La lezione di Genny ’a carogna

Redazione di Operai Contro, Sembra surreale, ma dopo i fatti accaduti a Roma durante la finale di Coppa Italia tra il Napoli e la Fiorentina, c’è sì la gravissima sparatoria che ha visto coinvolti i tifosi della squadra del Napoli, ma soprattutto c’è lui, Genny ’a carogna. I media si sono in primo luogo accaniti su questo aspetto della vicenda. Fioccano commenti ed editoriali sulla resa dello stato agli ultras. Eppure di argomenti ce ne sarebbero. Una pessima organizzazione che ha consentito l’anarchia più totale, l’emergere di neonazisti che trafiggono a colpi di pistola alcuni tifosi, i soccorsi che […]
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Redazione di Operai Contro,

Sembra surreale, ma dopo i fatti accaduti a Roma durante la finale di Coppa Italia tra il Napoli e la Fiorentina, c’è sì la gravissima sparatoria che ha visto coinvolti i tifosi della squadra del Napoli, ma soprattutto c’è lui, Genny ’a carogna. I media si sono in primo luogo accaniti su questo aspetto della vicenda. Fioccano commenti ed editoriali sulla resa dello stato agli ultras. Eppure di argomenti ce ne sarebbero. Una pessima organizzazione che ha consentito l’anarchia più totale, l’emergere di neonazisti che trafiggono a colpi di pistola alcuni tifosi, i soccorsi che arrivano dopo oltre un’ora e via dicendo. Invece il dibattito pubblico guidato dai media si è soffermato sul ruolo di un capo ultras nello svolgimento dell’evento sportivo. L’istantanea della trattativa tra lo stato e gli ultras è stata digerita malissimo. E sì, perché di negoziazione si è trattato. Al di là delle inutili e ridicole smentite, le immagini parlano chiaro. Il telecronista della Rai, davanti a milioni di telespettatori, commentando esclusivamente le immagini, ha annunciato lo svolgimento della partita solo dopo aver visto il cenno chiaro ed evidente di Genny ’a carogna.

La trattativa non solo ci è stata ma ha visto ben delineate le parti in causa: un gruppo di ultras, organizzato e determinato ha imposto alcune condizioni per lo svolgimento della partita. I responsabili dell’ordine pubblico, che ben conoscono le piazze, hanno dovuto piegarsi ai rapporti di forza esistenti in quel momento. Un gruppo, per quanto minoritario ma organizzato e combattivo, capace di guidare in qualche modo una massa notevole di tifosi, poteva determinare una situazione ingestibile con un costo ben più alto di quello pagato. In quel territorio che era lo stadio hanno dunque contato i rapporti di forza e quei rapporti hanno imposto la trattativa.

Soddisfatte le richieste del capo ultras, tra cui la possibilità di raggiungere il ragazzo ferito in ospedale e la possibilità di trattare sul comportamento della tifoseria avversa, la partita si è potuta giocare. Il potere, rappresentato ai massimi livelli con a capo il Presidente del consiglio Renzi, ne è uscito totalmente sfigurato. Questa immagine è dunque diventata insopportabile. Come è possibile che lo stato, con tutta la sua forza militare, si sia dovuto piegare e abbia dovuto riconoscere come mediatore un personaggio certo non molto digeribile dall’opinione pubblica come Genny ’a carogna? E’ questa domanda che rimbomba nella testa dei commentatori e che li lascia sgomenti. Eppure la risposta appare semplice: in quel territorio delimitato, la presenza e la pressione esercitata da decine di migliaia di persone incazzate, pronte ad essere guidate da una forza organizzata e battagliera, non ha lasciato molte altre alternative. L’immagine impietrita e impotente delle autorità resterà impressa nella mente dei molti. Lo sguardo stranulato e perso di Renzi, il “decisionista”, che non sapeva più che pesci pigliare, ha dato a tutti una lezione in diretta televisiva: il potere non è così potente. Genny ’a carogna e il suo manipolo di ultras lo hanno dimostrato. Lo stato, come si diceva una volta, è una tigre di carta. Se di fronte ad una massa di persone determinate, non impaurite dalla polizia, si piega, tratta, accetta le regole di Genny ’a carogna, media con questi, perché è l’unico che può tenere a freno la folla, di fronte a una massa di operai coscienti, organizzati e determinati a lottare contro lo sfruttamento si scioglierà come neve al sole.

Questa lezione di Roma non potrà essere nascosta dal volto severo e vendicativo che lo stato, superato il pericolo della rivolta, ha assunto con il rientro a casa delle tifoserie.

Non saranno sufficienti le parole brutali del prefetto, secondo cui la partita si sarebbe giocata anche con il morto a terra. Chi potrà mai credergli, dopo che i vertici della polizia hanno assecondato sotto gli occhi di tutti il capo della curva? Perché mai il prefetto ha aspettato 24 ore per farci sapere di “non aver avuto paura”?

Non sarà sufficiente il daspo di 5 anni inflitto a distanza di quasi 72 ore a Genny ’a carogna. Non è la prima volta che lo stato ripaga con la persecuzione giudiziaria e poliziesca coloro che in un primo momento ha dovuto riconoscere come suoi interlocutori. Trattati con i guanti, fino a quando servono per tenere a freno le masse, una volta svolto il compito, sono subito fatti fuori. Il fatto però che lo stato sia stato costretto a trattare resta, mentre la criminalizzazione dei mediatori farà sì che la prossima volta sarà molto più difficile trovare qualcuno fra i “capi” della massa disposto a mediare.

Non basta neanche l’arresto in ospedale del tifoso napoletano ferito. La crudeltà di piantonare un ragazzo agonizzante, di tenere lontani i familiari solo perché costui, disarmato, è stato sparato, è in profondo e stridente contrasto col modo con cui vengono trattati i potenti incappati nelle reti della giustizia penale. Berlusconi, condannato a 4 anni, che va liberamente da Napolitano e Renzi, che fa a suo piacere il giro delle televisioni è un esempio lampante dei due pesi e due misure che lo stato adotta per i poveri cristi e per i ricchi.

Un lettore di Napoli

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