campi – dice ancora Deleonardis, responsabile Flai-Cgil regionale – dall’alba fino a quando fa buio. Si alzava alle 2 di notte a San Giorgio Jonico, in provincia di Taranto, arrivava sui campi di Andria alle 5, rientrando nel primo pomeriggio a casa, dopo circa cinque ore di viaggio fra andata e ritorno”. Le accuse lanciate dalla Cgil sono pesantissime: sembra che in ospedale non sia mai arrivata. Il carro funebre l’ha portata direttamente dal campo di lavoro alla cella frigorifera del cimitero di Andria, dove il marito e i figli l’hanno trovata.

Paola è deceduta il 13 luglio, e prima di lei è toccato a Mohammed, sudanese di 47 anni, crollato a terra sotto il sole cocente mentre raccoglieva pomodori nella campagna tra Nardò e Avetrana. “Li fanno vivere peggio delle bestie. Mio marito dormiva su un materasso poggiato su un balcone, in mezzo alla sporcizia: se l’avessi saputo, non l’avrei mai lasciato venire qui”, ha dichiarato la moglie a Repubblica Bari. Il proprietario dell’azienda agricola dove era impiegato Mohammed è ora indagato per omicidio colposo insieme a un altro dipendente e a un uomo sospettato di essere il caporale.

Il caporalato – o intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro – è diventato reato nel 2011 dopo il reportage giornalistico di Fabrizio Gatti, che si era finto raccoglitore di verdura nei campi pugliesi, e dopo uno sciopero degli stessi braccianti agricoli stranieri a Nardò. Le associazioni che difendono i diritti dei migranti hanno spesso criticato la norma poiché non prevede tutele per lo straniero senza documenti che eventualmente decide di denunciare.

Negli ultimi mesi è emerso che i caporali preferiscono le donne italiane agli uomini stranieri, poiché i secondi ormai si ribellano quando le condizioni di lavoro diventano molto pesanti. E nonostante a Lecce sia entrato nel vivo un processo contro il caporalato, il fenomeno è ancora esteso, vivo e vegeto:

L’inchiesta sulla morte di Mohamed, il sudanese di 47 anni deceduto mentre lavorava in un’azienda agricola, ha riportato alla luce l’esistenza di un’organizzazione criminale viva e vegeta. Che nel 2012 ha traballato grazie all’operazione Sabr (che portò in carcere 22 persone accusate di riduzione in schiavitù) e oggi è più solida che mai. Al punto da poter disporre delle case abbandonate nelle campagne fra Copertino, Nardò, Galatone, Porto Cesareo – e poi su, verso Avetrana – a proprio piacimento. Con il placet dei proprietari, che hanno più paura di mettersi contro i “capi neri” che di infrangere la legge italiana.

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