Elezioni in Turchia

Redazione di Operai Contro dai dati che giungono dalla Turchia il fenomeno dell’astensionismo in Turchia non c’è. Alle ultime elezioni l’affluenza alle urne è stata alta, l’86,49%, quasi 47 milioni di elettori sui 54 milioni di aventi diritto. In massa i turchi si sono recati alle urne in quello che ormai era diventato una specie di referendum contro il governo controllato dall’Akp di Erdogan. Se avesse ottenuto il 60% dei voti, ovvero la maggioranza assoluta di 330 su 550 seggi, avrebbe cambiato la costituzione per avere pieni poteri in una repubblica presidenziale. Ha invece perso quasi 5 milioni di […]
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Redazione di Operai Contro

dai dati che giungono dalla Turchia il fenomeno dell’astensionismo in Turchia non c’è. Alle ultime elezioni l’affluenza alle urne è stata alta, l’86,49%, quasi 47 milioni di elettori sui 54 milioni di aventi diritto. In massa i turchi si sono recati alle urne in quello che ormai era diventato una specie di referendum contro il governo controllato dall’Akp di Erdogan. Se avesse ottenuto il 60% dei voti, ovvero la maggioranza assoluta di 330 su 550 seggi, avrebbe cambiato la costituzione per avere pieni poteri in una repubblica presidenziale. Ha invece perso quasi 5 milioni di voti rispetto alle scorse politiche del 2011, passando dal 50 al 40%, nonostante il controllo quasi assoluto della stampa e dei media.

L’affermazione del partito curdo Hdp con il 13% di voti (6 milioni di votanti) e circa 80 deputati, raccogliendo voti da un variegato mondo dell’opposizione, ha per il momento stoppato gli obbiettivi della reazione in Turchia.

Le elezioni di domenica scorsa si sono svolte in un clima da noi inimmaginabile: bombe ai comizi che hanno fatto 4 morti e centinaia di feriti; rappresentanti dell’Hdp picchiati dai rappresentanti di lista dei nazionalisti dell’Mhp, i Lupi Grigi; attacchi con mazze, bastoni e lancio di pietre ad Urfa, nel sudest del Paese. Il terrorismo reazionario non ha raggiunto gli obbiettivi e persino i feriti gravi si sono recati alle urne.

L’Hdp ha superato l’alto sbarramento del 10%, ma soprattutto ha raccolto oltre al voto dei curdi, quello di omosessuali, dei manifestanti delle proteste di Gezi Park. E probabilmente di parte degli operai meccanici al centro delle lotte dei mesi scorsi e di queste ultime settimane. Non ancora l’affermazione di un proprio partito operaio indipendente, ma una sorta di alleanza con altri settori della società contro un governo che non si è certo risparmiato nell’uso della forza brutale contro qualsiasi protesta e lotta degli operai, degli studenti e dei diseredati che la crisi ha prodotto.

I giornali parlano anche per l’Hdp turco di un fenomeno tipo Podemos in Spagna o Syriza in Grecia, in cui il ruolo principale lo svolge la piccola borghesia immiserita dalla crisi. Può essere. Ci sembra però che dimentichino, d’altra parte non un minuto gli hanno dedicato nei Tg, gli operai turchi. Con i loro scioperi caratterizzati da rivendicazioni, anche contro i sindacati collaborazionisti con il governo e l’esercito che possiedono il 51% delle fabbriche in lotta, sono scesi direttamente nell’agone politico. Non tarderanno a richiedere risposte alla politica turca con le peculiarità di una classe oggettivamente antagonista. La Turchia, va ricordato, negli ultimi 10 anni si è proiettata, con un potente sviluppo industriale, tra tra le prime 16 economie mondiali.

R.P.

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