BRIGANTI? NO, PARTIGIANI DEI CONTADINI POVERI MERIDIONALI SOTTOMESSI  

La storia dell’Italia borghese, cioè della classe capitalista al potere in Italia, è costellata di rivolte armate di operai, contadini poveri, proletari contro il dominio dei padroni. Ma tre sono sicuramente gli avvenimenti che, pur con tutte le loro contraddizioni, hanno segnato con più forza e determinazione tali rivolte: la lotta dei contadini poveri contro lo stato borghese, italiano o piemontese che dir si voglia, subito dopo l’unità nazionale, comunemente definita “brigantaggio”, il biennio rosso (1919-1920), successivo alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917, e la lotta dei partigiani, operai e comunisti, contro il nazismo, il fascismo e la borghesia italiana, […]
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La storia dell’Italia borghese, cioè della classe capitalista al potere in Italia, è costellata di rivolte armate di operai, contadini poveri, proletari contro il dominio dei padroni. Ma tre sono sicuramente gli avvenimenti che, pur con tutte le loro contraddizioni, hanno segnato con più forza e determinazione tali rivolte: la lotta dei contadini poveri contro lo stato borghese, italiano o piemontese che dir si voglia, subito dopo l’unità nazionale, comunemente definita “brigantaggio”, il biennio rosso (1919-1920), successivo alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917, e la lotta dei partigiani, operai e comunisti, contro il nazismo, il fascismo e la borghesia italiana, all’interno della Resistenza. Avvenimenti ricchi di insegnamenti per gli operai e i proletari di oggi.

 

Come ha scritto per primo Antonio Gramsci, “lo stato italiano è stato una dittatura feroce che, dopo l’unità nazionale per molti anni ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti”. I nuovi padroni dell’Italia organizzarono una vera e propria guerra contro la rivolta dei contadini poveri, la vinsero massacrando un’intera classe sociale e poi l’hanno raccontata e la raccontano secondo i propri interessi, criminalizzando e diffamando i nemici di classe sconfitti.

 

La borghesia piemontese si rivelò la più forte e organizzata, anche militarmente, fra le borghesie presenti in Italia nella prima metà dell’Ottocento e perciò riuscì a unificare l’Italia sotto il proprio comando (il cosiddetto “Risorgimento”). Era tuttavia una borghesia economicamente debole rispetto ad altre borghesie europee, per cui non poteva neanche lontanamente competere con esse. Mentre le borghesie di Francia, Spagna, Portogallo, Olanda, Inghilterra, Belgio e dell’Impero austro-ungarico si combattevano in tutto il mondo per la conquista di colonie, la borghesia italiana, oltre a difendersi con un forte protezionismo, utilizzò come prima colonia il Sud, considerato terra di conquista, risorsa di materie prime, mercato di sbocco delle sue merci, terra di giovani da intruppare per sette anni nel servizio di leva obbligatorio e di forza lavoro a bassissimo costo per le industrie settentrionali. Il Sud fu il Far West dei padroni piemontesi, i contadini poveri i pellirosse italiani, da soggiogare e, se si ribellavano, da sterminare. Dopo l’eccidio di Montefalcione, in Irpinia, il 9 luglio del 1861 il periodico liberale “La bandiera italiana” scrisse: “La strage dei briganti ha espiato queste nostre dolorose perdite con immane ecatombe. Non è dato quartiere a nessuno e bene sta. È ora di liberare i paesi da questi irochesi”.

