La Fiom e la falsa prospettiva dei “contratti di solidarietà”

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, una lettera da parte di una nostra simpatizzante, lavoratrice precaria. Abbiamo più volte commentato sul nostro sito il comportamento della Fiom alla FIAT di Pomigliano, questa lettera non fa altro che confermare le considerazioni che già in passato abbiamo espresso. Attraverso le proprie manovre, i propri inganni, la Fiom – oltre a svolgere il ruolo di “pompiere delle lotte” – illude i lavoratori con false prospettive politiche, proprie del riformismo “di sinistra”. Basti ricordare il sostegno dato dalla Fiom di Napoli al sindaco Luigi de Magistris o l’alleanza con “Rivoluzione civile” alle ultime elezioni nazionali. […]
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Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, una lettera da parte di una nostra simpatizzante, lavoratrice precaria. Abbiamo più volte commentato sul nostro sito il comportamento della Fiom alla FIAT di Pomigliano, questa lettera non fa altro che confermare le considerazioni che già in passato abbiamo espresso. Attraverso le proprie manovre, i propri inganni, la Fiom – oltre a svolgere il ruolo di “pompiere delle lotte” – illude i lavoratori con false prospettive politiche, proprie del riformismo “di sinistra”. Basti ricordare il sostegno dato dalla Fiom di Napoli al sindaco Luigi de Magistris o l’alleanza con “Rivoluzione civile” alle ultime elezioni nazionali. La compagna fa anche più volte riferimento alla recente lotta dei lavoratori Amt di Genova, invitiamo i lettori a leggere l’articolo da noi pubblicato sull’argomento.

Cari compagni, vi scrivo perchè vedo che siete tra i pochi, forse gli unici, che criticate la Fiom e, con essa, più in generale i sindacati e il loro modo di operare nonché la loro reale funzione istituzionalizzata di mediatori e pompieri delle lotte dei lavoratori. E ciò non solo sul piano della gestione dei conflitti sociali ma anche e soprattutto su quello della mediazione-programmazione economica centralizzata (di tipo meramente contrattuale-concertativo e dunque a tutti gli effetti politico) tra lavoratori e padronato: un ruolo del tutto interno e integrato alle logiche e esigenze di compatibilità di quello che essi chiamano il “sistema-Paese”. Insomma, in una parola: del tutto succube degli interessi del padronato.

Ho avuto di recente una interessante conversazione con un militante attivo e molto combattivo nel sindacato FIOM di Pomigliano e nella stessa fabbrica.

Ecco la falsa prospettiva politica e, a suo dire, strategica…

Egli sosteneva a gran voce la rivendicazione che Fiom fa da lungo tempo della pratica dei cosiddetti “contratti di solidarietà” (a Pomigliano come altrove), dichiarando che essi, più che una “soluzione”, sarebbero un valido strumento per riportare circa 1600 Cassintegrati a zero ore di nuovo nel ciclo produttivo…. in attesa di nuovi modelli da produrre. E a questa valutazione aggiungeva pure la discutibile tesi circa la funzionalità di questo strumento in quanto stimolo alla solidarietà fra i lavoratori (qui starebbe dunque una vera e propria strategia classista…).

Questa sarebbe quella che io definisco con sarcasmo la “preziosa” strategia Fiom. Valutiamola insieme un attimo.

La mia prima, sostanziale e legittima domanda rivolta al sindacalista Fiom è stata:

tutto ciò a quale prezzo?! Coi contratti di solidarietà si farebbero rientrare 1600 persone a tot ore (ovviamente ridotte) e al tempo stesso si costringerebbero gli attuali lavoratori ad orario pieno ad una riduzione di orario, e ovviamente di salario. Si dice: in attesa di “nuovi modelli” (già, come quelli promessi a suo tempo da Marchionne…) che però – semplicemente – non verranno affatto: e per esserne consapevoli basterebbe comprendere il perchè questi “nuovi modelli” si preferisca produrli, niente affatto per caso, altrove: in Polonia, in Croazia, negli States, nell’Est Europa in generale.

Il perchè è il “costo del lavoro”. Solo abbassando drasticamente quel “costo” – oltre che riducendo al minimo la peraltro scarsa combattività operaia (in odor di lievitazione), nonché dimagrendo energicamente i costi sociali gravanti sulle aziende e i lacci e lacciuoli burocratici (i cd. adempimenti fiscali e non solo) – il capitale FIAT, e non solo, tornerebbe a produrre in Italia: altra scelta esso non ha per ripristinare i suoi livelli di competitività rispetto ai concorrenti internazionali.

