Fiat Iveco: ritmi più 30%. Salario meno 95 euro.

Caro Operai Contro, sciopero e assemblee riuscite alla Iveco di Suzzara (Mn) contro l’aumento dello sfruttamento imposto dalla Fiat: tempi di lavoro tagliati del 30%; taglio del salario 95 euro in due anni. La Fiat Iveco di Suzzara, fabbrica da 1.480 operai e 150 impiegati, si è sganciata unilateralmente dal contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. Si “confronta” unicamente con Fim Cisl e la Fismic. La Fiom tenuta fuori dalla porta denuncia: “Condizioni precipitate senza contratto nazionale” Invio un articolo della Gazzetta di Mantova. Saluti da un lettore. SUZZARA. Immaginate una serie di movimenti che fate tutti i giorni, […]
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Caro Operai Contro,

sciopero e assemblee riuscite alla Iveco di Suzzara (Mn) contro l’aumento dello sfruttamento imposto dalla Fiat: tempi di lavoro tagliati del 30%; taglio del salario 95 euro in due anni.

La Fiat Iveco di Suzzara, fabbrica da 1.480 operai e 150 impiegati, si è sganciata unilateralmente dal contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. Si “confronta” unicamente con Fim Cisl e la Fismic. La Fiom tenuta fuori dalla porta denuncia: “Condizioni precipitate senza contratto nazionale”

Invio un articolo della Gazzetta di Mantova. Saluti da un lettore.

SUZZARA. Immaginate una serie di movimenti che fate tutti i giorni, per quasi otto ore, mettendoci impegno. Immaginatevi, ora,che quelle stesse azioni dovete farle più velocemente, molto più velocemente, risparmiando il 30% del tempo. E guadagnando di meno: per la precisione 95 euro in meno in due anni senza la prospettiva che lo stipendio torni a crescere nei prossimi tre anni. Benvenuti nell’universo parallelo della Fiat, che a Suzzara si scrive Iveco: una fabbrica da 1.480 operai e 150 impiegati che si è sganciata unilateralmente dal contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici.

In pratica, Fiat decide in autonomia i termini e le condizioni di lavoro senza tener conto delle condizioni generali che garantiscono tutti gli altri lavoratori del settore, confrontandosi solo con la Fim Cisl e la Fismic. E con la Fiom – storicamente voce critica – relegata fino allo scorso anno in una roulotte fuori dallo stabilimento. Nella settimana che culminerà con la manifestazione romana di sabato, manifestazione che la Cgil ha organizzato contro il Jobs Act di Renzi (da Mantova partiranno in 800), vale la pena scoprire cosa significhi, per i lavoratori, non avere un contratto nazionale di riferimento. Partiamo da una sigla: Ergo- Uas. E’ il nuovo sistema di scomposizione del tempo di lavorazione introdotto dopo la cacciata della Fiom.

Si tratta di un sistema di conteggio dei centesimi di secondo necessari a compiere i movimenti ed i “sotto-movimenti”: afferrare, sollevare, spostare, depositare. Oppure: afferrare, avvitare e così via. Un sistema che si picca di utilizzare la scienza come strumento di equità nel calcolo dei tempi, senza considerare il fattore umano. «Ma in fabbrica non ci sono i robot, ci sono gli uomini e le donne – rivendicano polemicamente tre delegati Fiom, Angelo Alberti, Massimiliano Pedrazzoli e Attilio Rolfi -. Il nuovo sistema prevede un taglio drastico dei tempi di lavorazione, con la conseguenza che aumenta il carico di lavoro e di stress sull’operaio. E non solo a breve termine: uno studio della Cgil piemontese paventa l’elevata probabilità che dovendo compiere gli stessi gesti molto più rapidamente, senza potersi spostare, alla lunga il lavoratore possa subire seri danni fisici. In pratica, l’operaio deve stare sempre fermo alla sua postazione, deve fare solo i movimenti che servono alla sua fase di lavorazione. Piegare un gomito, inclinare un polso, allungare un braccio e così via. Interessa, questo, agli altri sindacati? Pare proprio di no. A noi invece interessa molto».

Quanto alla questione economica, il contratto nazionale delle tute blu prevedeva un aumento di 45 euro per il 2014 e di altri 50 nel 2015: il contratto Fiat prevede zero euro di aumento. Non basta. Il pianeta Fiat si è dotato di un complesso sistema di calcolo delle malattie brevi: in pratica, dopo tre malattie da uno a cinque giorni, se si supera un certo parametro di stabilimento, la quarta malattia non viene pagata. «La mancanza di un contratto nazionale – insistono i delegati Fiom – ha procurato tanti danni. Uno dei più gravi, comunque, è il peggioramento dei rapporti con i responsabili delle unità operative, che non considerano affatto la possibilità di dialogare. Una volta non era così. Noi avevamo accesso ai sistemi di calcolo dei tempi, potevamo controllare e dire la nostra». Altra questione sollevata dalla Fiom, quella della mensa. Quando era in vigore il contratto nazionale, nell’ambito delle sette ore e mezza di lavoro c’era mezz’ora di pausa mensa. Ora si può mangiare soltanto a fine turno.

«Ovvio che in tanti vanno a casa, con inevitabili ripercussioni per chi lavora in mensa, visto che avrà meno lavoro». Per la Fiom, comunque, i problemi possono ancora essere affrontati, con il sostegno dei lavoratori. «Adesso, sia pure con una disponibilità minima di ore – spiegano i delegati – siamo rientrati in fabbrica ed i lavoratori ci hanno manifestato un forte sostegno. Lo sciopero che abbiamo indetto lunedì scorso è stato un successo, le linee si sono fermate. Le assemblee che abbiamo organizzato in due turni sono state molto partecipate, mentre quelle di Fim e Fismic sono andate praticamente.

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