FIAT TERMINI IMERESE, LA GRIFA NON HA UN EURO

Redazione di Operai Contro., sindacati, padroni e governo erano contenti. Vendevano la FIAT di Termini Imerese alla Grifa che mavrebbe provveduto a licenziarci. Tra smentite, rettifiche e precisazioni, l’unica certezza è che, ad oggi, la società designata per fare ripartire la produzione nell’impianto non ha ancora il capitale necessario per portare a termine l’operazione. GRIFA è una trovata di sindacati, FIAT e governo per licenziarci Noi operai della FIAT dobbiamo organizzarci, dobbiamo mandare via i venduti di CGIL-CISL-UIL Vi invio un articolo del fatto quotidiano Eppure Grifa, Gruppo italiano fabbrica automobili, intende insediarsi a gennaio a Termini Imerese per […]
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Redazione di Operai Contro.,

sindacati, padroni e governo erano contenti.

Vendevano la FIAT di Termini Imerese alla Grifa che mavrebbe provveduto a licenziarci.

Tra smentite, rettifiche e precisazioni, l’unica certezza è che, ad oggi, la società designata per fare ripartire la produzione nell’impianto non ha ancora il capitale necessario per portare a termine l’operazione.

GRIFA è una trovata di sindacati, FIAT e governo per licenziarci

Noi operai della FIAT dobbiamo organizzarci, dobbiamo mandare via i venduti di CGIL-CISL-UIL

Vi invio un articolo del fatto quotidiano

Eppure Grifa, Gruppo italiano fabbrica automobili, intende insediarsi a gennaio a Termini Imerese per produrre 35mila auto ibride all’anno: per realizzare questo progetto, l’azienda ha annunciato un investimento di 350 milioni di euro, di cui 250 milioni di aiuti pubblici, messi sul piatto da ministero dello Sviluppo Economico e Regione Sicilia, e 100 di tasca propria. Peccato che, fino ad ora, questi soldi non ci siano. E dall’istituto brasiliano Banco Rio de Janeiro, che attraverso un proprio fondo dovrebbe mettere 75 di quei cento milioni, si fa sapere che “l’operazione non è da considerarsi scontata”.

Nella vicenda dello stabilimento siciliano, i sudamericani hanno fatto la loro prima comparsa a luglio. E’ stato allora che Grifa ha deliberato un aumento di capitale da 25 a 100 milioni di euro e fonti aziendali avevano anticipato alla stampa l’imminente ingresso nella società da parte del “fondo brasiliano Kbo Capital“, che avrebbe messo i restanti 75 milioni. In seguito, sempre da Grifa era arrivata la precisazione che i sudamericani avrebbero apportato i capitali solo dopo che la Grifa avesse raggiunto un’intesa con i sindacati. Questa intesa è poi arrivata: al ministero dello Sviluppo Economico, il 10 ottobre, le sigle sindacali e l’azienda hanno firmato un verbale d’incontro, che non può ancora considerarsi un accordo formale, ma sicuramente ha sbloccato l’impasse nelle trattative. Nonostante ciò, ancora nessun aumento di capitale, anzi. Contattato da Il Fatto Quotidiano, Roland Gerbauld, amministratore delegato di Kbo Capital, mercoledì 15 ha affermato che, da parte della sua società, “non c’è mai stata alcuna volontà di sottoscrivere un aumento di capitale o altro investimento, per qualsiasi importo, nella Grifa spa o in attività connesse all’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese”.

Una clamorosa marcia indietro? Non proprio. O, per lo meno, non ancora. A tentare di fare chiarezza – per quel che si può – è arrivato sulla scena Marcello Gianferotti, procuratore generale del Banco Rio de Janeiro (Brj): “Kbo non è un fondo. E’ la società, partecipata dal Banco Rio de Janeiro, che ne gestisce i fondi – ha fatto sapere mettendo la classica toppa che allarga il buco – L’operazione d’investimento, se infine effettivamente deliberata, verrà eseguita direttamente da un fondo ancora non dichiarato, per motivi di ovvia riservatezza, partecipato ed amministrato dal Banco BRJ SA o chi per questa, probabilmente gestito da Kbo o altro soggetto specificatamente incaricato. La Kbo non ha nè la struttura, nè tantomeno l’intenzione, nè la patrimonialità necessaria per eseguire tale operazione in proprio”. La ragione dell’equivoco? “Forse è stata un’informazione un po’ superficiale da parte di Grifa”. In ogni caso, precisa, l’operazione “NON è da considerarsi ancora scontata”.

Il tutto, però, è stato recapitato su carta intestata Grifa con la quale, formalmente, né Gianferotti, né il Banco di Rio de Janeiro hanno alcun rapporto, visto che, per espressa ammissione, non sono ancora soci e non è scontato che lo diventino. La matassa, poi, invece che scigliersi si annoda ancor di più interpellando direttamente Gianferotti. “Se tutto non è chiaro, non sarà dato un parere positivo all’operazione. Noi mettiamo i soldi, ma dobbiamo essere sicuri che li mettano anche gli altri”,  dice a ilfattoquotidiano.it senza spiegare chi sarebbero gli altri. Il procuratore della banca brasiliana fa quindi sapere che le trattative sono “a un ottimo punto”, ma “ora bisogna passare dalle buone intenzioni ai conti correnti”. Il termine ipotizzato è la prima decade di novembre: “Entro quella data, avremo concluso l’operazione o ci saremo tirati fuori. Ma, con un 80% di possibilità, secondo me, l’esito dell’operazione sarà positivo”. Un esito che, tuttavia, è vincolato a determinate condizioni: “Mancano ancora delle autorizzazioni ministeriali. E poi, finora, è stato messo a capitale sociale ilpatrimonio di una società energetica. Aspettiamo che questo capitale sia convertito in contanti. Infine, attendiamo un piano industriale: oggi ci sono tante ipotesi, ma un piano definitivo non c’è”.

Sull’esito dell’operazione, grava lo spettro di un precedente non certo confortante. Nel 2011, il Banco Rio de Janeiro aveva aperto una trattativa per l’acquisizione di quote della Banca Sammarinese. Tuttavia, dopo pochi mesi, il tavolo era saltato: il presidente Luis Augusto de Queiroz aveva dato disposizione proprio a Gianferotti di rompere ogni trattativa con l’istituto di credito. Precedenti poco rassicuranti anche sul fronte Termini Imerese dove non si è ancora spento il ricordo di Dr Motors, l’ultimo pretendente scelto dall’allora ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani e avallato dal suo successore Corrado Passera, con la consulenza dell’Invitalia di Domenico Arcuri. Solo in un secondo tempo, infatti, venne a galla che la società molisana non aveva i capitali per portare a termine l’operazione. Eppure per saperlo sarebbe bastato interpellare i sindacati, visto che all’epoca Dr Motors non versava lo stipendio ai suoi dipendenti da parecchi mesi. Figuriamoci accollarsi quelli della Fiat.

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