Napoli, storie di ordinaria violenza statale

  I mali di Napoli vengono da lontano, ma non troppo … A Napoli, come in molte altre località del Bel Paese, la crisi economica ha solo esasperato il preesistente «disagio» sociale.apoli, Rione Traiano, venerdì 5 settembre. Nel corso di un inseguimento, un carabiniere ha freddato il giovane Davide Bifolco. Non ancora 17 anni. È il tragico epilogo di storie di ordinaria violenza che ormai caratterizzano i rapporti tra giovani proletari e Stato. La divaricazione è confermata dalle manifestazioni del giorno dopo contro i «servitori» dello Stato[1]. Pennivendoli, politologi, sociologi, tuttologi … si sono esibiti in esercizi retorici, in […]
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I mali di Napoli vengono da lontano, ma non troppo …

A Napoli, come in molte altre località del Bel Paese, la crisi economica ha solo esasperato il preesistente «disagio» sociale.apoli, Rione Traiano, venerdì 5 settembre. Nel corso di un inseguimento, un carabiniere ha freddato il giovane Davide Bifolco. Non ancora 17 anni. È il tragico epilogo di storie di ordinaria violenza che ormai caratterizzano i rapporti tra giovani proletari e Stato. La divaricazione è confermata dalle manifestazioni del giorno dopo contro i «servitori» dello Stato[1].

Pennivendoli, politologi, sociologi, tuttologi … si sono esibiti in esercizi retorici, in cui le invettive forcaiole si mescolano all’ipocrita comprensione, molto politically correct e tanto cara alla sinistra cialtrona.

Nei fiumi di parole profuse, emergono qua e là alcune osservazioni appropriate, ma sono come sprazzi di luce in una notte buia e tempestosa, in cui i «mali» di Napoli assumono una parvenza metafisica, quasi fossero congeniti, per non si sa quale misteriosa e oscura maledizione.

Mistero napoletano?

Nessuno dei «napoletanologi» che si sono pronunciati in questi giorni (almeno di quelli di cui ho conosciuto le sentenze) ha cercato di mettere il dito in piaghe non ancestrali. Piaghe che risalgono al dopoguerra, quando sulle rovine dei bombardamenti alleati, Napoli avrebbe potuto essere «risanata», e non solo urbanisticamente[2], ma anche socialmente e, forse, politicamente. Basterebbe leggere un libro apparso nel 1995 e che ebbe una buona diffusione (quattro ristampe): Ermanno Rea, Mistero napoletano[3]. È un romanzo-verità, ambientato a Napoli tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta, in cui rivivono le vicende di alcuni militanti del Partito comunista italiano. L’autore è «persona informata sui fatti». Oltre ad avere lungamente militato nel Pci, fu giornalista dell’«Unità», prima nella redazione di Napoli e poi in quella di Roma. Saltuariamente pubblicò alcuni libri, ma il suo vero exploit letterario avvenne tardi, negli anni Novanta. Fu un redde rationem con il Pci che, per quanto ormai morto e sepolto, non desiderava certo che gli scheletri uscissero dagli armadi. Rea li ha fatti uscire, almeno a Napoli.

Mistero napoletano evoca la struggente vicenda di Francesca Spada, militante un po’ sopra le righe (era separata!) rispetto al moralismo bigotto allora imperante nel Pci («una puttana eretica»). La sua colpa era la relazione con Renzo Lapiccirella, un intellettuale, funzionario di partito, che tentava di proporre una prospettiva politica coerente con le tesi meridionaliste di Antonio Gramsci, a parole nume tutelare dal Pci. Nella realtà, il lascito di Gramsci era fonte di preoccupazioni per le implicazioni che avrebbe comportato rispetto alle spregiudicate scelte del «Partito nuovo» di Togliatti. Motivo per cui, Lapiccirella fu emarginato e Francesca fu indotta al suicidio[4].

