“Sono degli illusi, noi non ci fermiamo”

Fabio Zerbini, sindacalista molto attivo nell’organizzazione dei lavoratori della logistica, ha subito pochi giorni fa una grave aggressione di stampo intimidatorio a Milano. Nell’intervista rilasciata a MicroMega spiega quali sono, a suo avviso, le motivazioni che stanno dietro a quest’atto odioso e come il movimento intende reagire.di Marco Zerbino «Basta assemblee operaie!». Non lasciano spazio a equivoci le parole gridate a Fabio Zerbini, del SiCobas, dai due energumeni che lo scorso 14 gennaio lo hanno attirato con uno stratagemma in zona Affori, alla periferia settentrionale di Milano, per poi pestarlo a sangue di fronte al figlio e alla sua compagna. Dietrol’aggressione subita dal […]
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Fabio Zerbini, sindacalista molto attivo nell’organizzazione dei lavoratori della logistica, ha subito pochi giorni fa una grave aggressione di stampo intimidatorio a Milano. Nell’intervista rilasciata a MicroMega spiega quali sono, a suo avviso, le motivazioni che stanno dietro a quest’atto odioso e come il movimento intende reagire.di Marco Zerbino

«Basta assemblee operaie!». Non lasciano spazio a equivoci le parole gridate a Fabio Zerbini, del SiCobas, dai due energumeni che lo scorso 14 gennaio lo hanno attirato con uno stratagemma in zona Affori, alla periferia settentrionale di Milano, per poi pestarlo a sangue di fronte al figlio e alla sua compagna. Dietrol’aggressione subita dal sindacalista, attivo da anni in tutto il Nord Italia nell’organizzare i facchini del settore logistica e trasporto merci, c’è un evidente intento intimidatorio, lo stesso che ha colpito in passato, sia pure in forme meno gravi, altri esponenti del piccolo ma combattivo sindacato. Quanto ai mandanti della spedizione punitiva, per il momento non si hanno ancora certezze, ma solo ipotesi e speculazioni.

Zerbini, come si diceva, è impegnato in prima linea negli scioperi e nelle mobilitazioni che hanno avuto come protagonisti, da cinque anni a questa parte e con crescente intensità negli ultimi due, gli operai, prevalentemente immigrati, che movimentano le merci all’interno dei magazzini di corrieri come Tnt, Sda, Bartolini, Gls, Ups, ma anche di importanti marchi della grande distribuzione come Ikea, Coop, Carrefour e altri. Sono questi i lavoratori che, il 22 marzo dello scorso anno, hanno dato vita ad uno sciopero nazionale di tutto il settore in occasione del rinnovo del contratto nazionale di categoria. Un contratto che, tuttavia, secondo gli stessi operai della logistica, è raramente rispettato dalle varie cooperative o consorzi che fanno da intermediari con i committenti, e cioè le aziende di cui sopra. Quello che i facchini, alcuni dei quali negli ultimi anni hanno deciso di aderire al SiCobas per via della disponibilità alla lotta che quest’organizzazione ha mostrato, chiedono è invece precisamente il rispetto del contratto nazionale, considerato anche come base per rivendicazioni future in grado di porre il problema del superamento del sistema delle cooperative.

Quest’ultime hanno di fatto un ruolo di intermediazione fra i lavoratori e i committenti la cui ragion d’essere sta nel fatto che, in tal modo, i secondi riescono ad abbassare i costi, relazionandosi non direttamente alle maestranze, ma alle cooperative di cui i facchini della logistica figurano come “soci”. Le cooperative, infatti, sono in grado di offrire i propri servizi a prezzi estremamente competitivi, comprimendo il costo della forza lavoro in varie forme, che secondo Zerbini e il SiCobas vanno dal mancato rispetto del contratto nazionale di riferimento, pure al ribasso rispetto alla media dei salari operai italiani, all’applicazione di regolamenti interni in deroga al contratto stesso, passando per una massiccia evasione fiscale contributiva. Alcune di queste cooperative, infine, sono finite in passato al centro di inchieste giudiziarie perché in odore di criminalità organizzata (di una rete di cooperative attive nel settore della logistica erano titolari anche Enrico Di Grusa e Cinzia Mangano, rispettivamente genero e figlia dello “stalliere di Arcore”,arrestati lo scorso settembre).

Del pestaggio che ha subito, del sistema delle cooperative e delle lotte della logistica abbiamo parlato con Zerbini stesso che, nonostante un labbro spaccato e diversi punti di sutura sulla fronte, ha analizzato lucidamente tanto gli ultimi eventi quanto il contesto più generale che ne è all’origine.

