Il decreto “Rilancia Italia” stanzia miliardi che si dividono poche migliaia di padroni. I miliardi stanziati per il lavoro dipendente e i poveri, divisi per il loro numero, sono una vera elemosina.
I
soldi che mancano o, se c’è un modesto risparmio da parte,
diminuiscono sempre più. La fatica di mettere insieme, ogni giorno,
un pranzo e una cena comunque siano, purché ci sia in tavola
qualcosa da mangiare. La fame, che da sconosciuta diventa sempre più
familiare. Le inesorabili scadenze di pagamento delle bollette. Le
drammatiche file ai banchi dei pegni per impegnare i pochi ricordi
disponibili dall’importante valore affettivo in cambio di un pugno
di euro, che svaniranno poco dopo per le esigenze più immediate, e
dell’incubo di non poter più riscattarli perché gli interessi
aumentano di giorno in giorno. L’impossibilità di riparare o
sostituire un rubinetto che perde, un armadio che si sfascia, una
cameretta per bambini che si rompe. La rinuncia a una visita medica e
persino alle medicine. E poi le liti per i soldi sempre scarsi, le
liti che squassano i rapporti fra conviventi, fra marito e moglie e
fra genitori e figli e rovinano affetti che sembravano in qualche
modo solidi.
Tutti i tormenti che segnano abitualmente la vita
quotidiana degli operai e delle loro famiglie, soprattutto se sono
monoreddito e peggio ancora se sono gravate dal peso di un affitto o
di un mutuo, sono diventati autentiche sofferenze con il
peggioramento della condizione operaia nell’emergenza sanitaria da
coronavirus.
Quella situazione di lavoro e di vita che a tanti
appariva un pericolo remoto, il passaggio da un lavoro certo a
un’occupazione precaria o addirittura la discesa nella cassa
integrazione o nel licenziamento, ora è spettro sempre più prossimo
o già concreta esperienza di vita. Aggravata dal ritardo nell’arrivo
del salario decurtato ai cassintegrati, peggiorata dall’assenza di
prospettive per una crisi economica che viene imputata all’emergenza
sanitaria ma trova le radici nel sistema economico capitalista, che
né vuole assicurare una vita soddisfacente a tutti, né sa prevenire
o affrontare seriamente un problema sanitario collettivo di tal
fatta.
Ebbene, a fronte dell’attuale crisi che grava sulle
spalle degli operai, dei proletari e degli altri poveri, e ne
schiaccia irrimediabilmente la vita, il governo Conte con il decreto
“Rilancio Italia” ha destinato a essi letteralmente le briciole e
riservato alle imprese gran parte dei 55 miliardi di euro di cui è
dotato. Per la precisione: 10 miliardi di contributo a fondo perduto
alle imprese con fatturato non superiore ai 5 milioni; altri miliardi
alle imprese tra 5 e 50 milioni di fatturato, come sostegno alla
ricapitalizzazione, detassazione degli aumenti di capitale e sconto
fiscale fino a 2 milioni, in tre anni, su Ires o Irpef; altri
miliardi ancora alle grandi imprese sotto forma di prestiti
obbligazionari convertibili, partecipazione ad aumenti di capitale e
acquisto di azioni quotate sul mercato secondario in ipotesi di
operazioni strategiche; 10 miliardi per rifinanziare la cassa
integrazione, 4 miliardi per il blocco dell’acconto Irap. E ancora,
a scendere, dopo le imprese, oltre 4 miliardi per il bonus ai
lavoratori autonomi (liberi professionisti, artigiani, commercianti),
2 miliardi per far adeguare attività produttive e negozi alle norme
di sicurezza, 2 miliardi per misure fiscali, 2,5 miliardi per turismo
e cultura, 5 miliardi per sanità e sicurezza, 1,4
miliardi a Università e ricerca, 2 miliardi al settore turistico,
ecc. Insomma, dei grossi, medi e piccolo borghesi ciascuno avrà il
suo!
Ma
di tutta questa caterva di denaro, che non è altro se non lavoro non
pagato agli operai, che cosa resterà e arriverà agli operai e agli
altri proletari? Agli operai solo la cassa integrazione, perciò
verrà tolta una parte del salario normale, agli altri quello che
resta per un reddito di emergenza, poche centinaia di euro per
due-tre mesi. Elemosine e niente più. Tanto poi per gli operai sul
lastrico, i proletari, i poveri, per tutti loro c’è la beneficenza
delle moderne multiformi religiose e laiche “dame di carità”,
cattiva coscienza della classe padronale ingorda e grassa e
provvidenziale tampone per cercare di spegnere possibili scintille di
rivolta sociale.
L.R.
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