Artefice di questa soluzione (finale) fu Giorgio Amendola, proconsole piccista per il Sud, la cui longa manus a Napoli era il federale Salvatore Cacciapuoti, un ex operaio stalinista, un burocrate doc, bravo solo a mutare le compagne di partito in compagne di letto. La rapida esecuzione degli ordini era assicurata da uno stuolo di giovani galoppini, intellettuali cresciuti all’ombra del fascio littorio, tra i quali si distinse Giorgio Napolitano.

Dal trasformismo al malaffare

Eliminando le voci di dissenso, Amendola dette la stura al più sfacciato trasformismo politico, lasciando che la città fosse gestita dal connubio di forze sociali in cui gli interessi dell’armatore Achille Lauro si sposavano con quelli yankee nel fare di Napoli la più grande base navale del Mediterraneo. Senza alcuna ricaduta positiva per la città. Anzi, provocando crescenti dissesti sociali ed economici, in un dilagante clima di malaffare. Al quale il Pci non era estraneo.

Così operando, Amendola aprì la strada ai futuri salti della quaglia del Partitone.

In particolare, al Sud impose un’«originale» concezione meridionalista che avrebbe dato spazio all’assistenzialismo, le cui conseguenze sarebbero poi scoppiate come un bubbone mefitico. Favorendo, least but not last, il razzismo leghista contro i meridionali.

I militanti napoletani che si opposero alla politica amendoliana furono emarginati in vari modi. Oltre a Francesca Spada, si uccise anche Renato Caccioppoli, il matematico napoletano nipote di Bakunin[5]. Altri si suicidarono politicamente e intellettualmente. Ne uscì rovinata l’intera compagine sociale napoletana, sia sotto il profilo economico  che intellettuale; e, di riflesso, anche la compagine sociale italiana.

Un’occasione mancata?

La coerenza gramsciana di Lapiccirella e del suo gruppo (tra gli altri Guido Piegari e Gerardo Marotta) non era certo sovversiva anzi, appariva di destra, di fronte alla demagogia nazional-populista del Pci. Una demagogia che nascondeva quell’apparente inconcludenza politica dietro la quale il Pci poteva gestire indisturbato promettenti affari nelle amministrazioni locali e nelle cooperative «rosse», intessendo una rete di interessi sempre più articolata, che si sarebbe estesa dalle industrie alle banche (e non solo il MpS). Mentre, in pubblico, il Pci ostentava il possibile/fantasioso volto per bene di un regime basato sull’oppressione e sullo sfruttamento dei proletari. Garantendogli, di fatto, una preziosa copertura politica.

Da parte sua, Lapiccirella avanzava coraggiose proposte, ancorché riformiste (riformismo rivoluzionario?), che, forse, avrebbero potuto schiudere una diversa prospettiva politica, realmente socialdemocratica e non retriva come quella di Togliatti, artefice di un partito reazionario di massa. In realtà, tale proposta non aveva molte chance in quella che si stava definendo come l’unica possibile evoluzione politica italiana, nel solco dal compromesso e dall’inciucio, tramato nella sotterranea intesa picci-dicci, a mala pena celata all’ombra di fatue polemiche.

Lapiccirella, Francesca Spada e gli altri ricordati da Rea nonché Caccioppoli tentarono una via diversa. Il loro tragico fallimento dimostra che, forse, quella via era impossibile[6].

Chi semina vento …

L’attuale Partito Democratico di Matteo Renzi è il perfetto erede di questa tradizione di inciuci & intrallazzi. Ma anche per gli inciuci & intrallazzi è giunto il tramonto. Il vecchio cinismo (spacciato per realpolik) ha ceduto il passo all’improvvisazione day-by-day.

