BRASILE CORRISPONDENZE

Brasile: “vem pra rua” 19 giugno, il movimento non si arresta. Continua a San Paolo, in vari punti della città, mentre a Fortaleza la contestazione contro la Confederation Cup e i mondiali del prossimo anno si è concretizzata in momenti di grande tensione e scontri davanti allo stadio che ospiterà tra poco la partita Brasile-Messico. Ma è di ieri 18 giugno che vale la pena di parlare: a San Paolo cinquanta mila persone si sono di nuovo concentrate nel centro città, dividendosi in due tronconi, uno dei quali ha ingaggiato duri scontro con la polizia di fronte al palazzo del […]
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Brasile: “vem pra rua”

19 giugno, il movimento non si arresta. Continua a San Paolo, in vari punti della città, mentre a Fortaleza la contestazione contro la Confederation Cup e i mondiali del prossimo anno si è concretizzata in momenti di grande tensione e scontri davanti allo stadio che ospiterà tra poco la partita Brasile-Messico.

Ma è di ieri 18 giugno che vale la pena di parlare: a San Paolo cinquanta mila persone si sono di nuovo concentrate nel centro città, dividendosi in due tronconi, uno dei quali ha ingaggiato duri scontro con la polizia di fronte al palazzo del Municipio. Ma mentre nella grandi capitali il movimento viveva un momento di relativa contrazione e riflessione, esso investiva il Brasile profondo. Non si contano i centri minori e piccoli in cui esso è dilagato, al punto che possiamo dire che esso interessa oramai numeri di persone a sei zeri

Uno dei centri entrati ieri nel fiume in piena è proprio Florianopolis, da dove scriviamo.

Certo, i diecimila di questa “provincia”, non possono essere paragonati ai centomila di Rio e ai 65 mila di San Paolo. E non solo nei numeri. Nella ricca e “bianca” capitale della stato di Santa Caterina il malessere e la rabbia sono lontani dal raggiungere i livelli delle capitali maggiori. E infatti la manifestazione – che giunge a bloccare il ponte che unisce il lato continentale e quello insulare della città, paralizzando il traffico – si svolge pacificamente.

Ma con questi distinguo i giovani che hanno invaso –con grande energia, entusiasmo e determinazione – il centro, sono in gran parte gli stessi delle altre città brasiliane e, osservandoli da vicino, possiamo trarre qualche elemento di giudizio per la comprensione del movimento. Giovani scolarizzati certo, provenienti per lo più – è l’impressione di chi scrive –della cosiddetta “classe C”, ovvero lo strato “basso” di quella che in Brasile è definita “classe media” , quello dei figli dei lavoratori, che ha frequentato e frequenta le disastrate scuole pubbliche, e che solo ora ha cominciato ad aver accesso all’istruzione universitaria e alla cultura, ma che continua a scontare un gap rispetto ai ceti medi superiori.

Prendiamo le parole d’ordine: quella che ha visto le origini del movimento, il servizio di trasporto pubblico e gratuito, spiega un volantino, deve essere considerata come parte di una visione ampia: “il trasporto è il mezzo che garantisce l’accesso a tutti gli altri diritti fondamentali della popolazione, come salute, educazione, tempo libero. […] Una città esiste solo per chi può sportarsi in essa liberamente”.

Spiccano poi le contestazioni dei mondiali di calcio, a cui si contrappongono i bisogni di assistenza medica e di istruzione. Parecchi gli slogan contro la corruzione e le ruberie dei politici, tema caldissimo e attualissimo della politica brasiliana, che vede la popolarità del PT, il partito di Lula, ancora grande durante le ultime elezioni presidenziali, vinte da Dilma, scossa da una serie di scandali e malversazioni, oltre che dal pesante rallentamento della lunga fase di sviluppo economico e dalla ripresa temibile dell’inflazione

La rivendicazione d’indipendenza dai partiti è netta e manifesta, e questo, così come il ruolo in esso di internet e delle reti sociali, accomuna questo movimento a quello degli indignados in Spagna e di Occupy negli Usa. Questa somiglianza formale è verificata anche dalla presenza di numerose maschere di anonymous.