Ed ecco che, con i contratti di solidarietà, nei fatti, si dà una gran mano in questa direzione al padronato tutto: usare sì più lavoratori nel ciclo produttivo ma ad un salario irrisorio per un numero di ore lavorative irrisorie.

Certo, ammesso che il padronato sia “disposto” – magari a fronte di qualche “gentile” concessione o incentivo statale – a rivoluzionare turnazioni di lavoro che, diventando più frequenti i cambi-turno, rischierebbero di intaccare i ritmi di produttività per l’azienda (se consideriamo che andare a pisciare è diventato oggi un vero e proprio “privilegio” per gli operai alle catene di montaggio e non solo!).

Nonché si farebbe un grosso favore al “sistema Italia” nel suo complesso, che conterebbe così di poter disinnescare in parte la tensione sociale crescente dei lavoratori licenziati, disoccupati, cassintegrati, precarizzati, ipersfruttati, concedendo loro – perché se ne stiano tranquilli – una più “egualitaria” distribuzione dei carichi di lavoro ad una retribuzione, ovviamente (se nel capitalismo si resta), ridotta e commisurata alle esigenze di estrazione di plusvalore (ossia di tempo di lavoro non remunerato al lavoratore), poi destinato a tramutarsi in tintinnanteprofitto.

Sarebbe dunque questa la strabiliante e strategica “ricetta-tampone” della FIOM?!?!?

Ed ecco la prospettiva ideologica…

Ma non ci fermiamo mica qui, compagni, purtroppo … c’è da dire con estrema amarezza.

Perché a questo punto il nostro sindacalista, alle mie risposte, si inalbera pure, e inizia ad emettere una serie di pedagogiche quanto moralistiche e patetiche indicazioni circa la “necessità di comprendere la triste realtà della situazione dei lavoratori nello stabilimento Pomigliano e Ergom”, circa il “parlare a vanvera senza conoscere come stanno le cose”, circa il “metterci la faccia” (sì, la mitica faccia di bronzo, però!) e via proseguendo. Tacendo peraltro furbescamente la situazione nel cosiddetto “reparto confino” di Nola, alla cui istituzione la Fiom non si è per nulla opposta se non a chiacchiere.

Insomma, a detta del nostro sindacalista Fiom, il CDS servirebbe per rimettere tutti in “partita”, riportare tutti nello stesso contesto, riunire di nuovo tutti i lavoratori all’insegna proprio della condivisione (della miseria, aggiungo io) e la “solidarietà” superando questa divisione che l’azienda (solo l’azienda?!) ha creato. Per cui, sempre a suo dire, sarebbe sciocco disquisire o lamentarsi di riduzione di salario davanti alla grande “opportunità” che lavoratori fuori da ben 4 anni possano vedere un aumento di ore lavorate e quindi di salario. Per non parlare del fatto che se si riporta tutti sulla stessa barca si diventerebbe – sempre a suo dire – più forti (eeeh?!) per chiedere poi un futuro certo alla fabbrica. Insomma: ancora le trite e ritrite illusioni sul “buono e comprensivo” padronato riportato sulla mitica via di Damasco…

“Tu hai forse una ricetta migliore?”, è stata la domanda che, tra il sarcastico e il tono di sfida, ilcaro sindacalista mi ha rivolto.

Ora – io rispondo – premesso intanto che “sulla stessa e pessima barca” i lavoratori lo sono già (in quanto salariati nullatenenti costretti a vendere – qualora sia loro “consentito” – la propria forza lavoro al capitalista: cosa sempre molto difficile in tempi di crisi), io non tengo per nullaalcuna ricetta.

La ricetta la tengono piuttosto i lavoratori, tutti insieme, quelli che – come a Genova (e siamo ancora solo all’inizio!) – hanno per ora solo intuito che i sindacati non solo fanno il gioco dei padroni (coi quali firmano gli accordi limitandosi a far sì che, in un “modo” o nell’altro – vergognosi referendum di ratifica “sotto ricatto” o strane “transumanze” da un lato all’altro di una sala assembleare – i lavoratori si sentano costretti ad approvarli, anche senza conoscerli ma soprattutto senza averli decisi) ma lo fanno persino in modo talmente farsesco, vergognoso, sporco e sempre più evidente che… è meglio far da sè.