E le balle, oggi, non bastano più per ottenere il «consenso». Sempre più spesso, il «consenso» viene assicurato dall’intervento armato dello Stato, come in Val Susa. A Napoli, oltre agli sbirri, c’è anche la camorra, a stabilire il consenso. Così dicono i soliti bene informati. E non mi stupisco[7]. D’altro canto, la camorra è il volto oscuro del mondo degli affari sans phrases, fondato sull’oppressione e sullo sfruttamento, ovvero sul modo di produzione capitalistico. Non per nulla, la legittimità degli affari di Camorra & Co. è stata recentemente avanzata, riconoscendone la positiva funzione nel calcolo del sacrosanto Pil[8], in base a una altrettanto sacrosanta normativa europea (SEC 2010). Con buona pace di Roberto Saviano che, nella sua santa ingenuità (ai limiti della connivenza), invocava (invoca!) l’intervento dello Stato contro la camorra. Quando lo Stato, dalla camorra, vuole solo riscuotere il pizzo, pardon le tasse…

E come tutto ciò che discende dal modo di produzione capitalistico, anche la camorra, oggi, deve fare i conti con la crisi. La camorra, per ora ha molto da guadagnare, grazie alla crisi; ma prima o poi dovrà «ristrutturarsi». E allora, saranno cazzi!

Nulla osta che anche in Italia potrebbe nascere un’Isis in versione guappa: Guapparian State of Naples (Gsn)?

Dalla disgregazione del modo di produzione capitalistico, possiamo aspettarci di tutto, e di peggio. Anche grazie a Giorgio Napolitano. Nel suo piccolo.

Dino Erba, Milano, 9 settembre 2014.

Le fonti che cito nei miei articoli sono quelle che ho sottomano mentre scrivo. C’è di meglio. Lascio alla pazienza dei miei lettori ricerche più approfondite.

[1] Vedi: Davide Bifolco ucciso, rione Traiano in corteo. La zia: “Cc marcisca in cella”, «Il Fatto Quotidiano», 6 settembre 2014, in: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/06/davide-bifolco-ucciso-a-napoli-salvini-fermarsi-allalt-dei-carabinieri-e-un-obbligo/1112520/.

[2] La mancanza di un piano regolatore favorì speculatori e palazzinari, i protagonisti del film di Francesco Rosi Le mani sulla città (1963). Per approfondire, fondamentali osservazioni in: Luigi Gerosa, L’ingegnere «fuori uso». Vent’anni di battaglie urbanistiche di Amadeo Bordiga Napoli 1946-1966, Presentazione di Michele Fatica, Fondazione Amadeo Bordiga, Formia (Latina), 2006.

[3] Ora in: Ermanno Rea, Rosso Napoli. Trilogia dei ritorni e degli addii. Mistero napoletano. Vita e passione di un comunista negli anni della guerra fredda. La dismissione. Napoli Ferrovia, Rizzoli, Milano, 2009.

[4] Sulla vicenda di Francesca Spada, Rea ritornò con un secondo libro: La comunista, Giunti, Firenze, 2012.

[5] La bibliografia riguardante Renato Caccioppoli è vasta. Ma è ricordato soprattutto per il film di Mario Martone, Morte di un matematico napoletano, 1992.

[6] Rea, 87 anni ben portati, crede ancora che una via riformista sia possibile in Italia. Alle scorse elezioni europee, ha aderito alla Lista Tsipras, il cui clamoroso fallimento ne dimostra l’assoluta estraneità all’attuale congiuntura storica. Vedi: Fabrizio d’Esposito, Ermanno Rea, lista Tsipras, “Napolitano mi processò per il mio libro”, «Il Fatto», 29 aprile 2014, anche in: http://cedocsv.blogspot.it/search/label/Ermanno%20Rea/

[7] Marco Imarisio, I cori anti-Stato al presidio di Napoli la scelta di chi intona la propria rovina, «Corriere della Sera», 7 settembre 2014, p. 32.

[8] Vedi, Riccardo Puglisi, Economia criminale, così la stima, «Corriere della Sera», 21 agosto 2014, p. 8.

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