Ma l’analogia si ferma qui. Certo, Florianopolis è, rispetto a San Paolo, Rio e Belo Horizonte, “ai confini dell’impero”, ma è pur sempre la capitale dello stato di Santa Catarina, uno dei centri trainanti del capitalismo brasiliano, insieme a quelli di San Paolo, di Rio Grande do Sul e Paraná ed è quindi a suo modo rappresentativa. Ebbene, abbondano le bandiere del Brasile, e si sente cantare l’inno della nazionale brasiliana, “sou brasilhero, com muito orgulho”. Nei cartelli levati in alto dai manifestanti, scritte come “scusate per il disturbo, stiamo cambiando il Brasile”, “Il gigante si è svegliato”. “Ordine e progresso”. Nessun riferimento, pare, ai fatti di Istanbul, che pure con questi hanno diversi punti di contatto. I giovani, intervistati, rilasciano dichiarazioni contro i politici e la corruzione, ma non contro il padronato o l’idea dello sviluppo capitalistico. Né si sente parlare di lavoratori. L’eroe è “o povo”, il popolo. E dalle finestre degli edifici essi ricevono i calorosi applausi della popolazione, che palesemente simpatizza per loro.

Insomma, sembra che più che – come in Occidente – contro la crisi e la perdita del loro futuro, i giovani brasiliani stanno lottando con la speranza e la convinzione che il loro futuro possa e debba essere consolidato e migliorato. Alla “decrescita felice” sembrano preferire l’idea di una crescita riformata e resa più giusta, democratica e partecipativa. Almeno per il momento. Ma certo le dimensioni nazionali e generali del movimento stanno lasciando un’impronta la cui evoluzione potrebbe essere imprevedibile.

Intanto, “vem pra rua”, scendi in strada, è l’urlo incessante che unisce la moltitudine.

Alessandro Mantovani, Florianopolis, 19 giugno 2013

Brasile – primo tempo:

La strada vince sul palazzo

corrispondenze

Dopo che già in 22 centri minori, nei giorni scorsi, gli aumenti delle tariffe del trasporto urbano erano stati ritirati, oggi le autorità di San Paolo e Rio, ingoiando dietro un sorriso conciliante le intransigenti dichiarazioni dei primi giorni, hanno dovuto cedere, revocando a loro volta l’aumento dei biglietti.

Questo quando la portata politica generale del movimento, e la sua torsione antigovernativa, diventano sempre più evidenti, e l’appoggio della popolazione cresce intorno ai giovani che manifestano.

A San Paolo e a Rio le manifestazioni sono continuate, allargandosi alla cintura metropolitana, nei luoghi in cui le deficienze dei trasposti sono maggiori. Non sono mancanti gli incidenti. Ma gli scontri più violenti e preoccupanti hanno avuto luogo a São Luís, capitale del Maranhão, dove una parte dei quindicimila manifestanti ha assalito l’edificio che ospita la sede del governo statale, e soprattutto a Macapá, sede oggi di una vera guerriglia urbana: assaliti e saccheggiati il palazzo del governo dello Stato, il palazzo municipale, la Camera di Commercio, le strade bloccate dalle barricate e dai roghi eretti dai 25 mila manifestanti.

Il pericolo, per chi dirige la vita economica e politica del paese (a partire dalla onnipotente lobby della Petrobras, profondamente connessa al partito al potere, il PT, e alla Presidentessa Dilma) è che il movimento possa collegarsi alla grande ondata di scioperi che negli ultimi mesi ha interessato i lavoratori della salute, dei trasporti, dell’educazione, sia a livello federale che dei singoli stati.

Riusciranno la marcia indietro delle autorità e le dichiarazioni distensive di Dilma e della stampa, che stanno ora adulando la piazza, a disinnescare la miccia?

 

Alessandro Mantovani, Florianopolis, 20 giugno 2013

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