Le illusioni, fra noi lavoratori, persistono ancora e sono tante, troppe: riconosciuta come significativa la loro iniziativa autonoma di lotta (mi riferisco a Genova, ma non solo), essi però cadono ancora nell’illusione di poter “condurre” il sindacato sulla retta via, ossia dalla loro parte e, quando non ci riescono (perchè il sindacato, come a Genova, riesce a fotterli sempre e ancora!) si limitano per adesso ad urlare e assaltare il palco, anziché evacuare quella sala e riunirsi altrove a decidere loro, lasciando quel fesso col microfono in mano a parlare e “sermonare di democrazia” alle sedie! Magari tirandogliele pure addosso, le sedie, prima di uscir fuori e abbandonarlo al suo destino di oratore solitario…

Quanto credete ci metteranno ancora i lavoratori a capire?! E a regolarsi di conseguenza?! Fatevi due conti…

Il buon sindacalista mi accusa allora, e ancora, di non essere presente sul posto e perciò di non poter capire le condizioni dei lavoratori create (da chi? chiedo io…) dopo anni di cassa integrazione, minacce e discriminazioni. Avallate da chi?! – chiedo io.

E mi sfida vivamente persino a fare un giro negli stabilimenti di Pomigliano per parlare coi lavoratori e comprendere così il contesto di cui stiamo parlando.

Oh, ma io lo capisco eccome – gli rispondo – lo comprendo bene e, ti dirò di più, lo vivo pure sulla mia pelle il contesto di cui parli.

Non occorre essere “presenti fisicamente” in un luogo per comprenderne le dinamiche sociali e psicologiche ed “assaporare” le disumane condizioni del lavoro salariato. Come vedi e dovresti sapere, caro sindacalista, la condizione di ricatto e di sottomissione dei lavoratori è ovunque la stessa, persino nella lurida e piccola bottega dove io lavoro, a nero, senza garanzie, senza tutela alcuna, e solo quando al padrone servo per sfornargli il caldo e quotidiano profitto.

E infatti ancora – come vediamo – stare “in mezzo” a quei lavoratori non è affatto, di per sè, motivo di maggior saggezza, chiamiamola così. Dunque, per favore, evita le morali, caro sindacalista.

Quanto ai contratti di solidarietà che, come tu sostieni, dovrebbero riportare tutti sulla stessa barca o in gioco nella stessa partita, mi piace aggiungere: certo, eccome no, la “partita” del non riuscire – tutti insieme però, vedi che bella soddisfazione! – ad arrivare manco alla metà del mese con salari da fame, mentre il padrone se la ride perchè, tutto sommato, avere operai in turnazione frequente sarà pure un “inconveniente” dal punto di vista organizzativo, ma vuoi mettere: si tratta di lavoratori sempre freschi, svegli e volenterosi che di certo produrranno pure di più e meglio! …

Addirittura i CDS rafforzerebbero la solidarietà tra lavoratori?! Niente affatto, caro sindacalista Fiom, che dici di vivere a contatto coi lavoratori e dunque, per ciò stesso, di conoscerli bene: non è condividendo la miseria che automaticamente si rafforza la solidarietà. Così, al contrario, gli operai si scanneranno l’un con l’altro più di quanto non facciano oggi, cercheranno di fottersi a vicenda, perché il ricatto su di loro sarà ancora più pressante; sarà incrementata la delazione, il servilismo (“aumento il ritmo di lavoro e spazzolo un po’ il padrone mostrandomi più disponibile con gli straordinari, così lo fanno fuori a quello e io magari ottengo qualche ora in più di lavoro”), la divisione, la contrapposizione (“ma n’vedi a quello che conto che s’è fatto: mò rientra lui ed esco per metà fuori io!”).

Certo, si “generalizzerà” il lavoro, se ne darà “un po’ a ciascuno” così magari staranno tutti buoni e zitti, tutti sotto il medesimo ricatto, non si lamenteranno e, soprattutto, non alzeranno la cresta delle rivendicazioni: certo, tutti al lavoro ma con salari da fame e senza alcuna prospettiva.

La Fiom ne ha firmati eccome, di accordi contro i lavoratori (non saremmo a questo punto, altrimenti), anzi ha fatto pure di peggio: non solo ha veicolato l’illusione che col padronato si potesse trattare e che di esso ci si potesse fidare (garante nientemeno lo Stato!), ma ha anche vergognosamente accettato, ribadito e sottolineato la loro condizione di “ricattati” per ricavare consenso al suo modo di operare, di concertare, di contrattare al ribasso, sempre più al ribasso in nome del «O così o si chiude e si perde tutti il lavoro! Stringete i denti, firmate ‘sto cazzo di referendum sull’accordo e stateve zitti!»

E intanto si chiude lo stesso: come la mettiamo?!

Ripeto, caro sindacalista: cca nisciuno è fesso! Non li si prenderà in giro ancora per molto. E questo dovrebbe preoccupare chi lo ha fatto sinora.