Partiamo dall’aggressione di qualche giorno fa…
La dinamica è molto semplice, si è trattato di una trappola. La notte del 23 dicembre mi hanno rotto lo specchietto della macchina, lasciandomi un biglietto con scritto “Scusa, sono stato io, mi chiamo Giuseppe, ti lascio il mio numero. Chiamami che ci mettiamo d’accordo per il risarcimento”. Eravamo alla vigilia di uno sciopero. Nessuno ovviamente va a pensare a una cosa del genere, quindi ho chiamato e ho parlato al telefono con una persona disponibilissima. Mi ha detto di essere un camionista, di abitare a Palermo e di essere momentaneamente in Sicilia, dandomi appuntamento a dopo l’Epifania, quando sarebbe tornato a Milano. Lo sento quindi il 10 gennaio e fissiamo un appuntamento per il 14. Arrivato sul posto mi dice: “vieni che ho il camion qui dietro”. Il camion ovviamente non c’era, mentre c’era un altra persona che, insieme al primo, mi ha riempito di botte al grido di “basta assemblee operaie!”. Questo è quello che è avvenuto. Premeditato, organizzato ed eseguito.

Perché pensi sia successo? Hai idea di chi possa essere stato?
Si tratta senz’altro di qualcuno legato al mondo delle cooperative della logistica. Chi sia nello specifico, a quale cordata sia legato, a quale cooperativa o committente, ovviamente non è dato sapere. Proprio il 23 avevamo uno sciopero di ottanta facchini che lavorano per la Kuehne-Nagel, un importante operatore del settore logistico, a Santa Cristina, in provincia di Pavia. Si tratta di un magazzino in cui vengono movimentate merci per la Carrefour. Ma, ripeto, è difficile dire da dove venga l’iniziativa di quest’intimidazione, perché le cooperative i cui lavoratori hanno cominciato, da cinque anni a questa parte, a scioperare non sono poche… Personalmente penso si tratti di settori legati a qualche circuito malavitoso che ha le mani in pasta un po’ dappertutto e che ritiene, operando con la politica del terrore, di poter far fare un passo indietro a me o al resto del movimento. È evidente che sono degli illusi.

In passato, se non erro, alcune aziende operanti nel settore della logistica e del trasporto merci sono finite sotto inchiesta per collusione mafiosa…
Assolutamente, questa del rapporto fra pezzi di criminalità organizzata e mondo delle cooperative non è una nostra deduzione. Ci sono già stati degli arresti. Ormai quasi settimanalmente la guardia di finanza sequestra beni, arresta persone, blocca conti bancari coinvolti in truffe, evasione e quant’altro. Le cooperative offrono di fatto a ambienti malavitosi la possibilità di fare soldi sfruttando i bassi salari, il mancato rispetto del contratto nazionale e l’evasione contributiva fiscale. È del tutto plausibile che, in una fase come quella attuale, in cui lo Stato italiano è meno disposto di prima, stante la crisi e il suo indebitamento, a tollerare determinate sacche di evasione, e in cui i lavoratori si ribellano e rendono in questo modo più difficoltoso fare profitti aumentando il tasso di sfruttamento e diminuendo le retribuzioni, qualcuna di queste realtà possa perdere la testa e pensare che aggredire un sindacalista possa essere utile a ribaltare la situazione. Ripeto, sono degli illusi, e non ci spaventano per niente.

In che modo, secondo te, avete dato fastidio?

Sono anni, in realtà, che diamo fastidio. Nel settore della logistica e del trasporto merci esiste un contratto nazionale, già al ribasso rispetto a quella che è la media salariale operaia in Italia, che viene costantemente aggirato da un sistema che si basa appunto sull’utilizzo delle cooperative. Da una parte vengono applicati regolamenti interni in deroga al contratto, dall’altra c’è il ricorso a metodi repressivi e schiavistici per cui il lavoratore, per lo più immigrato, si becca quello che gli danno.

