«L’Ilva inquina ancora»

Redazione di Operai Contro, ogni tanto la magistratura si ricorda che l’Ilva di Taranto ammazza: operai e popolazione Vi invio un articolo della gazzetta del Mezzogiorno Un operaio dell’ILVA Peacelink: confermate nostre segnalazioni di MIMMO MAZZA TARANTO – L’attività criminosa che portò il 26 luglio del 2012 al sequestro degli impianti dell’Ilva di Taranto non si è mai interrotta e anzi prosegue in violazione del codice dell’ambiente e senza le valutazioni riguardanti l’accettabilità del rischio e del danno sanitario. Sono conclusioni pesantissime quelle che il giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco consegna al procuratore Franco Sebastio, inviandogli, per […]
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Redazione di Operai Contro,
ogni tanto la magistratura si ricorda che l’Ilva di Taranto ammazza: operai e popolazione

Vi invio un articolo della gazzetta del Mezzogiorno

Un operaio dell’ILVA

di MIMMO MAZZA

TARANTO – L’attività criminosa che portò il 26 luglio del 2012 al sequestro degli impianti dell’Ilva di Taranto non si è mai interrotta e anzi prosegue in violazione del codice dell’ambiente e senza le valutazioni riguardanti l’accettabilità del rischio e del danno sanitario. Sono conclusioni pesantissime quelle che il giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco consegna al procuratore Franco Sebastio, inviandogli, per le valutazioni e le determinazioni di competenza, le relazioni che i custodi giudiziari Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento hanno depositato a seguito dei sopralluoghi compiuti nello stabilimento siderurgico, con il supporto dei carabinieri del Noe, tra febbraio e agosto scorsi. I tre ingegneri, nominati dal gip Todisco a seguito del sequestro e rimasti in carica malgrado la facoltà d’uso dell’area a caldo concessa dal governo Monti nel dicembre 2012 via decreto, hanno compiuto periodicamente accessi e sopralluoghi per verificare e documentare lo stato delle aree e degli impianti sottoposti a vincolo cautelare, nonché la situazione in atto riguardante le emissioni degli inquinanti degli stessi impianti ed il relativo sistema di monitoraggio.

L’Ilva continua a produrre, e d’altronde non ha cessato un giorno malgrado i suoi altoforni siano stati definiti da una perizia fonte di malattie e morte per operai e cittadini, in virtù della facoltà d’uso degli impianti concessa dal governo e confermata dalla Corte Costituzionale, a cui si rivolsero i magistrati tarantini, anche se la Consulta nell’aprile del 2013 specificò che la produzione poteva continuare a condizione che fossero puntualmente applicate le prescrizioni previste dall’Autorizzazione integrata ambientale del 26 ottobre 2012.
«La normativa – scrisse la Consulta – non prevede la continuazione pura e semplice dell’attività, alle medesime condizioni che avevano reso necessario l’intervento repressivo dell’autorità giudiziaria ma impone nuove condizioni, la cui osservanza deve essere continuamente controllata, con tutte le conseguenze giuridiche previste in generale dalle leggi vigenti per i comportamenti illecitamente lesivi della salute e dell’ambiente».

Proprio sul solco tracciato dalla Corte Costituzionale si muove la relazione dei custodi giudiziari, fatta propria dal gip Patrizia Todisco, come la Gazzetta è in grado di rivelare. Un solco secondo il quale solo il rispetto rigoroso del crono-programma degli interventi stabilito nell’Aia assicura la tutela della salute e dell’ambiente e giustifica la prosecuzione dell’attività produttiva dell’Ilva che altrimenti va ritenuta illegale e come tale in grado di innescare le conseguenze giuridiche previste dalle leggi vigenti per i comportamenti lesivi della salute dell’ambiente. Numerosi, e per certi versi inquietanti, sono i rilievi mossi alla gestione commissariale del siderurgico (prima affidata ad Enrico Bondi, dal giugno scorso a Piero Gnudi), giacché viene sottolineato senza mezzi termini che gli interventi maggiormente significativi necessari per l’interruzione dell’attività criminosa non risultano attuati – basti pensare alla copertura dei parchi minerali per i quali manca ancora la concessione edilizia malgrado l’Aia prevedesse l’avvio dei lavori nell’aprile 2013, copertura vanamente attesa da mezzo secolo dai residenti nel quartiere Tamburi da un paio di giorni sommersi dalle polveri a causa della forte tramontana – ma addirittura ulteriormente rinviati mentre gli aspetti connessi alla gestione delle acque e dei rifiuti sono tutt’ora privi di Autorizzazione integrata ambientale.

Lo scenario tratteggiato dai custodi reparto per reparto non sembra lasciare molte opzioni giacché secondo il giudice Todisco la rilevanza e le conseguenze delle accertate, persistenti violazioni delle prescrizioni poste a tutela dell’ambiente e della salute paiono evidenti. Pesantissimi rilievi vengono fatti alla gestione Gnudi, con la segnalazione di diverse anomalie nel funzionamento quotidiano del siderurgico, a partire dal fenomeno dello slopping, le nuvole rosse, piene di materiali, che periodicamente – e fuori da ogni controllo e legge – colorano il cielo dell’acciaieria e di Taranto. I custodi giudiziari nel loro rapporto sottolineano il continuo ripetersi di eventi anomali con conseguenti emissioni incontrollate di polveri non meglio caratterizzate che risultano comunque correlate a malfunzionamenti ed anomalie nelle acciaierie. Il giudice Todisco si rivolge alla Procura, a cui spetta codice alla mano l’azione penale, ricordando che l’Unione europea ha acceso un faro sull’Ilva di Taranto, sottolineando la perdurante violazione oltre che del diritto alla vita e al rispetto della vita privata, anche del diritto al rispetto della proprietà e che i periti incaricati di svolgere l’incidente probatorio sulle emissioni dell’Ilva, abbiano concordemente ritenuto prioritaria la questione del risanamento ambientale, posto che interventi volti ad aggredire in maniera importante l’inquinamento dell’ambiente determinerebbero un miglioramento immediato della situazione sanitaria locale.

C’è la concreta possibilità, insomma, che si torni indietro di due anni, a quando il gip Todisco, accogliendo la richiesta della Procura, dispose il sequestro senza facoltà d’uso dell’area a caldo dell’Ilva, finalizzandola al risanamento degli impianti perché «non un altro bambino, non un altro abitante di questa sfortunata città, non un altro lavoratore dell’Ilva abbia ancora ad ammalarsi o a morire o ad essere comunque esposto a tali pericoli, a causa delle emissioni tossiche del siderurgico». Il risanamento non c’è mai stato – malgrado annunci roboanti e passerelle politiche – mentre le emissioni continuano ad avere stessa qualità e identica origine.

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