La strada, l’unica strada, è quella della lotta unita ed intransigente, di difesa e di rivendicazione oltre e contro ogni compatibilità che non sia quella dei lavoratori e dei loro interessi: quella sì presuppone e realizza solidarietà, quella sì che unisce tutti sotto la parola d’ordine: “tutti dentro, nessuno fuori, nessuno escluso, con orario di lavoro ridotto per tutti e a parità di salario”. Perchè, “alla fine del mese, s’ha da arrivà e tutti i santi giorni s’ha da magnà! Perchè: oggi è successo a me, di perdere il lavoro, domani succederà a te!”

Ora è chiaro il concetto!? La falsa solidarietà di quei contratti-capestro è palese a tutti, ma il ricatto non dura a lungo quando non s’ha più nulla da perdere, caro sindacalista, “quanno non s’arriva a campà e sfamà” se e la propria famiglia, quanno arrivano tasse e balzelli d’ogni sorta per i quali i risicati salari e stipendi dei contrattisti di solidarietà (i lavoratori) non basteranno mica. Che fa … continuo?!

Se e quando i lavoratori hanno paura, la loro paura deve essere trasformata in unità, in forza d’urto, in coraggio, perchè tutti insieme si è una forza e questo dovrebbe essere il ruolo dei lavoratori più sensibili e combattivi! E non invece invitare i lavoratori, a cose fatte, asottoscrivere accordi al ribasso o a passeggiare per le vie della città con bandiere rosse e striscioni, una o due volte l’anno, per dar loro il contentino della protesta manifestata fine a se stessa.

La protesta è tale se colpisce il padrone, se blocca il ciclo produttivo, se si svolge nei luoghi di lavoro, se si avvia senza preavviso e se si protrae, se ferma la produzione e danneggia i quotidiani affari del padronato. Quando i giochi sono già fatti, gli accordi siglati e la truffa del rinvio ormai portata a compimento, e si “passeggia” soltanto, la “protesta” non serve davvero a nulla!

A ricordartelo ancora, la “ricetta alternativa” l’hanno già intuita i lavoratori di Genova: scavalcare tutte le ridicole leggi anti-sciopero e le istituzioni, sindacati inclusi, e far da sé.

Certo, per ora l’intuizione ha riguardato, e si è fermata – tragicamente sconfitta – al piano della mera iniziativa di lotta, per l’appunto assunta e decisa autonomamente dai lavoratori stessi. Ma è solo il primo passo.

La disgustosa ed ennesima trappola finale tesa dal sindacato stesso – ligio e fedele interprete del suo pluridecennale ruolo di “pompiere” delle lotte e di divisore dei lavoratori per categoria e singola azienda – è scattata puntuale ed senza apparente via di scampo. E la rabbia di una parte soltanto dei lavoratori è esplosa.

Nessuno spazio o attenzione neanche per la “forma”: bisognava fare in fretta, la cosa s’aveva da far rientrare nel più breve tempo possibile nei ranghi della “opportunità politica e della sacra democrazia”. Esso proclama a gran voce: l’iniziativa autonoma vabbene, se ne doveva pur prendere atto: ma la “decisione”, l’accordo – signori miei – siamo Noi Sindacato a doverlo stipulare! Vuoi mettere che questi mò vogliono pure metterci fuori gioco a noi?!?!?! Se lo scordino pure. Eccoci qua!

Eccola la strada, eccola l’alternativa, o la ricetta se così piace chiamarla: è quella, è l’organizzazione autonoma, la lotta ad oltranza (oltre i ricatti di multe, processi e precettazioni, oltre le leggi di regolamentazione dello sciopero – tutte quelle da voi sindacalisti sottoscritte e difese!) e l’unità intransigente dei lavoratori per i loro esclusivi interessi!

Le illusioni stanno già iniziando a crollare, seppure in modo lento ma, dico io, inesorabile.

C’è chi lavorerà politicamente perché quel crollo avvenga nel più breve arco di tempo e non lasci, ancora una volta, sul terreno alcuno spazio alla rassegnazione e alla disillusione dei lavoratori, magari con il loro abboccare all’amo del cosiddetto sindacalismo (quello di base)parolaio e solo apparentemente più radicale, il cui ruolo è semplicemente intercettare e tenere a bada proprio le frange più radicalizzate e coscienti dei lavoratori, con fumose quanto inconsistenti fraseologie simil-rivoluzionarie o falsamente “intransigenti” (i Cremaschi, i Milani e compagnia bella).

Al nostro sindacalista Fiom piace ora ribadire, per concludere:

Seminare illusioni ha un limite, caro sindacalista. Non si può continuare all’infinito. I lavoratori non sono fessi. La Fiom se ne ricordi, ogni tanto… E adesso la domandona finale: chi davvero ha preso e prende per il culo, e per la gola, i lavoratori?!

un operaio
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