 

I contadini poveri, la classe più diffusa e presente nel Sud, costituita da figure miste di coloni, mezzadri, enfiteuti e anche braccianti che vivevano lavorando sulle terre dei latifondisti, subirono direttamente l’attacco dei borghesi conquistatori. Persero tutto, subirono angherie di ogni genere, perciò molti di essi si ribellarono in armi, diventando partigiani dei contadini poveri e delle masse popolari meridionali sottomesse. A differenza della piccola borghesia impiegatizia che in qualche modo riuscì ad arruffianarsi con i nuovi padroni

 

Come scrive lo storico Lorenzo Del Boca, “il Sud, inferocito e ribelle, fu piegato da 40 battaglioni di bersaglieri che considerarono quelle province come terre di conquista. Napoli e Palermo non vennero trattate diversamente da come, decenni più tardi, avvenne per Mogadiscio e Addis Abeba. Dissero che venivano per portare la libertà ma – la libertà – la mostrarono dal mirino degli schioppi e sulla punta delle sciabole. Chi si ostinò a difendere la propria indipendenza fu chiamato “brigante”, gli distrussero l’economia, lo caricarono di tasse, lo affamarono e chi non si risolse a emigrare finì, in buon numero, davanti al plotone di esecuzione”.

 

Per inciso è con l’unità d’Italia che nacque la tanto discussa “questione meridionale”. Scrive Del Boca: “Il Piemonte, con la sua rete di funzionari, portaborse e burocrati onnivori, lasciò il Meridione conquistato, avvilito, depresso e spogliato di ogni avere. Con la scusa dell’Unità d’Italia rubarono tutto. E dove non riuscirono a battere moneta secondo i loro desideri, per insipienza e imbecillità distrussero le attività economiche che, nonostante tutto, funzionavano”. Ovviamente chi ci rimise realmente furono i contadini poveri, i proletari meridionali dell’epoca. Invece i nobilotti, i proprietari terrieri, i medi e piccoli borghesi furono i “gattopardi” dell’epoca, capaci di far finta di cambiare tutto senza in realtà mutare niente: cambiando “casacca”, diventarono alleati dei borghesi piemontesi, i loro referenti nel dominare e soggiogare la massa dei contadini poveri che con il loro lavoro creavano ricchezza per tutti gli altri; sotto la bandiera dell’Italia unita conservarono i loro privilegi aiutando i borghesi piemontesi a mantenere sottomessi i proletari della colonia meridionale.

 

Descrivendo la feroce repressione che insanguinò il Mezzogiorno nella guerra civile all’alba dell’unità lo scrittore Carlo Alianello per primo ha paragonato i soldati piemontesi alle SS: «Cosa avrebbero fatto le SS di Himmler se qualche villaggio si fosse proclamato antitedesco e antifascista? Be’, i piemontesi fecero nel 1860 e negli anni successivi la medesima cosa, ma ci misero più impegno».

 

I cosiddetti “briganti” furono le punte più avanzate di un movimento popolare di ribellione contro gli invasori piemontesi, che sentiva quegli uomini in armi come i propri figli migliori. Così scrive Carmine Crocco, uno dei capi dei contadini poveri in armi, forse il più capace, anche politicamente e militarmente: “E intorno a noi il timore e la complicità di un popolo. Quel popolo che disprezzato da regi funzionari e infidi piemontesi sentiva forte sulla pelle che a noi era negato ogni diritto, anche la dignità di uomini. E chi poteva vendicarli se non noi, accomunati dallo stesso destino? Cafoni anche noi, non più disposti a chinare il capo. Calpestati, come l’erba dagli zoccoli dei cavalli, calpestati ci vendicammo. Molti, molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro rivoluzioni. Ma la libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana e astratta. È dire senza timore, È MIO, e sentire forte il possesso di qualcosa, a cominciare dall’anima. È vivere di ciò che si ama. Vento forte e impetuoso, in ogni generazione rinasce. Così è stato, e così sempre sarà …”.

 

