ELECTROLUX, UNO SCIOPERO PER RESPIRARE

“Non avrei mai pensato in vita mia di fare uno sciopero per il diritto a respirare”. Da un’intervista su seizethetime.it di un delegato sindacale sullo sciopero alla Electrolux di Susegana (TV) del 7 maggio
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“Non avrei mai pensato in vita mia di fare uno sciopero per il diritto a respirare”. Da un’intervista su seizethetime.it di un delegato sindacale sullo sciopero alla Electrolux di Susegana (TV) del 7 maggio


Oggi c’è stato un importante sciopero all’Electrolux di Susegana (TV). Gli operai attraverso le RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie) chiedevano di adeguare i ritmi di lavoro alle difficilissime condizioni imposte dall’uso dei DPI, che rendono difficile anche respirare: senza ottenere alcuna risposta. Parla con noi A.B., sindacalista dell’Electrolux, che ci spiega cosa sta succedendo, quali sono le richieste dei lavoratori, come si pone il sindacato.

Come si è svolta la riapertura e quali sono stati i problemi?
La riapertura si è svolta gradualmente. L’azienda è partita la settimana scorsa, gradualmente: circa 200 persone su 900 operai. È partita con i primi problemi, soprattutto perché l’azienda ha deciso di adottare delle misure precauzionali indirizzate alla massima protezione dei lavoratori, con degli occhiali e delle maschere particolarmente performanti. Questo si è tradotto in una fortissima difficoltà respiratoria delle persone. Soprattutto l’azienda non si è preoccupata delle contromisure poiché se adotti certi tipi di protezioni devi anche permettere alle persone di avere pause respiratorie aggiuntive e condizioni di minor affaticamento lavorativo. I ritmi non sono cambiati, le temperature si stanno alzando – e la condizione lavorativa era già pesante prima di questa bardatura dei lavoratori. Ovviamente se tu bardi i lavoratori ci dev’essere una compensazione. Di queste compensazioni l’azienda non ha voluto sentir parlare; né di aumento delle pause, né all’uso di maschere meno pesanti (sempre previste all’interno delle norme di sicurezza, le maschere chirurgiche per capirci). L’azienda ha preso questa posizione; una posizione molto furba perché da un lato i lavoratori provano a sfuggire al soffocamento – non avrei mai pensato in vita mia di dover fare uno sciopero per il diritto a respirare – alzando la mascherina, spostandola, mettendola sotto il naso; dall’altro lato l’azienda può dire di aver dato le protezioni migliori. I lavoratori provano a cavarsela come possono, esponendosi a maggiori rischi. In questo modo vivono tutti nell’ambiguità.
Noi abbiamo detto «No, vogliamo una protezione migliore e delle condizioni migliori che permettano al lavoratore di vivere e di tutelare la propria salute. Perché anche non respirare compromette la salute». Questo è il problema che abbiamo in corso, adesso siamo a 6 ore, la prossima settimana saremo a 8 ore e andiamo in contro alla stagione calda…


Mi spieghi un po’ meglio cosa avete fatto oggi a livello di sciopero?
Oggi, dopo una settimana di comunicati e incomprensioni, con una indisponibilità totale dell’impresa a prendere in considerazione le osservazioni che come RSU (FIM, FIOM, UILM, quindi rappresentanti di tutti), abbiamo deciso di indire uno sciopero spontaneo. Spontaneo anche contro le segreterie sindacali settoriali, che ci hanno criticato dicendo “con la gente che in giro sta male e muore voi fate sciopero” – argomentazione che a noi sembra peregrina e priva di qualsiasi fondamento sindacale. Noi abbiamo deciso questo sciopero perché la gente sta male, ha problemi e come delegati, anche visto che viviamo la situazione sulla nostra pelle, dovevamo provare a dare una risposta. È chiaro che – come ho detto – gli operai trovano il modo di sopravvivere, non applicando la mascherina dove andrebbe messa, togliendosela e spostandosela, ma non è questo quello che serve. Siamo in questa situazione molto complessa e abbiamo deciso lo sciopero.
Lo sciopero è stato totale, nel senso che l’azienda è riuscita a mettere insieme solo una linea e qualcosa di produzione e sarà ripetuto nel caso, quando, come e se l’azienda non capisce che sta sbagliando. Noi chiediamo che sia tenuto conto del rischio di contagio ma contemperato con il diritto di poter lavorare respirando, e che ci sia il sufficiente ossigeno per lavorare e non ammalarsi da un’altra parte. Mi paiono cose non solo di buonsenso ma anche diritti umani elementari che, in questo momento, questa impresa come tante altre non stanno assolutamente rispettando.


