L’UOMO DI BERSANI PER IL QUIRINALE: MARINI EX DC, EX SEGRETARIO DELLA CISL,TROMBATO ALLE ELEZIONI

di Marco Dell’Omo Franco Marini, 80 anni, e’ nato in un piccolo paese vicino L’Aquila, San Pio delle Camere. Siamo sul bordo della piana di Navelli, dove si coltiva lo zafferano migliore d’Italia. Case in pietra, i resti di una vecchia fortificazione e le montagne del Gran Sasso che incombono severe. Qui lo scudocrociato e’ stato sempre una fede prima ancora che una convinzione politica. Una fede che ha sempre regalato alla Dc percentuali da plebiscito. Ma da San Pio, Franco si allontano’ presto. Il padre faceva l’operaio nella fabbrica della Snia di Rieti e aveva sette figli da […]
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di Marco Dell’Omo

Franco Marini, 80 anni, e’ nato in un piccolo paese vicino L’Aquila, San Pio delle Camere. Siamo sul bordo della piana di Navelli, dove si coltiva lo zafferano migliore d’Italia. Case in pietra, i resti di una vecchia fortificazione e le montagne del Gran Sasso che incombono severe. Qui lo scudocrociato e’ stato sempre una fede prima ancora che una convinzione politica. Una fede che ha sempre regalato alla Dc percentuali da plebiscito. Ma da San Pio, Franco si allontano’ presto. Il padre faceva l’operaio nella fabbrica della Snia di Rieti e aveva sette figli da far crescere. Nonostante le difficolta’ economiche, Marini si laureo’ in giurisprudenza ed entro’ nella Cisl. Fu Giulio Pastore, il fondatore della Cisl, a notare quel giovane e sanguigno sindacalista e a volerlo nel suo entourage. Negli anni 70, gli anni della contestazione, divento’ il numero due dell’organizzazione.

E, nel 1985, il decimo congresso lo incorono’ segretario generale. Lo chiamano ”il lupo marsicano”. Il soprannome gli si adatta bene: guidare un branco, ma con spirito individualista, pronto a mordere, quando serve, e a tirare dritto per la propria strada. Quasi tutti i leader sindacali ambiscono a entrare in politica. Molti ci provano, pochi ci riescono. Marini, indubbiamente, e’ tra questi ultimi. Nel 1991 l’anziano leader democristiano Carlo Donat Cattin, a sorpresa, gli affido’ le sorti della sua corrente. Si chiamava ”Forze nuove”, ed era un po’ l’avamposto del sindacalismo cattolico dentro la Dc, anche se i forzanovisti non facevano parte della sinistra democristiana ma avevano stretto un patto di ferro con l’ala moderata dello scudocrociato guidata da Arnaldo Forlani. Marini non si tiro’ indietro, ma molti dubitavano che l’irruento sindacalista abruzzese potesse sopravvivere nella giungla democristiana, dove anche i migliori amici sono pronti all’agguato. Invece Marini, che aveva quasi 60 anni e un’esperienza quarantennale di vertenze e trattative, si rivelo’ politico accorto e navigato.

Erano gli anni di Tangentopoli, e la balena bianca, travolta dagli scandali, perdeva consensi a vista d’occhio. Marini, comunque, nel ’92 entro’ in Parlamento. In quel periodo scopri’ un feeling con Giulio Andreotti. Fu ministro del Lavoro nell’ultimo governo andreottiano. A un certo punto, sembro’ che dovesse essere lui l’erede della potente corrente del primo ministro. Marini resto’ qualche anno nell’ombra . Fino a che, nel ’97, Mino Martinazzoli gli passo’ il testimone di segretario del partito popolare, nato sulle ceneri della Dc. La Prima Repubblica era ormai alle spalle, e i popolari avevano scelto la collocazione nel centrosinistra. Marini era perfettamente d’accordo, ma il suo obiettivo era quello di rafforzare l’area dei moderati. La sua segreteria coincise con l’arrivo a Palazzo Chigi di Romano Prodi.

L’uscita di Rifondazione Comunista dalla maggioranza mando’ il governo a gambe all’aria. E’ storia nota che Prodi alla Camera non trovo’ per un soffio i voti necessari per continuare. Molti si sono chiesti: ci fu un complotto contro Prodi ordito da D’Alema e Marini? Da allora, e sono passati dieci ani, Marini ha continuato a smentire. ”Invenzioni”, ”leggende”, ”ridicole falsita”’. Il rapporto con Prodi, del resto, non e’ mai stato facilissimo. Marini ha sempre avuto resistenze a mettere la parola fine all’esperienza del partito di ispirazione cristiana. Non ha mai visto di buon occhio l’idea di congiungere tutte le forze politiche riformiste. Quando lascio’ la segreteria del partito popolare, nel ’99, lo fece con un discorso che esortava i suoi a dire no ”al partito unico del centrosinistra”. La scelta del Pd , all’inizio, l’ha vissuta come una necessita’ imposta dalle circostanze. Nel 2006, sull’onda della seconda vittoria di Prodi, Marini vinse di un soffio la sfida tra due ex dc per la presidenza del Senato: il suo sfidante era Giulio Andreotti, candidato dal centrodestra. Nei due anni vissuti a Palazzo Madama, al di la’ di certe ruvidezze nel modo di presiedere l’assemblea, ha fatto valere le sue capacita’ di mediatore interiorizzate nella sua precedente vita di sindacalista. Come aveva promesso , del resto, nel suo discorso di insediamento: ”Sarò il presidente di tutto il Senato e in un dialogo fermo e mai abbandonato sarò il presidente di tutti voi con grande attenzione e rispetto per le prerogative della maggioranza e per quelle dell’opposizione”.

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