BRASILE: UN “DIA DA INDEPENDÊNCIA” POCO CELEBRATIVO

Redazione di Operai Contro, Dopo essere sparito dalle news italiane, probabilmente il Brasile vi tornerà domattina. Oggi, “giorno dell’indipendenza”, il fiasco delle celebrazioni non poteva essere più sonoro. Ci aveva provato ieri, Dilma, nel suo messaggio a reti unificate, a cantare le lodi delle “magnifiche sorti e progressive” del maggior paese latinoamericano, tracciando un quadro trionfale e addirittura levando un peana contro la corruzione, sorvolando sul trascurabile dettaglio che il suo partito e i suoi alleati sono stati inequivocabilmente beccati con le mani nella marmellata. “Cara de pau” (faccia di bronzo), dicono qui. Ma ha fatto un buco nell’acqua. […]
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Redazione di Operai Contro,

Dopo essere sparito dalle news italiane, probabilmente il Brasile vi tornerà domattina.
Oggi, “giorno dell’indipendenza”, il fiasco delle celebrazioni non poteva essere più sonoro.
Ci aveva provato ieri, Dilma, nel suo messaggio a reti unificate, a cantare le lodi delle “magnifiche sorti e progressive” del maggior paese latinoamericano, tracciando un quadro trionfale e addirittura levando un peana contro la corruzione, sorvolando sul trascurabile dettaglio che il suo partito e i suoi alleati sono stati inequivocabilmente beccati con le mani nella marmellata. “Cara de pau” (faccia di bronzo), dicono qui.
Ma ha fatto un buco nell’acqua. Non c’è stata città importante in cui non ci siano state manifestazioni di protesta, anzi, dove non ci siano stati scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, a quanto pare decise a riprendere il controllo della piazza perso nelle giornate di giugno.
I confronti sono stati particolarmente estesi e violenti a Rio, dove è intervenuto persino l’esercito.
A Brasilia, la capitale, ci sono stati incidenti davanti allo stadio Garrincha, dove era in corso il match Brasile-Australia, e nel percorso della sfilata ufficiale, a protezione della quale erano schierati 4500 agenti della polizia militare. Nel pomeriggio anche l’esplanada, di fronte ai ministeri, è stata invasa dai manifestanti.
Dopo le manifestazioni della mattinata, pomeriggio di scontri anche nella maggiore metropoli brasiliana, San Paolo, dove un gruppo ha bruciato la bandiera del Brasile e alcune arterie sono rimaste a lungo bloccate.
Confronti tra forze dell’ordine e manifestanti anche a Curitiba, Porto Alegre, Belem (dove è interventa, come ai vecchi tempi, la polizia cavallo), Aracaju, Fortaleza, Maceió, Salvador de Bahia, Recife. Alcune strade bloccate a Florianopolis.
E’ la prova, se ve n’era bisogno, che il movimento iniziato con le gigantesche manifestazioni di giugno è ben lungi dall’essere esaurito. I mesi passati da allora sono stati infatti segnati da un proliferare di mobilitazioni diffuse, che hanno interessato i più diversi strati popolari e le più diverse categorie di lavoratori. Si sono
mosse le favelas, gli indios, i pendolari: proteste hanno investito gli ospedali e le scuole. Persino la polizia è scesa in piazza. E poi insegnanti, camionisti, autoferrotranvieri. Il 30 agosto le maggiori confederazioni sindacali sono andate di nuovo in piazza, e in vari luoghi la giornata è stata, malgrado l’orientamento filogovernativo della Cut e degli altri sindacati, tutt’altro che tranquilla.
Oggi, per la piazza, è stato un appuntamento importante anche per un altro motivo. Una legge varata pochi giorni or sono, con intenti evidenti, ha istituito il divieto di coprire il volto durante le manifestazioni e, come era da aspettarsi, molti manifestanti l’hanno sfidato.
Quello che preoccupa è la sproporzione apparente tra la risolutezza delle mobilitazioni e l’incapacità dei movimenti di trovare uno sbocco politico radicale: passando dalla miriade di rivendicazioni particolari e locali a quelle generali, il movimento sembra non riuscire a trovare un terreno unificante che vada oltre una generica lotta contro la corruzione, prontamente fatta propria da tutti i partiti dell’arco costituzionale. Nei cortei, oltre alle solite rivendicazioni riguardanti i servizi sociali (trasporti, sanità, educazione), e alla richiesta di riforma del codice penale, ha fatto la sua apparizione persino la richiesta della “riforma politica”, che è la principale parola d’ordine del governo di Dilma.
Il pericolo di una soluzione fittizia è dunque reale. Ma anche il malcontento e l’insofferenza della popolazione e dei lavoratori.
Alessandro Mantovani
Florianopolis, 7 settembre 2013

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