Puoi dirmi qualcosa sui ritmi di lavoro?
Noi lavoriamo a ritmi molto elevati da tanto, battaglie ne abbiamo fatte tante, però i risultati sono stati modesti nella tutela concreta perché le aziende hanno uno “schema” di prestazione manifatturiera ad alta intensità, ed è dimostrato dal fatto che lì dentro un terzo dei lavoratori ha tecnopatie muscoloscheletriche, cioè malattie professionali di qualche tipo, molte riconosciute dall’Inail. Questo grazie al lavoro fatto dai delegati, dalle RSU di fabbrica che hanno una grande capacità nel riuscire a sollevare e denunciare. Abbiamo fatto anche una segnalazione alla procura della Repubblica di questo problema, all’Inail, però tardano… Pur essendoci state delle sanzioni da un’indagine fatta dall’Università di Padova tramite lo SPISAL di Conegliano: un caso più unico che raro sulla moltiplicazione delle tecnopatie, a seguito di una nostra denuncia. Ciò non toglie che la situazione non siamo riusciti a rovesciarla, nel senso del miglioramento delle condizioni di lavoro.
Quindi i ritmi sono alti: un frigo ogni 42 secondi. In 42 secondi una persona in linea di montaggio fa una molteplicità di azioni, di movimenti, e proprio questa continua ripetizione costante e accelerata porta poi ad avere problemi di tendiniti, alle spalle, tunnel carpali e quant’altro, che invalidano le persone.

Come la si gestisce questa cosa con la CGIL?
Il problema non ce l’ho con la CGIL, per me il padrone è il problema. Poi quelli che rappresentano i lavoratori ogni tanto si dimenticano che non basta guardar le carte, ma che lavorare è un gesto concreto. E anche determinate decisioni che prendono questi sindacati, quando sono sbagliate vanno immediatamente cambiate, ma riportate nell’alveo fondamentale della tutela e della salute del lavoratore. Questo problema è sempre più marcato, perché sempre di più nel sindacato ci sono strutture e persone che la vita concreta della fabbrica non l’hanno affrontata nella loro storia. Questo è un limite, un cerchio che è complicato da chiudere, perché una cosa sono i protocolli che prevedono una serie di punti e impegni – vedi le mascherine FFP 2 – ma poi bisogna anche saperne prevedere le conseguenze e contemperare i gravi disagi. Ma almeno, quando vengono segnalate le conseguenze, una struttura sindacale deve attivarsi immediatamente; invece, spesso, fanno orecchie da mercante. E questa è una debolezza non di tutta la struttura, non di tutto il sindacato, ma, oggettivamente, su questo c’è una debolezza tra il dire e il fare, tra l’azione che presume una maggiore tutela e l’effetto di quest’azione che a volte peggiora la situazione. Da noi si dice che “il tacón l’è peso del buso…” [la toppa è peggio del buco, NdR]
Però questo è il problema. Dopodiché capisco anche che in questi mesi quando ho chiamato le strutture sindacali di qualsiasi livello e grado, sono state sempre molto disponibili, quindi non c’è una difficoltà a interloquire. Ma è quando c’è un problema concreto, che confligge con l’interesse delle imprese, che si fermano, hanno più paura. C’è un problema di rapporto capitale-lavoro molto forte.

C’è qualcos’altro che si muove nel territorio?
Sì! Tieni conto che quando c’è stato il momento “topico” prima dell’8 marzo, quando avevano dichiarato il lockdown tranne per le fabbriche che dovevano rimanere e lavorare, nella provincia di Treviso sono tanti i lavoratori che sono scappati dai diversi luoghi di lavoro. Chi con gli scioperi, chi mettendosi in malattia, chi con ogni mezzo… non si son più presentati a lavoro. Anche lì c’è stato un momento di panico sindacale, perché inizialmente sembrava che la soluzione fossero i protocolli di sicurezza, che erano di fatto accordi funzionali al cercare di tenere i lavoratori: tornate in fabbrica, vi daremo le mascherine eccetera. Poi è intervenuto il lock down.
Tieni conto che a Susegana, ma anche l’Irca del gruppo Zoppas, la Somec – io parlo di aziende medio-grandi e medio-piccole del territorio, hanno fatto 30, 40, noi abbiamo fatto 50 ore di sciopero in 8-9 giorni. Con un’adesione dell’80-90%! non del 2-3%. Ovviamente la gente scioperava perché aveva capito che rischiava la pelle. Noi abbiamo avuto tre casi positivi all’interno dello stabilimento, di cui uno a lungo molto grave; poi per fortuna sono tutti guariti. La gente l’aveva capito molto bene…
Poi il governo ha bloccato tutto e la cosa è scemata […]

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