È, infine, il caso di sottolineare che la lotta dei contadini poveri contro l’invasione piemontese non ebbe nulla da spartire con associazioni criminali organizzate come la mafia siciliana, la camorra campana e la ‘ndrangheta calabrese, che sono nate ben prima della guerra civile successiva all’unità d’Italia e sono state molto spesso utilizzate dai padroni e politici legali come braccio violento illegale contro i contadini poveri, i braccianti agricoli, gli operai. In Sicilia, dove a Bronte già nell’agosto del 1860 una insurrezione popolare venne repressa dalle truppe garibaldine guidate da Nino Bixio, la mafia impedì la rivolta delle classi povere. Da tempo fra la nobiltà terriera latifondista e la massa di contadini miserabili che essa vessava, era presente un ceto di spregiudicati e violenti massari e campieri (“guardie armate” del latifondo), gli antesignani dei moderni mafiosi, che, accordandosi con i latifondisti, terrorizzavano i contadini con i loro sgherri e ne garantivano la sottomissione. Dopo l’unità, alla mafia si aggregarono i rappresentanti più spregiudicati della borghesia agraria emergente, che aveva comprato le terre dei feudi e della chiesa, e i rappresentanti più conservatori della vecchia nobiltà, assoldando elementi delle classi subalterne, contadini e braccianti, attirati dal miraggio della facile ricchezza. Quando nel 1860 Garibaldi sbarcò in Sicilia, la camorra appoggiò i Savoia, ricevendo in cambio il controllo di Napoli durante la fase di transizione del regno, allo scopo di evitare possibili rivoluzioni contro i piemontesi. E così via fino, e oltre, alla strage di Portella delle Ginestre, decisa da latifondisti siciliani per reprimere le occupazioni diterre da parte dei contadini poveri e commissionata alla banda mafiosa di Salvatore Giuliano.

 

SPARTACUS

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1 Comment

  1. luigi

    Caro Spartacus,
    tu affermi che: “La storia dell’Italia borghese, cioè della classe capitalista al potere in Italia, è costellata di rivolte armate di operai, contadini poveri, proletari contro il dominio dei padroni.”
    Non è affatto costellata di rivolte armate contro il dominio dei padroni. Tu ne citi tre, ma effettivamente la rivolta armata contro lo stato dei padroni è quella dei briganti. Il biennio rosso, fu una rivolta operaia che si concluse con la peggiore svendita degli interessi operai da parte dei sindacalisti. Quando la finiremo di presentare la lotta partigiana come una rivoluzione? Era una lotta, a cui partecipo anche la borghesia, contro l’occupazione dei tedeschi dell’Italia.
    Sono d’accordo con te il termine briganti (delinquenti) contro la rivolta dei contadini è il nome con cui i padroni chiamarono i rivoltosi.
    Già molto tempo prima di Gramsci, altri intellettuali, descrissero le atrocità dei soldati dell’Italia dei padroni contro i contadini poveri briganti o non briganti.
    A mio parere è ora di farla finita con la storiella del Sud trattato come colonia e quindi del Sud arretrato rispetto al Nord (una storiella salveminiana)
    I contadini senza terra del sud , schiavi della borghesia al soldo dei borboni, parteciparono con i garibaldini alla cacciata dei borboni.
    Garibaldi aveva promesso che le terre sarebbero state distribuite, ma questo non avvenne.
    I contadini poveri non combattevano contro gli invasori piemontesi
    I contadini poveri combattevano contro i padroni delle terre e i loro servi della piccola borghesia, del nuovo stato unitario.
    Il Brigantaggio è una rivolta dei contadini miserabili contro lo stato dei padroni.
    Fu una guerra
    I briganti uccidevano senza pietà padroni e soldati e venivano uccisi senza pietà
    Non è un caso che le prime sezioni di operai che aderirono all’internazionale erano operai del Gargano.
    A mio parere Spartacus la storia della lotta di classe in Italia va riscritta.
    Basta con Gramsci e Salvemini
    Basta con il voler collegare qualsiasi rivolta alla lotta partigiana contro il nazi-fascismo
    Bisogna odiare i padroni e i loro servi
    Bisogna imparare dalla rivolta dei briganti
    Giustamente il brigantaggio non ha niente a che vedere con mafia e camorra.
    Mafia e camorra sono organizzazioni di delinquenti al servizio dei padroni.
    Spartacus
    a mio parere il tuo intervento è utile.
    Mostra agli operai che quando si rivoltano contro i padroni non devono avere pietà. Gli operai devono organizzare il loro esercito per il combattimento: Il Partito Operaio
    Speriamo che il dibattito continui
    Ciao