Ok, ma perché prendersela proprio con un piccolo sindacato come il SiCobas?
Perché, rispetto a tutta questa situazione, noi abbiamo avuto il ruolo di quelli che rompevano le uova nel paniere. Abbiamo cominciato cinque anni fa, poi il movimento si è espanso, e i guadagni di queste persone sono diminuiti di conseguenza. Aggiungi a questo quanto dicevamo prima, e cioè che questo tipo di circuiti economici si trovano ad essere profondamente intrecciati a dei circuiti di criminalità organizzata che usa questa forma di caporalato per reclutare gente e fare profitti dando salari da fame. Quindi qualcuno, che magari oggi trova anche meno sponde di cinque anni fa, deve aver pensato che era il caso di reagire con le minacce e le aggressioni. Ma è una strategia debole, non si può cancellare d’un colpo un movimento che conta sulla partecipazione di 6.000 operai organizzati, di cui 300 operano anche al di fuori della loro azienda. Lavoratori che hanno preso coscienza dei propri diritti e del proprio potere lottando. Quello che da fastidio credo sia soprattutto il fatto che abbiamo messo in moto un meccanismo che non punta solo al risultato economico ma anche a ribaltare dei rapporti di forza. Si è cominciato a parlare di dignità, di controllo dell’organizzazione del lavoro. C’è stata una presa di coscienza del fatto che le cooperative sono in realtà semplicemente degli intermediari inutili, dato che non detengono né il capitale né i mezzi di produzione. Di conseguenza, fra i lavoratori si è diffusa anche la domanda sul perché uno debba lavorare come uno schiavo per mantenere in vita queste entità. Ma soprattutto, attraverso gli scioperi, ci si è resi conto del fatto che, se tu non lavori, l’intermediario sprofonda… In sostanza, c’è stato negli ultimi anni un processo di coscientizzazione e di acquisizione di potere che ha investito i lavoratori. E nel momento in cui uno acquisisce potere finisce anche per chiedersi perché mai poi debba mollarlo.

Quali sono, invece, i vostri obiettivi economici e più strettamente sindacali?
Fondamentalmente uno: l’applicazione piena di un contratto nazionale che, per altro verso, noi critichiamo e non abbiamo firmato. Non lo abbiamo firmato perché, come ho già detto, fissa una retribuzione che è inferiore alla media dei salari operai presenti in Italia. Eppure, stante questa critica, siamo consapevoli del fatto che il contratto nazionale di categoria è pur sempre un “pavimento”, per così dire. Quando i facchini avranno il contratto nazionale come pavimento potranno cominciare a guardare avanti. Fin quando invece il contratto rimane un tetto grondante miseria, sudore e sangue sulla testa degli operai, è più difficile porsi altri obiettivi. Il rispetto del contratto è un punto di partenza, una condizione unificante di un’intera categoria necessaria per poter arrivare a pesare all’interno di uno scacchiere politico più generale in cui i lavoratori sono sotto attacco.

Quali zone e città d’Italia sono state interessate, finora, dalle mobilitazioni della logistica?
Inizialmente siamo partiti dalle provincie di Varese e Milano. Ora lo scacchiere è completamente cambiato, nel senso che l’Emilia Romagna forse è diventata un po’ la roccaforte numerica, Milano si è allargata immensamente, e poi siamo presenti anche ad Ancona, Roma, Torino, Genova, Napoli, Firenze… Insomma, cominciamo a travalicare i confini geografici di partenza. Evidentemente siamo riusciti a toccare delle corde scoperte.

Una disponibilità alla lotta che è tanto più significativa se consideriamo che stiamo parlando per lo più di lavoratori immigrati, per i quali perdere il lavoro può significare il rischio di essere rimpatriati. Un settore quanto mai marginale…
Si tratta di lavoratori che erano marginali, e che ora non lo sono più, né si sentono più tali, proprio grazie alle mobilitazioni che hanno messo in campo. Quello della logistica, del resto, è un ganglio fondamentale del capitalismo contemporaneo. A seguito del processo di delocalizzazione della produzione industriale propriamente detta, di riduzione numerica della classe operaia industriale autoctona e di terziarizzazione, servizi come quello della movimentazione delle merci all’interno dei magazzini dei grandi poli logistici, che sfruttano per lo più manodopera immigrata, hanno assunto un peso enorme. Questi immigrati, però, non sono più quelli arrivati col barcone. Oggi sono dei lavoratori che hanno una casa, mandano i figli a scuola, e che attraverso lo sciopero si rendono conto di avere un peso e un potere oggettivi.

Come pensate di reagire, nell’immediato, a questa grave intimidazione?
Terremo innanzitutto un’assemblea domenica prossima (19 gennaio 2014, ndr), alle 11 di mattina, presso il Csa Vittoria di Milano. Lì decideremo il da farsi, ovvero che tipo di risposta politica dare per andare oltre la pur comprensibile reazione emotiva iniziale di tanti lavoratori, che sono arrabbiati per quanto mi è successo. Personalmente ritengo sia prioritario proseguire il percorso che abbiamo già iniziato, se possibile facendolo salire di livello politico tramite l’organizzazione di una mobilitazione unitaria, magari uno sciopero nazionale che abbia come parola d’ordine quella dell’eliminazione del sistema delle cooperative. Su tutto questo, ad ogni modo, deciderà l’assemblea di domenica mattina.

(17 gennaio 2014)

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