SULLE DIMISSIONI DELL’AMMINISTRATORE DELEGATO DELLA PREMIATA DITTA VATICANA

Tutti a scervellarsi, dopo le dimissioni di papa Ratzingher, e non sono pochi quanti si sforzano di trovare motivi e ragioni di queste strane dimissioni. E allora via, a sfogliare il diritto canonico con la speranza di avere conferme alla scelta del papa abdicatore, è inevitabile il tuffo nella storia: a memoria di secoli non si ricorda di un papa che abbia rassegnato le proprie dimissioni, anche perché secondo la  gerarchia vaticana avrebbe dovuto rassegnarle direttamente nelle mani di dio. Ma forse la stanchezza del papa non sarà stata diagnosticata da qualche santo, in un paradiso più o meno […]
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Tutti a scervellarsi, dopo le dimissioni di papa Ratzingher, e non sono pochi quanti si sforzano di trovare motivi e ragioni di queste strane dimissioni. E allora via, a sfogliare il diritto canonico con la speranza di avere conferme alla scelta del papa abdicatore, è inevitabile il tuffo nella storia: a memoria di secoli non si ricorda di un papa che abbia rassegnato le proprie dimissioni, anche perché secondo la  gerarchia vaticana avrebbe dovuto rassegnarle direttamente nelle mani di dio. Ma forse la stanchezza del papa non sarà stata diagnosticata da qualche santo, in un paradiso più o meno fiscale, ma è più quella di chi naviga in un mare di debiti  e di vincoli di bilancio, quelli del vaticano e dei suoi benefattori.

Dobbiamo credere alla debolezza umana di un papa teologo che, con gli anatemi che hanno  caratterizzato la sua carriera tra le fila dell’armata dei curati, con le crociate continue, alimentate dalla reazione politica imperante, contro gli omosessuali, contro il comunismo, contro tutto ciò che metteva la chiesa cattolica di fronte alle contraddizioni della società, ed ai tentativi tesi a superarli ha di fatto ricondotto la chiesa cattolica all’ottocento, quando i peggiori nemici erano il liberalismo, la democrazia ed il socialismo? A un senso di fallimento dovuto al crollo della popolarità papale svelato da un uso disinvolto dei social network, dove invece che raccomandazioni ed indulgenze si beccano contumelie e domande provocatorie? Alla solitudine di una chiesa sempre meno dialettica e quindi fragile, alla concorrenza spietata di religioni più giovani, e quindi più aggressive?

Forse tutto vero, ma non si può pensare che la stanchezza di un papa sia dovuta solo alla propria crisi di rappresentanza, alle pecorelle ormai adulte ed abituate a vivere la propria vita senza il filtro della morale cattolica. Più sensatamente si può supporre che, vista la crisi economica, la sua scelta non sia tanto differente da quella di qualsiasi amministratore delegato messo in minoranza dal consiglio di amministrazione. Non perché vi sia una riscoperta della democrazia tanto odiata che prende vita all’interno del consiglio di amministrazione, ma perché come sempre è la forza degli azionisti a fare la differenza. Ricordiamo che il Vaticano è e resta uno Stato a tutti gli effetti con un centro finanziario che gestisce il capitale immobiliare (APSA, il Patrimonio Apostolico Santa Sede), con un ministero dell’economia, e da una banca, lo (IOR) istituto opere religiose.

Lo IOR è da sempre un paradiso per il riciclaggio di denaro, grazie alla sua extraterritorialità, che verrà a mancare dovendosi uniformarsi alle leggi europee, ma che ha fatto sì che ingenti capitali siano stati investiti nelle banche degli amici tedeschi, sottraendoli a Unicredit e Intesa San Paolo. Evidentemente si vuole coprire quanto di sporco vi sia non solo nei 23 milioni di euro incriminati, che hanno dato il via allo spionaggio con il sacrificio del maggiordomo, finito per essere colpevole di stare dalla parte opposta del papa. Ci sono anche l’obolo di San Pietro, in declino da anni, i debiti accumulati con il comune di Roma e sempre pagati dal contribuente italiano, la perdita del S. Raffaele di Milano, aggiudicato a Rotelli che ne ha la gestione finanziaria diretta, e tutta la difficoltà della sanità pontificia che, grazie alla crisi, si è vista tagliare miliardi di euro di finanziamento pubblico e che sta costringendo le varie fazioni dei porporati a ridefinire il proprio rapporto economico con la finanza e con gli Stati, a partire da quello italiano.

115.000 immobili, 9000 scuole, 4000 ospedali e cliniche di vario ordine, un capitale immobiliare di miliardi di euro, la sottrazione al fisco, solo in Italia di 6 miliardi di euro all’anno, che grazie al concordato Stato Chiesa non possono essere verificati, tant’è che il Vaticano denuncia un capitale immobiliare di soli 50.000.000 di euro, forse per rispettare almeno nominalmente il voto di povertà. La riconversione di immobili in alberghi esentasse che sono la base gratuita di ingenti incassi nelle casse Vaticane del turismo religioso sfuggono finora ad ogni controllo fiscale, ma rischiano almeno parzialmente di cadere sotto la scure dell’IMU.

Una matassa intricata, e forse è da ricercarsi tra gli azionisti di maggioranza, curati e laici, l’impossibilità del capo della chiesa a ricomporre interessi finanziari divergenti. Non basta evidentemente l’aver cacciato Gotti Tedeschi dallo IOR per avere il controllo del sistema finanziario vaticano, che, per mantenersi deve poter continuare ad avere un flusso di capitali ingenti. Le richieste dell’Unione europea sulla trasparenza inducono a pensare che non sia più possibile avere nel cuore di Roma una piattaforma finanziaria come se fossero le isole Kaiman, un paradiso fiscale dedito al riciclaggio di danaro e non sottoposto a nessun accertamento fiscale. E i debiti accumulati, in un periodo di forte crisi economica, mettono in crisi un sistema parassitario che vive di trasferimenti pubblici, dove il patto di stabilità farà il resto aprendo scenari complicati nella vita economica legata alle finanze vaticane. Forse non basteranno le dimissioni del amministratore delegato, ci vorrà un miracolo.

SN FdCA, 14 febbraio 2013

 

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