Il potere governativo operaio

All’alba del 18 marzo, Parigi fu svegliata da un colpo di tuono: “Vive la Commune!”. Che cos’è la Comune, questa sfinge che tanto tormenta lo spirito dei borghesi? “I proletari di Parigi,” diceva il Comitato centrale nel suo manifesto del 18 marzo, “in mezzo alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è suonata l’ora in cui essi debbono salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione dei pubblici affari… Essi hanno compreso che è loro imperioso dovere e loro diritto assoluto di rendersi padroni dei loro destini, impossessandosi del potere governativo.” Così inizia Marx […]
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All’alba del 18 marzo, Parigi fu svegliata da un colpo di tuono: “Vive la Commune!”. Che cos’è la Comune, questa sfinge che tanto tormenta lo spirito dei borghesi?

“I proletari di Parigi,” diceva il Comitato centrale nel suo manifesto del 18 marzo, “in mezzo alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è suonata l’ora in cui essi debbono salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione dei pubblici affari… Essi hanno compreso che è loro imperioso dovere e loro diritto assoluto di rendersi padroni dei loro destini, impossessandosi del potere governativo.”

Così inizia Marx il terzo capitolo dell’ “Indirizzo del Consiglio Generale dell’Associazione Internazionale degli Operai sulla guerra civile in Francia. A tutti i membri dell’Associazione in Europa e Stati Uniti, Londra, 1871”. Una cinquantina di pagine finite di scrivere il 30 maggio del 1871 per conto dell’Internazionale Operaia, subito dopo la tragica fine del primo tentativo operaio di “potere governativo”, divenute note in seguito, come “La guerra civile in Francia” (alleghiamo, per ulteriore approfondimento, ampi stralci dove Marx delinea la connotazione di classe delle decisioni assunte dalla Comune).

La Comune durò poco, dal 18 marzo al 28 maggio, fu schiacciata nel sangue con una ferocia da parte della borghesia che conviene agli operai non dimenticare. Ma in quel breve periodo, addirittura pochi giorni, di fronte “alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti”, gli operai, “impossessandosi del potere governativo”, non ebbero dubbi su cosa dovevano legiferare per i cittadini di Parigi e delle città francesi che a loro volta si riconoscevano nella Comune. Il confronto con l’oggi fa impressione, sia sui tempi che sui modi con cui i governi attuali, anche quelli alla Renzi, che dicono di voler affrontare con “decisione e rapidità” corruzione, malaffare, sfascio sociale ed economico e in generale i problemi dei cittadini, degli operai. Dei ciarlatani in palese malafede.

Riportiamo la cronologia che Engels fa di quei pochi mesi di “governo operaio”.

Il 26 marzo fu eletta e il 28 proclamata la Comune di Parigi. Il Comitato centrale della Guardia nazionale, che fino ad allora [dal 18 marzo, ndr] si era fatto carico del governo, dette le sue dimissioni alla Guardia nazionale stessa, dopo aver decretato la soppressione della scandalosa “polizia dei costumi” di Parigi. Il 30 marzo la Comune abolì la coscrizione e l’esercito permanente e proclamò che la Guardia nazionale, nella quale dovevano arruolarsi tutti i cittadini atti alle armi, sarebbe stata la sola forza armata. Essa dichiarò una moratoria di tutte le pigioni per le case di abitazione dall’ottobre 1870 fino all’aprile, stabilendo che gli affitti già pagati si dovessero computare in acconto delle pigioni future; e sospese ogni vendita di oggetti impegnati al Monte di pietà. Lo stesso giorno gli stranieri eletti a far parte della Comune furono confermati nella loro carica, perché “la bandiera della Comune è la bandiera della repubblica mondiale”.

Il primo aprile venne deciso che lo stipendio più elevato di un impiegato della Comune, compreso dunque quello dei suoi stessi membri, non dovesse superare 6.000 franchi. Il giorno seguente la Comune decretò la separazione della Chiesa dallo Stato e l’abrogazione di tutti i versamenti dello Stato a scopi religiosi, come pure la trasformazione di tutti i beni ecclesiastici in patrimonio nazionale; in seguito a ciò l’8 aprile fu deciso di dare il bando dalle scuole a tutti i simboli religiosi, immagini, dogmi, preghiere, insomma a “tutto ciò che appartiene al campo della coscienza individuale”, e la misura venne a poco a poco applicata. Il giorno 5, in risposta alle fucilazioni, che si rinnovavano ogni giorno, dei combattenti della Comune fatti prigionieri dalle truppe di Versailles, fu emanato un decreto circa l’arresto di ostaggi, ma non venne mai eseguito. Il 6 fu tirata fuori la ghigliottina con l’aiuto del 137° battaglione della Guardia nazionale, e bruciata in pubblico tra alte grida di giubilo popolare. Il 12 la Comune decise di abbattere la colonna della vittoria di Piazza Vendôme, fusa dopo la guerra del 1809 con i cannoni presi da Napoleone, ed eretta come simbolo dello sciovinismo e dell’odio tra i popoli. La cosa venne fatta il 16 maggio. Il 16 aprile la Comune ordinò una statistica delle fabbriche lasciate inoperose dagli industriali, e la elaborazione di progetti per l’esercizio di queste fabbriche a mezzo degli operai fino allora occupati in esse, da riunirsi ora in società cooperative, e per l’organizzazione di queste società in una grande unione. Il 20 essa abolì il lavoro notturno dei fornai, come pure la registrazione degli operai esercitata a partire dal Secondo Impero esclusivamente per mezzo di soggetti nominati dalla polizia, autentici sfruttatori degli operai. La registrazione venne affidata ai municipi dei venti mandamenti di Parigi.

Il 30 aprile ordinò l’abolizione delle case di pegno, che non erano se non uno sfruttamento privato degli operai, in contraddizione col diritto degli operai ai loro strumenti di lavoro e al credito. Il 5 maggio decretò la demolizione della cappella espiatoria costruita in ammenda della esecuzione capitale di Luigi XVI.

Così a partire dal 18 marzo balza fuori preciso e netto quel carattere di classe del movimento parigino, che fino allora era stato respinto nella penombra dalla lotta contro l’invasione straniera. Come nella Comune vi erano quasi solo operai o rappresentanti riconosciuti degli operai, così anche le loro deliberazioni avevano una marcata impronta proletaria. O decretavano riforme che la borghesia repubblicana aveva trascurato soltanto per viltà, ma che rappresentavano una base necessaria per la libertà d’azione della classe operaia, come l’applicazione del principio che di fronte allo Stato la religione non è che un semplice affare privato; oppure emettevano deliberazioni nell’interesse diretto della classe operaia, e talvolta anche in profondo dissidio con l’antico ordinamento sociale. Tutto questo però, in una città assediata, poteva conseguire tutt’al più un inizio di realizzazione. E dal principio di maggio la lotta contro la sempre crescente massa di armati adunata dal governo di Versailles assorbì tutte le forze.

La comune

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