Arcelor Mittal usa l’emergenza sanitaria per scegliere chi far lavorare in funzione di commesse e andamento del mercato, e chi lasciare a casa a totale carico dell’Inps e degli operai che pagano con una riduzione di salario
Mano
libera nella gestione della forza lavoro operaia, senza limiti e
condizionamenti di sorta. Il sogno di tutti i padroni lo stanno
realizzando i padroni di ArcelorMittal a Taranto, senza che gli
operai abbiano la forza di reagire, senza, ovviamente, che i
sindacati abbiano la volontà di mettere un minimo argine allo
strapotere della multinazionale, senza, ancora ovviamente, che alcun
politico abbia il coraggio di alzare un dito contro la carneficina
sociale che si sta consumando in quello stabilimento.
L’emergenza
sanitaria da Covid-19 ha messo ancora più a nudo la brutale
pressione che i padroni di ArcelorMittal, sin dall’esordio del loro
insediamento a Taranto, stanno conducendo contro gli operai. Ciò che
fino a pochi mesi fa non era consentito, sembrava addirittura
illecito e impensabile, ora è permesso. Come in guerra, con
l’emergenza sanitaria (non a caso spacciata come una guerra!) e la
corsa al profitto ad ogni costo invocata da tutta la società dei
ricchi, il potere dei padroni si è rafforzato, la possibilità degli
operai di difendersi trova molti ostacoli. Dovunque, ma soprattutto a
Taranto.
Quando
l’emergenza era già nella fase centrale gli operai agli ingressi
della fabbrica tarantina avevano più volte espresso le loro paure
sull’opportunità di continuare a lavorare. Ma ArcelorMittal aveva
tirato dritto e imposto i suoi interessi: gli operai che le
servivano, e solo quelli, li aveva spediti senza discutere sulle
linee, gli altri in cassa integrazione per
Covid-19, a
totale carico dell’Inps e degli operai che pagano con una
detrazione di salario. E lo ha
fatto con la forza conferitale dall’appoggio sia del prefetto di
Taranto, che ha permesso prima l’impiego fino a 3.500 operai
diretti e 2.000 dell’indotto e poi la commercializzazione
dell’acciaio prodotto, sia dei sindacati, che, dopo aver fritto un
po’ di aria, hanno preso atto e spinto gli operai a piegare la
testa.
Appena il prefetto ha concesso il via libera formale
(quello reale era già operativo in fabbrica), ArcelorMittal ha
inviato alla prefettura una nota in cui ha confermato quell’assetto
di marcia, 3.500 operai interni più 2.000 esterni, “come impegno
per il futuro”. In pratica ha ratificato l’obiettivo
che voleva raggiungere da mesi, e su cui aveva puntato minacciando di
lasciare l’Italia con la scusa del blocco dello scudo penale, cioè
cassintegrare più di 4.500 operai e ridurre la produzione alle reali
esigenze del mercato. Così dall’11 maggio ha ravviato alcuni
impianti
dell’area a freddo e fatto rientrare dalla cassa integrazione per
Covid-19 630 operai per la lavorazione di commesse precedenti
l’emergenza sanitaria. Nei fatti ArcelorMittal ciò
che non aveva potuto ottenere con la minaccia dell’addio, se l’è
preso sfruttando l’emergenza sanitaria.
E
i sindacati, che gridavano “ne usciremo tutti insieme”? Con la
coerenza che da sempre li contraddistingue ora si rivolgono
all’azienda a capo chino, con i guanti bianchi e il cappello in
mano, appellandosi alla sua bontà d’animo. Le chiedono di seguire
una linea, essi stessi si impuntano a dettarle una linea. Per fare un
esempio il segretario generale aggiunto della Fim Cisl
Taranto-Brindisi, Biagio Prisciano, invoca che ArcelorMittal “esca
allo scoperto, mostrando le reali intenzioni, non trincerandosi
dietro la Cigo Covid-19. L’azienda deve mostrare necessariamente
chiarezza, dichiarando cosa intenda fare a proposito dello
stabilimento di Taranto. Come intende traguardare i prossimi mesi?
Quali sono i progetti per il futuro e quali le operazioni di
manutenzione?».
Prisciano, e come lui gli altri sindacalisti, fa finta di non sapere
che ArcelorMittal una linea ce l’ha, ben chiara, e la sta
perseguendo da tempo. Sono invece gli operai che, almeno per ora, non
hanno una linea da seguire nei propri interessi. Ma non è detto che
sia così per sempre.
L.R.
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